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Polonia, l'attivista condannata per aiuto all'aborto: "Sono nel giusto"

Justyna Wydrzyńska, attivista di Abortion dream team, è stata giudicata colpevole per aver aiutato una donna a ottenere le pillole per interrompere la gravidanza. Prima sentenza simile in Europa

di MARIANNA GRAZI -
16 marzo 2023
Justyna Wydrzyńska

Justyna Wydrzyńska

"Non mi sento affatto colpevole, so di essere nel giusto. Non ho paura della sentenza, non ci lasceremo intimidire da quei politici che vogliono tapparci la bocca. E a tutti quelli che vivono in Polonia dico: non ci fermeremo". L'attivista polacca Justyna Wydrzyńska interviene con un video messaggio durante la conferenza stampa al Parlamento europeo, organizzata all'indomani della sua condanna a otto mesi di servizi sociali per aver aiutato una donna incinta ad accedere all'aborto farmacologico. "Nulla cambierà nella mia vita" ha aggiunto, aggiungendo che continuerà nel suo impegno a favore dell'interruzione volontaria di gravidanza per le donne, "specialmente quando i diritti riproduttivi sono limitati" come in Polonia.

L'episodio che ha fatto scattare la condanna

Justyna Wydrzyńska con altre attiviste pro-aborto (Twitter/Amnesty Polska)

Il verdetto rappresenta una battuta d'arresto per il movimento polacco e internazionale per i diritti all'aborto, costretto sempre più alla clandestinità dopo l'abolizione della Roe v. Wade da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti lo scorso anno. La sentenza del tribunale di Varsavia di martedì mattina, che condanna Wydrzyńska a svolgere lavori socialmente utili per almeno 30 ore al mese, è l'ennesimo attacco a un diritto fondamentale per le donne. E non in un Paese qualsiasi, ma nel cuore dell'Europa. L'attivista del gruppo Abortion dream team, per i giudici, è colpevole di aver aiutato una donna (nota come Ania) vittima di violenze domestiche ad abortire in casa con i farmaci. Ania aveva prima tentato di recarsi in Germania per sottoporsi all'intervento, ma il marito le aveva impedito di farlo. Aveva quindi ordinato delle compresse, ma temeva che non le fossero consegnate in tempo; a quel punto è stata Wydrzyńska a inviargliele direttamente a casa (dopo essere stata contattata come membro della ong nel febbraio 2020) ma il marito della donna ha scoperto tutto e ha denunciato l'accaduto alla polizia. Ania era poi riuscita comunque a interrompere la gravidanza, mentre nei confronti dell'attivista era stata aperta un'indagine.

La sentenza del Tribunale di Varsavia

Certo, sarebbe potuta andare ancora peggio: per l'accusa di "aiuto all'aborto" e "possesso illegale di medicinali" Justyna Wydrzyńska rischiava fino a tre anni di carcere. "Credo che ogni donna empatica ne avrebbe aiutata un'altra in difficoltà, mettendo anche a rischio la propria incolumità" ha detto in aula, aggiungendo di non sentirsi in colpa e di non accettare il verdetto del tribunale polacco. I legali della vittima hanno già annunciato il ricorso e l'associazione Abortion dream team, che ha co-fondato nel 2016, ha manifestato davanti al tribunale, con un sit-in di protesta, e ha twittato provocatoriamente: "Siamo colpevoli di aver fornito assistenza". La condanna dell'attivista crea un precedente inquietante: Amnesty International ha affermato - prima dell'udienza - che quello di Wydrzynska è il primo caso in Europa "in cui un attivista viene perseguito per aver favorito l'aborto fornendo pillole abortive". "Justyna stava già svolgendo un servizio alla comunità intervenendo dove lo Stato ha fallito e fornendo assistenza per l'aborto sicuro", ha dichiarato invece Irene Donadio dell'International Planned Parenthood in un comunicato dell'ufficio europeo della Federazione IPP. "Siamo profondamente rattristati dalla decisione e indignati dall'intero processo", ha aggiunto.

L'aborto in Polonia

Justyna Wydrzyńska prima del processo nel tribunale di Varsavia (Twitter)

La Polonia è uno degli Stati più proibizionisti, anche a causa di frange ultra-cattoliche che hanno un peso importante nelle scelte politiche. A seguito di una sentenza del 2020 del Tribunale costituzionale controllato dal governo, il Paese ha una delle leggi sull'aborto più severe dell'UE, che consente la procedura solo nei casi in cui la salute o la vita della madre siano minacciate, o la gravidanza sia il risultato di stupro o di incesto. La legge polacca è stata ulteriormente inasprita dopo che la Corte costituzionale nel 2020 si è schierata con il governo di destra per dichiarare incostituzionali le interruzioni dovute a malformazioni fetali. Per questo migliaia di polacchi sono scesi in piazza nel novembre 2021, dopo la morte di una donna di 30 anni la cui vita avrebbe potuto essere salvata se i medici non avessero ritardato la procedura, per paura di violare la restrittiva legge sull'aborto. Legge che rischiava di registrare una nuova stretta solo pochi giorni fa, quando il Parlamento ha respinto una controversa - dal titolo 'L'aborto è un omicidio' - che mirava a limitare ulteriormente l'ivg, ma che è stata rigettata per evitare una nuova ondata di proteste in vista delle prossime elezioni. L'organizzazione Abortion dream team ha affermato di aver aiutato 44.000 donne ad abortire solo lo scorso anno.