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Home » Attualità » “La vera sfida? Mettere tutti d’accordo. Resistere al cambiamento fa male”

“La vera sfida? Mettere tutti d’accordo. Resistere al cambiamento fa male”

Smart working, remote working... Tanti nomi per un solo concetto. "Io dico lavoro ibrido. È una risorsa da studiare e dobbiamo lasciare le aziende libere di trovare la loro forma ideale"

Luisa Bagnoli
25 Novembre 2021
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Smartworking

 

“Innanzitutto troviamoci d’accordo sul nome: in tutto il mondo si è parlato di remote working, qui in Italia invece di smart working. Io propongono la dicitura lavoro ibrido perché hybrid working è usato anche all’estero ed è importante partire dalle parole perché, come ha detto benissimo il filosofo Vito Mancuso: “Con le frasi si può mentire, con le parole no”. Siamo in una fase di affermazioni e di poche domande e io per affrontare il tema caldo, emotivo, divisivo del lavoro ibrido voglio partire proprio da queste. La prima: Ha senso tornare identici a prima?

No, dobbiamo cambiare tutto, altrimenti sarebbe come voler mettere della benzina dentro un auto elettrica. Seconda domanda: È possibile guardare al lavoro ibrido con la stessa visione e con lo stesso mindset di prima? Neanche, il famoso panta rei di Eraclito, il tutto scorre, ci dice che non è possibile e che resistere al cambiamento fa male alle emozioni come al prodotto interno lordo. Terza e ultima domanda: Ci sono persone più portate al cambiamento di altre? Sì, ma la sfida è mettere tutti d’accordo, creare un ponte. Pensiamo al filone del no al lavoro ibrido: queste persone durante l’emergenza hanno vissuto il lavoro ibrido in maniera totalizzante: hanno lavorato (forse anche più di prima), ma sull’emergenza quotidiana, senza aver avuto lo spazio mentale per l’innovazione, la creatività, perché entrambe richiedono empatia. Dall’altra parte, il filone del sì a tutti i costi è fatto di persone sicuramente più portate al cambiamento, ma anche da lavoratori che hanno giovato del lavoro da remoto perché si sono liberati della presenza di colleghi e capi che non gli piacevano. Come al solito, due parti contrarie vedono da punti di vista opposti lo stesso problema, che in questo caso è uno: l’empatia.

Il lavoro ibrido è una risorsa ma dobbiamo lasciare le aziende libere di trovare la loro forma. Sugli ingredienti giusti per un lavoro ibrido all’altezza del suo nome, però, la combo è una sola: empatia, cybersecurity, nuove tecnologie e la telepresenza robotica che oggi è diventata un must have perché è un Avatar che ti dà tre dimensioni, quelle necessarie all’apprendimento e all’innovazione”.

 

28% La percentuale di chi nel 2021 ha sofferto di “tecnostress” causato da smart working

38% Si sente più efficiente nello svolgimento della sua mansione

 

 

LUISA BAGNOLI è imprenditrice, economista comportamentale e senior advisorsul talento di oggi e su quello di domani.
Ha fondato nel 2019 una scuola sul Futuro e nel 2021 una scuola di Intelligenza Artificial

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Smartworking

  "Innanzitutto troviamoci d’accordo sul nome: in tutto il mondo si è parlato di remote working, qui in Italia invece di smart working. Io propongono la dicitura lavoro ibrido perché hybrid working è usato anche all’estero ed è importante partire dalle parole perché, come ha detto benissimo il filosofo Vito Mancuso: “Con le frasi si può mentire, con le parole no”. Siamo in una fase di affermazioni e di poche domande e io per affrontare il tema caldo, emotivo, divisivo del lavoro ibrido voglio partire proprio da queste. La prima: Ha senso tornare identici a prima? No, dobbiamo cambiare tutto, altrimenti sarebbe come voler mettere della benzina dentro un auto elettrica. Seconda domanda: È possibile guardare al lavoro ibrido con la stessa visione e con lo stesso mindset di prima? Neanche, il famoso panta rei di Eraclito, il tutto scorre, ci dice che non è possibile e che resistere al cambiamento fa male alle emozioni come al prodotto interno lordo. Terza e ultima domanda: Ci sono persone più portate al cambiamento di altre? Sì, ma la sfida è mettere tutti d’accordo, creare un ponte. Pensiamo al filone del no al lavoro ibrido: queste persone durante l’emergenza hanno vissuto il lavoro ibrido in maniera totalizzante: hanno lavorato (forse anche più di prima), ma sull’emergenza quotidiana, senza aver avuto lo spazio mentale per l’innovazione, la creatività, perché entrambe richiedono empatia. Dall’altra parte, il filone del sì a tutti i costi è fatto di persone sicuramente più portate al cambiamento, ma anche da lavoratori che hanno giovato del lavoro da remoto perché si sono liberati della presenza di colleghi e capi che non gli piacevano. Come al solito, due parti contrarie vedono da punti di vista opposti lo stesso problema, che in questo caso è uno: l’empatia. Il lavoro ibrido è una risorsa ma dobbiamo lasciare le aziende libere di trovare la loro forma. Sugli ingredienti giusti per un lavoro ibrido all’altezza del suo nome, però, la combo è una sola: empatia, cybersecurity, nuove tecnologie e la telepresenza robotica che oggi è diventata un must have perché è un Avatar che ti dà tre dimensioni, quelle necessarie all’apprendimento e all’innovazione”.  

28% La percentuale di chi nel 2021 ha sofferto di “tecnostress” causato da smart working

38% Si sente più efficiente nello svolgimento della sua mansione

    LUISA BAGNOLI è imprenditrice, economista comportamentale e senior advisorsul talento di oggi e su quello di domani. Ha fondato nel 2019 una scuola sul Futuro e nel 2021 una scuola di Intelligenza Artificial
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