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Home » Attualità » In uno scantinato di Kiev un gruppo di tate accudisce 19 neonati intrappolati dalla guerra e senza identità

In uno scantinato di Kiev un gruppo di tate accudisce 19 neonati intrappolati dalla guerra e senza identità

I bambini sono nati da madri surrogate, con i loro genitori biologici bloccati fuori dal Paese. A causa del conflitto la loro cittadinanza non è chiara, così come la questione di chi siano i loro tutori legali. C'è anche la questione di come o se possano essere portati in salvo

Marianna Grazi
13 Marzo 2022
Una tata consola un bimbo nato da una madre surrogata mentre le notizie della guerra passano in televisione.

Una tata consola un bimbo nato da una madre surrogata mentre le notizie della guerra passano in televisione.

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“Non posso abbandonare il mio lavoro, non posso abbandonare questi bambini” dice una delle tate che accudisce i neonati figli di madri surrogate ucraine (New York Times)

La guerra infuria sopra di loro ma Ludmila Yashenko, 51 anni, e le altre tate continuano imperterrite a prendersi cura dei bambini, anche se sono sempre più preoccupate. Il marito e i due figli di Yashenko, tutti soldati dell’esercito ucraino, l’hanno esortata a lasciare Kyiv. “Vogliono che me ne vada, ma non posso abbandonare le mie colleghe, non posso abbandonare il mio lavoro, non posso abbandonare questi bambini“, dice la donna. Figli di madri surrogate per clienti stranieri, pur sempre esseri umani bisognosi di cure e attenzioni. L’Ucraina è uno dei pochi Paesi che offre questo tipo di servizi ai cittadini europei e esteri. Secondo alcune stime, la sua ‘industria’ è tra le più grandi del mondo: gli avvocati coinvolti nel ‘business’ dicono che circa 500 donne stanno attualmente affrontando una gravidanza in Ucraina come madri surrogate. Il procedimento qui costa 43.000 dollari rispetto ai 130mila negli Stati Uniti (che sono la meta privilegiata, seguiti appunto dall’Ucraina), secondo uno studio condotto dall’Australia Monash University nel 2020.

I bambini nel seminterrato di Kiev

Due tate accudiscono i bambini nel seminterrato a Kiev mentre fuori continuano i bombardamenti (WSJournal)
Attualmente in Ucraina sarebbero 500 le madri surrogate che portano avanti la gravidanza e più di 800 le coppie in attesa da tutto il mondo (New York Times)

Nel seminterrato sotto un condominio della capitale ci sono 19 neonati in culle di plastica, le cui grida si mescolano al suono delle sirene antiaeree che avvertono di attacchi russi in arrivo. La guerra nel Paese ha impedito ai loro genitori biologici, da Canada, Germania, Francia e altri Stati, di recuperare i bambini nati attraverso molte madri surrogate. “Il numero cresce ogni giorno”, ha detto Denys Herman, consulente legale della più grande agenzia di maternità surrogata dell’Ucraina, la BioTexCom. Herman lavora con 600 donne, alcune delle quali hanno dato alla luce i bambini che si trovano ora in quel rifugio sotto le strade di Kiev. Attualmente la loro sopravvivenza è affidata a tate ucraine, come appunto Ludmila Yashenko.
Mentre la Russia intensifica la sua avanzata, il destino di centinaia di madri surrogate che portano in grembo bambini e neonati in tutto il Paese sta diventando sempre più pericoloso. Centinaia di genitori in attesa stanno lottando per raggiungerli: “Non so come farò a far uscire mio figlio”, ha detto l’americana Eileen Cornell, che aveva pianificato il viaggio da New York a Kiev per la nascita di suo figlio questo mese. La sua madre surrogata ucraina, Anna, era nella capitale e si stava preparando a far nascere il bambino quando la Russia l’ha invasa più di due settimane fa. “Non voglio assolutamente dare alla luce un bambino dove c’è una guerra”, le ha detto Anna, tramite un’app di messaggistica. Intanto alcune agenzie stanno cercando faticosamente di trasferire le mamme al sicuro, ma le difficoltà non mancano e le notizie che trapelano sono scarse e incerte.

Le difficoltà: madri e bambini sotto le bombe, genitori fuori dal Paese

Alcune madri surrogate hanno perso il contatto con le loro agenzie e si sono ridotte a cercare i genitori biologici sui social media

Nelle città attaccate pochi posti sono sicuri: un reparto maternità nella città assediata di Mariupol è stato colpito mercoledì da un attacco aereo russo, con molte vittime, secondo le autorità ucraine. I reparti di maternità a Kiev si sono spostati negli scantinati per una maggiore sicurezza. La no-profit australiana Growing Families, che sta aiutando le coppie straniere a gestire la crisi, ha detto che ha contattato operatori sanitari privati per capire se possono aiutare ad evacuare i bambini surrogati dall’Ucraina. “Sono sommerso da richieste da tutto il mondo per bambini o gestanti da far trasferire”, ha detto Sam Everingham, fondatore del gruppo. Ha stimato che circa 800 coppie da ogni angolo del Pianeta stanno aspettando un bambino da una madre surrogata in Ucraina.

Molte madri surrogate sono ancora in Ucraina e non è facile rintracciarle. Ci sono poi quelle che non vogliono abbandonare i loro familiari maschi costretti a rimanere

In circostanze normali, entrambi i genitori devono recarsi in Ucraina per avere loro figlio: ora questo implica avventurarsi in una zona di guerra quando i voli commerciali sono stati sospesi e i governi di tutto il mondo hanno consigliato ai loro cittadini di lasciare il Paese. Così, mentre i rifugiati si riversano verso gli Stati confinanti, alcune coppie straniere si sono unite al flusso di persone che attraversano in senso opposto la dogana ucraina, insieme a giornalisti e volontari impegnati nella lotta contro la Russia. Nel caos iniziale del conflitto, alcune madri surrogate hanno perso il contatto con le loro agenzie e si sono ridotte a cercare i genitori biologici sui social media. Altre potrebbero essere bloccate nelle città sotto i bombardamenti, secondo Sergii Antonov, un avvocato di Kyiv specializzato nel campo medico e riproduttivo. Il legale fa parte di una piccola équipe che cerca di rintracciarle e assisterle: “Non sappiamo dove siano queste donne sfortunate. Ovunque regna il caos“, ha detto. Alcune mamme, inoltre, sono riluttanti a lasciare l’Ucraina perché non vogliono separarsi dai familiari maschi, mariti, padri e fratelli a cui è stato vietato di uscire dal Paese a causa della guerra.
“Non possiamo forzarle, ovviamente”, ha detto Julia Osiyevska, il capo dell’agenzia New Life. Recentemente l’operatrice ha deciso di provare a far evacuare Anna e altre gestanti che lavorano per la sua agenzia nel vicino stato della Moldavia. Di solito il viaggio durerebbe meno di quattro ore, ma ce ne sono volute 19 su strade intasate di veicoli in fuga verso ovest. “È semplicemente surreale – ha detto Osiyevska –. Non si possono fermare le consegne. Non si può ritardare o annullare una nascita“. Per di più la maternità surrogata è illegale in Moldavia e l’amministratrice, avendo dimenticato documenti importanti nella clinica di Kiev, è dovuta tornare in Ucraina con Anna. La quale, con il denaro guadagnato portando in grembo il figlio di una coppia straniera, aveva sperato di dare un futuro migliore alle sue figlie. Un futuro che l’invasione da parte della Russia ha reso incerto. La signora Cornell, che è rimasta in contatto con la giovane per tutto il tempo, ha detto: “Lei è la vera eroina in tutto questo“.

 

 

 

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
"Non posso abbandonare il mio lavoro, non posso abbandonare questi bambini" dice una delle tate che accudisce i neonati figli di madri surrogate ucraine (New York Times)
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