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L'appello della dottoressa afghana della Fondazione Veronesi a Herat, fuggita in Italia: "Non dimenticate l'Afghanistan"

di FRANCESCO LOMMI -
25 agosto 2021
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"Mi rivolgo alla comunità internazionale e alla politica, chiedendo loro di non dimenticare e abbandonare il nostro paese, l'Afghanistan, e di intervenire". È l'appello di F.R, 40 anni, una delle dottoresse che lavoravano al centro per la prevenzione del tumore al seno della Fondazione Veronesi a Herat, ora caduto in mano ai talebani. La dottoressa da pochi giorni ha trovato rifugio in Italia con la sua famiglia. Adesso si trova a Milano, dove sta trascorrendo il periodo di quarantena obbligatoria in un Covid hotel e da dove ha raccontato i giorni della presa del potere dei talebani e la fuga insieme alla famiglia in un Paese ormai "in guerra". Nel centro della Fondazione Veronesi "ero il medico responsabile della struttura e mi occupavo dell'accoglienza e della gestione delle donne anche dal punto di vista psicologico - ha raccontato all'ANSA - Ho iniziato il mio lavoro nel 2011 e il centro è cresciuto molto negli anni anche come notorietà: quando siamo partiti avevamo una, due pazienti al giorno, nel 2021 ne visitavamo dalle 20 alle 30. Credo che in questi anni abbiamo superato le 10 mila pazienti". Quella di F.R., fino a poche settimane fa, era una vita al servizio delle donne, fino a quando la minaccia dei talebani non ha iniziato a farsi sempre più concreta e vicina. "Abbiamo iniziato a sentirci in pericolo quando i talebani hanno circondato la città - ha ricordato -, così abbiamo scritto alla Fondazione Veronesi per chiedere loro di aiutarci a lasciare la città perché ci sentivamo in pericolo di vita". Da quel momento è iniziata la fuga verso Kabul, nella speranza di lasciare l'Afghanistan, mentre i talebani avanzavano nella conquista dei territori verso la capitale: «Abbiamo attraversato un Paese in guerra, è stato difficile raggiungere Kabul e ci siamo arrivate proprio il giorno dopo che Herat è stata conquistata dai talebani». Una volta arrivate a Kabul "ci siamo trovate ancora una volta in mezzo ai combattimenti", ha aggiunto spiegando che per arrivare all'aeroporto la situazione era "pericolosa", tanto che un primo tentativo durato una giornata intera non è andato a buon fine e lei e le sue colleghe con le relative famiglie sono dovute tornare indietro. Anche adesso che si trova in Italia, con la sua famiglia e i suoi quattro figli di 10, 8, due anni e il più piccolo di 10 mesi, F.R. non si sente ancora al sicuro e teme ritorsioni per lei e per i suoi cari rimasti in Afghanistan. "I talebani sono persone non istruite, ignoranti di cui non ci possiamo fidare - ha detto -, loro non accettano e non amano gli afghani che hanno collaborato con le realtà occidentali e per questo sono spaventata e preoccupata. So che hanno fatto domande su di me alla mia famiglia, che mi stavano cercando e chiedevano dove fossi e questo mi fa paura". All'Italia, che la sta accogliendo, F.R. chiede «di essere aiutata e supportata per potermi creare una vita dignitosa qui". Anche se la sua speranza è quella di poter tornare a lavorare nel suo paese, a Herat. "Sfortunatamente adesso le donne non hanno più un Centro di riferimento a cui potersi rivolgere per le cure. Non so come sarà il mio futuro, ma spero un giorno di poter tornare in Afghanistan per aiutare il mio popolo".