
Denatalità, povertà relativa, differenze di accesso alla scuola: l'Italia non è un paese per minorenni e in alcune regioni va pure peggio
La terza edizione del Rapporto regionale del Gruppo CRC “I Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza - I dati regione per regione 2024” conferma, dati alla mano, ciò che da anni denunciano organizzazioni e osservatori indipendenti: l’Italia è ancora ben lontana dall’essere un Paese davvero a misura di bambine, bambini e adolescenti. Le disparità territoriali emergono con forza in ogni area tematica – dalla natalità al benessere materiale, dall’accesso ai servizi all’educazione – restituendo l’immagine di un sistema disomogeneo, fragile e ancora troppo dipendente dalla volontà politica delle singole amministrazioni.
Le diseguaglianze territoriali penalizzano sistematicamente bambine, bambini e adolescenti, soprattutto nel Sud del Paese. Il Rapporto CRC 2024, con dati regione per regione, redatto dal Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC), descrive un quadro nazionale segnato da forti squilibri territoriali, dove i diritti di circa nove milioni di minorenni in Italia risultano ancora troppo spesso determinati dal contesto geografico in cui si nasce e si cresce.
Quella scattata dal rapporto è la fotografia di un’Italia sbilanciata, demograficamente anziana e politicamente distratta, dove i diritti dei minori restano sullo sfondo, sacrificati da decenni di scelte miopi e diseguali. Il dato demografico è il primo campanello d’allarme: la natalità continua a precipitare, con una media nazionale di appena 6,4 nati ogni mille abitanti e punte minime in Sardegna (4,6). I minori sono oggi solo il 15,1% della popolazione, con percentuali ancora più basse proprio nelle regioni dove i servizi sono più fragili.
Aumentano le famiglie monogenitoriali, ma senza un corrispettivo adeguato in termini di politiche di sostegno: una dinamica che esaspera le vulnerabilità e lascia troppo spesso le famiglie sole. Sul piano delle risorse, la risposta pubblica è debole. Il Fondo per le politiche sociali è cresciuto di appena 4 milioni in tre anni, quello per le Politiche della famiglia si è fermato a 30 milioni e il Fondo per il sistema integrato 0-6 anni ha subito un taglio pesante: dai 307,5 milioni del 2021 ai 281,9 previsti per il 2024. In un Paese dove la povertà educativa dilaga insieme a quella materiale, queste cifre non solo non bastano: sono una resa.
A questo è da aggiungersi il fatto che la povertà relativa tra i minori ha raggiunto livelli inaccettabili: 22,2% su base nazionale, ma quasi il doppio in Calabria (44,9%), Molise (42,1%) e Campania (37,1%). Questi dati evidenziano una situazione di disuguaglianza marcata tra le diverse regioni, con il Sud che continua a essere il più penalizzato. L’accesso alla cultura e allo sport segue la stessa mappa delle disuguaglianze: solo il 52,4% dei ragazzi tra 6 e 17 anni legge nel tempo libero e lo sport è lontano dall’essere un diritto universale. Anche il digitale, ormai diffusissimo, non basta a colmare i divari strutturali: dispositivi inadeguati, connessioni instabili e carenza di competenze restano un ostacolo reale per tanti. In particolare, le regioni come Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono al di sotto della media nazionale per quanto riguarda la dotazione digitale (90,5%).
Cresce, seppur lentamente, la rete dei Centri per la famiglia, ma permangono forti squilibri tra territori e nessuna valutazione seria sull’impatto reale di questi presidi. Una nota positiva arriva dal SIOSS – il Sistema Informativo dell’Offerta dei Servizi Sociali – che finalmente consente un monitoraggio più puntuale dei minorenni fuori famiglia, ma da solo non può bastare. Il quadro è inequivocabile: l’Italia continua a non essere un Paese per bambini. L’infanzia non è riconosciuta come priorità politica, né come bene comune. Non si tratta solo di aumentare le risorse, ma di cambiare paradigma, ridefinendo i confini dell’interesse pubblico. Continuare a ignorare la condizione dei minori significa rinunciare al futuro. E nessuna demografia, nessuna economia, nessuna cultura reggerà a lungo, se non si ricomincia da qui.