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Home » Attualità » Iran, sedicenne uccisa perché indossava un cappello da baseball al posto del velo

Iran, sedicenne uccisa perché indossava un cappello da baseball al posto del velo

Mahak Hashemi è la vittima 416 secondo le stime delle ong. Oltre 14mila le persone arrestate e tra le morti ci sarebbero anche 60 bambini

Giovanni Pierozzi
29 Novembre 2022
Mahak Hashemi, 16 anni, uccisa a manganellate dalla polizia iraniana

Mahak Hashemi, 16 anni, uccisa a manganellate dalla polizia iraniana

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Questo regime non ha più freni. Mahak Hashemi è l’ennesima vittima di una delle teocrazie più sanguinarie e spietate della storia moderna. E, consapevoli di ciò, le autorità iraniane, della morte di Mahak – come di quasi tutte le altre che coinvolgono giovani ragazze o ragazzi scesi in piazza per protestare – hanno detto che si sarebbe trattato di un “incidente“. Semplice casualità. Ma la realtà è ben diversa: Hashemi è morta per le bastonate ricevute dalla polizia su tutto il corpo, che ne hanno reso il volto irriconoscibile e spezzato la schiena.

The name of this beautiful Iranian girl is #MahakHashemi. She was savagely killed with batons by the Islamist regime while she was protesting in #Shiraz

The regime even demanded ransom from her family to return her dead body. Iranians are literally dying for freedom#MahsaAmini pic.twitter.com/3Ml2kmXB77

— Masih Alinejad 🏳️ (@AlinejadMasih) November 28, 2022

“Il nome di questa bellissima ragazza iraniana è Mahak Hashemi – scrive su Twitter l’attivista e giornalista Masih Alinejad commentando l’omicidio della 16enne -. È stata selvaggiamente uccisa a manganellate dal regime islamista mentre protestava a Shiraz. Le autorità nazionali hanno persino chiesto un riscatto alla sua famiglia per restituirle il corpo. Gli iraniani stanno letteralmente morendo per la libertà” aggiungendo sul finale l’hashtag #MahsaAmini. Siamo quindi a Shiraz, città nel sud del Paese ed è il 24 novembre, giorno dell’uccisione. Mahak esce di casa per partecipare alle manifestazioni e lo fa con indosso un cappello da baseball anziché il velo. Come migliaia di donne prima di lei, dalla morte di Mahsa Amini del 16 settembre. Passano due giorni e delle ragazza neanche l’ombra, quando il padre viene convocato in obitorio dalla polizia per riconoscere due cadaveri senza identità. Uno è Mahak. Le autorità di sicurezza e i funzionari dell’IRGC vietano i funerali e chiedono un riscatto per la restituzione del corpo. Anche la morte della 22enne che aveva indossato male il velo era stata scaricata come un “incidente”.

Shiraz è stata anche la città del bacio tra i manifestanti contro il regime

Come è facile diventare un numero

Mahak Hashemi aveva solo 16 anni, lascia il padre e due sorelle più piccole (la madre era già morta qualche anno prima). Adesso è diventata la vittima numero 416, ma sicuramente una cifra errata perché il conteggio lo stanno facendo le ong e i media indipendenti, ostacolati dalla repressione e dalla propaganda del regime. Dalla Repubblica Islamica, infatti, non sono stati diffusi finora info e numeri ufficiali. Solo il 28 novembre il capo dell’aeronautica dei Pasdaran (i soldati della rivoluzione islamica Komeinista) ha ammesso che le vittime sono più di 300, tra cui più di 60 poliziotti.
Altri numeri ce li propone l’Unicef: la violenza della teocrazia iraniana, nella gestione dei disordini pubblici, ha causato la morte finora di almeno 60 bambini. Il numero delle vittime totali (sarebbero almeno 29 le donne) qui cambia rispetto alle fonti interne: siamo a 450. Il totale degli arresti, dall’inizio delle rappresaglie, ammonta a 14mila. Di questi tra i 500 e i mille sono minorenni. Alcune fonti, infatti, affermano che si sono registrati casi in cui i Pasdaran hanno fatto irruzione nelle scuole e arrestato seduta stante bambini e ragazzini perché “sospettati” di aver partecipato alle manifestazioni.

Sigillo dell’Esercito dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, i Pasdaran

 

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Questo regime non ha più freni. Mahak Hashemi è l'ennesima vittima di una delle teocrazie più sanguinarie e spietate della storia moderna. E, consapevoli di ciò, le autorità iraniane, della morte di Mahak - come di quasi tutte le altre che coinvolgono giovani ragazze o ragazzi scesi in piazza per protestare - hanno detto che si sarebbe trattato di un "incidente". Semplice casualità. Ma la realtà è ben diversa: Hashemi è morta per le bastonate ricevute dalla polizia su tutto il corpo, che ne hanno reso il volto irriconoscibile e spezzato la schiena.

The name of this beautiful Iranian girl is #MahakHashemi. She was savagely killed with batons by the Islamist regime while she was protesting in #Shiraz

The regime even demanded ransom from her family to return her dead body. Iranians are literally dying for freedom#MahsaAmini pic.twitter.com/3Ml2kmXB77 — Masih Alinejad 🏳️ (@AlinejadMasih) November 28, 2022
"Il nome di questa bellissima ragazza iraniana è Mahak Hashemi - scrive su Twitter l'attivista e giornalista Masih Alinejad commentando l'omicidio della 16enne -. È stata selvaggiamente uccisa a manganellate dal regime islamista mentre protestava a Shiraz. Le autorità nazionali hanno persino chiesto un riscatto alla sua famiglia per restituirle il corpo. Gli iraniani stanno letteralmente morendo per la libertà" aggiungendo sul finale l'hashtag #MahsaAmini. Siamo quindi a Shiraz, città nel sud del Paese ed è il 24 novembre, giorno dell'uccisione. Mahak esce di casa per partecipare alle manifestazioni e lo fa con indosso un cappello da baseball anziché il velo. Come migliaia di donne prima di lei, dalla morte di Mahsa Amini del 16 settembre. Passano due giorni e delle ragazza neanche l'ombra, quando il padre viene convocato in obitorio dalla polizia per riconoscere due cadaveri senza identità. Uno è Mahak. Le autorità di sicurezza e i funzionari dell'IRGC vietano i funerali e chiedono un riscatto per la restituzione del corpo. Anche la morte della 22enne che aveva indossato male il velo era stata scaricata come un "incidente".
Shiraz è stata anche la città del bacio tra i manifestanti contro il regime

Come è facile diventare un numero

Mahak Hashemi aveva solo 16 anni, lascia il padre e due sorelle più piccole (la madre era già morta qualche anno prima). Adesso è diventata la vittima numero 416, ma sicuramente una cifra errata perché il conteggio lo stanno facendo le ong e i media indipendenti, ostacolati dalla repressione e dalla propaganda del regime. Dalla Repubblica Islamica, infatti, non sono stati diffusi finora info e numeri ufficiali. Solo il 28 novembre il capo dell'aeronautica dei Pasdaran (i soldati della rivoluzione islamica Komeinista) ha ammesso che le vittime sono più di 300, tra cui più di 60 poliziotti. Altri numeri ce li propone l'Unicef: la violenza della teocrazia iraniana, nella gestione dei disordini pubblici, ha causato la morte finora di almeno 60 bambini. Il numero delle vittime totali (sarebbero almeno 29 le donne) qui cambia rispetto alle fonti interne: siamo a 450. Il totale degli arresti, dall'inizio delle rappresaglie, ammonta a 14mila. Di questi tra i 500 e i mille sono minorenni. Alcune fonti, infatti, affermano che si sono registrati casi in cui i Pasdaran hanno fatto irruzione nelle scuole e arrestato seduta stante bambini e ragazzini perché "sospettati" di aver partecipato alle manifestazioni.
Sigillo dell'Esercito dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, i Pasdaran
 
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