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Home » Attualità » Iran, si suicida per denunciare la repressione nel suo Paese. “Quando vedrete questo video sarò morto”

Iran, si suicida per denunciare la repressione nel suo Paese. “Quando vedrete questo video sarò morto”

Proteste e violenze senza fine da settembre. Un altro minore ucciso dai poliziotti, almeno cento le persone condannate a morte

Barbara Berti
28 Dicembre 2022
Mohammad, studente iraniano di 38 anni, si è tolto la vita per denunciare la repressione nel suo Paese

Mohammad, studente iraniano di 38 anni, si è tolto la vita per denunciare la repressione nel suo Paese

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Un uomo iraniano di 38 anni si è suicidato a Lione per denunciare le repressioni nel suo Paese dove, intanto, la polizia uccide un 17enne. Da oltre cento giorni in Iran proseguono le proteste cominciate a metà settembre a causa della morte di Mahsa Amini (la 22enne curdo-iraniana deceduta dopo essere stata arrestata per non aver indossato in modo corretto il velo) e poi trasformatesi in manifestazioni più estese contro il regime estremamente conservatore del paese. Si tratta delle proteste più durature e partecipate dalla rivoluzione del 1979, che cambiò la storia del paese: coinvolgono soprattutto donne e giovani studenti, ma anche sportivi e celebrità. Sono, però, proteste che il regime sta tentando di soffocare uccidendo, arrestando o torturando tantissime persone.

 

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Un post condiviso da Mohammad (@donamigoo)


Una situazione per cui Mohammad, studente iraniano di 38 anni, si è suicidato nel pomeriggio del 27 dicembre, a Lione, in Francia, gettandosi nel Rodano. Un gesto estremo per attirare l’attenzione sulla situazione nel suo Paese scosso dalle manifestazioni, come spiega in un video postumo. “Quando guarderete questo video, sarò morto” dice nel video prima di gettarsi nel Rodano dove è annegato e niente hanno potuto fare i vigili del fuoco, intervenuti subito per salvarlo ma hanno solo riportato a riva il corpo. “La polizia sta attaccando le persone, abbiamo perso molti figli e figlie, dobbiamo fare qualcosa”, dice con voce calma il 38enne che viveva a Lione dal 2019. E aggiunge: “Ho deciso di suicidarmi nel fiume Rodano, è una sfida dimostrare che noi, popolo iraniano, siamo molto stanchi di questa situazione”.

Mehrdad Malek, 17 anni, è stato colpito a morte dagli spari esplosi dai poliziotti
Mehrdad Malek, 17 anni, è stato colpito a morte dagli spari esplosi dai poliziotti

Nonostante il gesto estremo, in Iran le violenze proseguono: Mehrdad Malek, 17 anni, è stato colpito a morte dagli spari esplosi dai poliziotti ad Ardagh, nella provincia di Qazvin. Come era già successo a Saha Etebari, 12 anni, e Kian Pirfalak, 9 anni. E a tanti altri bambini. Secondo quanto riferito da Bbc, i fatti risalgono al 5 dicembre: il giovane stava tornando a casa a bordo dell’auto di un amico, che è stata inseguita dalla polizia, ma quando la pattuglia è rimasta bloccata nel fango gli agenti avrebbero aperto il fuoco e il giovane sarebbe rimasto ucciso.

La denuncia delle Ong

Sarebbero almeno 100, tra cui cinque donne, le persone state condannate a morte o accusate di reati capitali dopo le proteste in Iran. E’ quanto denuncia “Iran Human Rights” (Ihr) con sede in Norvegia, come riporta Bbc. Tra le cinque donne condannate a morte ci sarebbe anche la compagna di cella di Alessia Piperno, Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre figli. In realtà si ritiene che il numero reale di manifestanti che rischiano la pena di morte sia molto più alto perché le famiglie sono state sottoposte a pressioni per rimanere in silenzio. Finora due giovani sono stati giustiziati mentre secondo Ihr, sono stati uccisi almeno 476 manifestanti, tra cui 64 bambini e 34 donne.

Intanto le autorità iraniane avrebbero annullato la condanna a morte che era stata emessa nei confronti di Hamid Ghareh Hassanlou, il radiologo arrestato durante le proteste in corso nella Repubblica islamica. Lo scrive il quotidiano riformista “Etemad” citando Fatima Qara Hassanlou, sorella dell’uomo. “In una fase successiva dovremo cercare di dimostrare la completa innocenza di mio fratello”, dice la donna, spiegando che l’uomo “sarà probabilmente rilasciato su cauzione fino alla prossima udienza in tribunale”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Un uomo iraniano di 38 anni si è suicidato a Lione per denunciare le repressioni nel suo Paese dove, intanto, la polizia uccide un 17enne. Da oltre cento giorni in Iran proseguono le proteste cominciate a metà settembre a causa della morte di Mahsa Amini (la 22enne curdo-iraniana deceduta dopo essere stata arrestata per non aver indossato in modo corretto il velo) e poi trasformatesi in manifestazioni più estese contro il regime estremamente conservatore del paese. Si tratta delle proteste più durature e partecipate dalla rivoluzione del 1979, che cambiò la storia del paese: coinvolgono soprattutto donne e giovani studenti, ma anche sportivi e celebrità. Sono, però, proteste che il regime sta tentando di soffocare uccidendo, arrestando o torturando tantissime persone.
 
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Una situazione per cui Mohammad, studente iraniano di 38 anni, si è suicidato nel pomeriggio del 27 dicembre, a Lione, in Francia, gettandosi nel Rodano. Un gesto estremo per attirare l'attenzione sulla situazione nel suo Paese scosso dalle manifestazioni, come spiega in un video postumo. “Quando guarderete questo video, sarò morto” dice nel video prima di gettarsi nel Rodano dove è annegato e niente hanno potuto fare i vigili del fuoco, intervenuti subito per salvarlo ma hanno solo riportato a riva il corpo. “La polizia sta attaccando le persone, abbiamo perso molti figli e figlie, dobbiamo fare qualcosa”, dice con voce calma il 38enne che viveva a Lione dal 2019. E aggiunge: “Ho deciso di suicidarmi nel fiume Rodano, è una sfida dimostrare che noi, popolo iraniano, siamo molto stanchi di questa situazione”.
Mehrdad Malek, 17 anni, è stato colpito a morte dagli spari esplosi dai poliziotti
Mehrdad Malek, 17 anni, è stato colpito a morte dagli spari esplosi dai poliziotti
Nonostante il gesto estremo, in Iran le violenze proseguono: Mehrdad Malek, 17 anni, è stato colpito a morte dagli spari esplosi dai poliziotti ad Ardagh, nella provincia di Qazvin. Come era già successo a Saha Etebari, 12 anni, e Kian Pirfalak, 9 anni. E a tanti altri bambini. Secondo quanto riferito da Bbc, i fatti risalgono al 5 dicembre: il giovane stava tornando a casa a bordo dell’auto di un amico, che è stata inseguita dalla polizia, ma quando la pattuglia è rimasta bloccata nel fango gli agenti avrebbero aperto il fuoco e il giovane sarebbe rimasto ucciso.

La denuncia delle Ong

Sarebbero almeno 100, tra cui cinque donne, le persone state condannate a morte o accusate di reati capitali dopo le proteste in Iran. E' quanto denuncia "Iran Human Rights" (Ihr) con sede in Norvegia, come riporta Bbc. Tra le cinque donne condannate a morte ci sarebbe anche la compagna di cella di Alessia Piperno, Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre figli. In realtà si ritiene che il numero reale di manifestanti che rischiano la pena di morte sia molto più alto perché le famiglie sono state sottoposte a pressioni per rimanere in silenzio. Finora due giovani sono stati giustiziati mentre secondo Ihr, sono stati uccisi almeno 476 manifestanti, tra cui 64 bambini e 34 donne. Intanto le autorità iraniane avrebbero annullato la condanna a morte che era stata emessa nei confronti di Hamid Ghareh Hassanlou, il radiologo arrestato durante le proteste in corso nella Repubblica islamica. Lo scrive il quotidiano riformista "Etemad" citando Fatima Qara Hassanlou, sorella dell'uomo. "In una fase successiva dovremo cercare di dimostrare la completa innocenza di mio fratello", dice la donna, spiegando che l'uomo "sarà probabilmente rilasciato su cauzione fino alla prossima udienza in tribunale".
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