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Home » Attualità » La denuncia social di Diana Di Meo: “Spero di dare voce alle vittime colpevolizzate”

La denuncia social di Diana Di Meo: “Spero di dare voce alle vittime colpevolizzate”

Arbitra pescarese di 22anni la giovane è stata vittima di revenge porn. Foto e video intimi, ripresi a sua insaputa, sono circolati sui social e in molte chat. Lo sfogo: "Anche questo è un reato da codice rosso"

Marianna Grazi
23 Gennaio 2022
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L’arbitra 22enne Diana Di Meo ha denunciato sui social di essere vittima di revenge porn

Si chiama revenge porn, ma si traduce in vera e propria violenza sessuale. Non letteralmente certo, ma come altro chiamereste la violazione della privacy e l’utilizzo e la condivisione di immagini private, senza il consenso della persona, a fini a dir poco scabrosi? Diffuse in chat, sui social, a insaputa della vittima, che spesso ne viene a conoscenza troppo tardi per fermare una catena di violenza e oscenità. Ma c’è chi non ci sta a lasciar correre. È il caso di Diana Di Meo, 22enne arbitra di calcio della sezione di Pescara. Sulla sua pagina Instagram la ragazza ha denunciato la molestia subita, perché sì, di molestia si parla. “Stanno girando dei miei video privati su social come Telegram e Whatsapp, video non condivisi da me e alcuni fatti a mia insaputa. Ovviamente ho sporto denuncia, stanno rintracciando i colpevoli e chi si occupa della condivisione dei video, perché anche questo è un reato da codice rosso”.

 

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Un post condiviso da Diana Di Meo (@dianadimeo_)

Al di là del suo aspetto, è infatti una bellissima donna, Diana è una ragazza tosta e la sua giovane età non la ferma dal denunciare quella che è un’aggressione alla sua persona a tutti gli effetti. Non si lascia intimidire, perché è lei la vittima, l’ennesima, dell’unico reato in grado di far sentire in colpa chi lo subisce e non chi lo pratica. Proprio il revenge porn. Il suo volto, il suo corpo, sono stati ripresi mentre lei viveva un momento intimo, e sono finiti ovunque, rimbalzando di schermo in schermo, di condivisione in condivisione. Perché basta un click a rovinare, potenzialmente per sempre, la vita di una persona colpevole di nulla. Ma non è questo il caso, anche se non è stato certo facile, per la 22enne, ‘digerire’ questa terribile scoperta.

Diana di Meo: “Ho denunciato tutto sui social per farmi forza, perché erano due giorni che ero chiusa in casa”

“Ho scoperto di questi video grazie a dei ragazzi – prosegue l’arbitro –. Ho denunciato tutto sui social per farmi forza, perché erano due giorni che ero chiusa in casa. Ringrazio tutti i ragazzi e le ragazze che mi stanno scrivendo da tutta Italia. È una situazione che non auguro a nessuno, sto cercando di resistere ma non tutti ci riescono: dobbiamo segnalare questi video e le persone che continuano a condividere queste cose”. La sua immagine, questa volta, decide di diffonderla lei, personalmente, in un video in cui raccontare tutto quello che prova. Perché a vergognarsi non può e non deve essere lei. “Io sono qui a parlarne – continua infatti su Instagram – ma molti di noi non riescono a farlo e si nascondono. Spero di dare voce a tutte quelle vittime che vengono colpevolizzate, quando in realtà il colpevole è dall’altra parte dello schermo, che riprende o ‘si limita’ a condividere. Oggi la vittima sono io, domani potrebbe essere una persona vicina a chi magari adesso sta guardando i video e sorride”.

Nelle sue parole c’è davvero tutto e vogliamo ribadirlo: il revenge porn è colpa di chi lo pratica, mai di chi lo subisce. Fare sesso non deve essere un tabù, vivere la propria sessualità deve essere un momento di gioia non di paura, nemmeno di essere ripresi/e a nostra insaputa. È fare violenza sulle donne anche il solo gesto di sorridere, in silenzio, quando un amico ci manda le immagini di una ragazza in atteggiamenti intimi, a sua insaputa, o quando invece di denunciare inviamo a nostra volta quelle foto o quei video. E no, non è colpa della ragazza perché troppo bella o troppo ‘libertina’. È colpa nostra.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
L'arbitra 22enne Diana Di Meo ha denunciato sui social di essere vittima di revenge porn
Si chiama revenge porn, ma si traduce in vera e propria violenza sessuale. Non letteralmente certo, ma come altro chiamereste la violazione della privacy e l’utilizzo e la condivisione di immagini private, senza il consenso della persona, a fini a dir poco scabrosi? Diffuse in chat, sui social, a insaputa della vittima, che spesso ne viene a conoscenza troppo tardi per fermare una catena di violenza e oscenità. Ma c'è chi non ci sta a lasciar correre. È il caso di Diana Di Meo, 22enne arbitra di calcio della sezione di Pescara. Sulla sua pagina Instagram la ragazza ha denunciato la molestia subita, perché sì, di molestia si parla. “Stanno girando dei miei video privati su social come Telegram e Whatsapp, video non condivisi da me e alcuni fatti a mia insaputa. Ovviamente ho sporto denuncia, stanno rintracciando i colpevoli e chi si occupa della condivisione dei video, perché anche questo è un reato da codice rosso”.
 
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Al di là del suo aspetto, è infatti una bellissima donna, Diana è una ragazza tosta e la sua giovane età non la ferma dal denunciare quella che è un'aggressione alla sua persona a tutti gli effetti. Non si lascia intimidire, perché è lei la vittima, l'ennesima, dell'unico reato in grado di far sentire in colpa chi lo subisce e non chi lo pratica. Proprio il revenge porn. Il suo volto, il suo corpo, sono stati ripresi mentre lei viveva un momento intimo, e sono finiti ovunque, rimbalzando di schermo in schermo, di condivisione in condivisione. Perché basta un click a rovinare, potenzialmente per sempre, la vita di una persona colpevole di nulla. Ma non è questo il caso, anche se non è stato certo facile, per la 22enne, 'digerire' questa terribile scoperta.
Diana di Meo: "Ho denunciato tutto sui social per farmi forza, perché erano due giorni che ero chiusa in casa"
“Ho scoperto di questi video grazie a dei ragazzi – prosegue l’arbitro –. Ho denunciato tutto sui social per farmi forza, perché erano due giorni che ero chiusa in casa. Ringrazio tutti i ragazzi e le ragazze che mi stanno scrivendo da tutta Italia. È una situazione che non auguro a nessuno, sto cercando di resistere ma non tutti ci riescono: dobbiamo segnalare questi video e le persone che continuano a condividere queste cose". La sua immagine, questa volta, decide di diffonderla lei, personalmente, in un video in cui raccontare tutto quello che prova. Perché a vergognarsi non può e non deve essere lei. "Io sono qui a parlarne – continua infatti su Instagram – ma molti di noi non riescono a farlo e si nascondono. Spero di dare voce a tutte quelle vittime che vengono colpevolizzate, quando in realtà il colpevole è dall’altra parte dello schermo, che riprende o ‘si limita’ a condividere. Oggi la vittima sono io, domani potrebbe essere una persona vicina a chi magari adesso sta guardando i video e sorride". Nelle sue parole c'è davvero tutto e vogliamo ribadirlo: il revenge porn è colpa di chi lo pratica, mai di chi lo subisce. Fare sesso non deve essere un tabù, vivere la propria sessualità deve essere un momento di gioia non di paura, nemmeno di essere ripresi/e a nostra insaputa. È fare violenza sulle donne anche il solo gesto di sorridere, in silenzio, quando un amico ci manda le immagini di una ragazza in atteggiamenti intimi, a sua insaputa, o quando invece di denunciare inviamo a nostra volta quelle foto o quei video. E no, non è colpa della ragazza perché troppo bella o troppo 'libertina'. È colpa nostra.
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