Lavoro minorile: un’espressione che evoca spettri provenienti dal passato più o meno remoto, oppure immagini di Paesi del Terzo o Quarto mondo. Visioni da altri universi spaziotemporali che sentiamo e crediamo lontani. Così almeno ci pare. Ed invece, se è vero che la massima parte dei circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei Paesi poveri, e che quasi la metà di loro (79 milioni) svolge un lavoro pericoloso, che cioè può danneggiarne direttamente la salute e lo sviluppo psico-fisico, è altrettanto indiscutibile che fenomeno interessi anche gli Stati più sviluppati, Italia compresa. In forme marginali ma non per questo trascurabili o da passare sotto silenzio.
I numeri ci dicono che nell’Africa subsahariana la quota di minori lavoratori arriva al 23,9%, ovvero un totale di circa 86,6 milioni di bambini e ragazzi. Percentuale per altro che, dopo anni di diminuzione, è tornata a crescere, passando dal 22,4% nel 2016 al 23,9% attuale. Dinamica opposta a quella che si verifica nelle aree “Asia e pacifico” e “America latina e Caraibi”, dove abbiamo un totale di circa 35 milioni di bambini lavoratori, ma in diminuzione, passando da una quota pari al 10% – o superiore – del 2008, al 6% attuale.
A fronte di queste cifre, i dati del fenomeno nei paesi occidentali sono senza dubbio di dimensioni enormemente più ridotte. Ma dire che il fenomeno sia completamente debellato è una falsità. In Europa e nel Nord America lavora infatti il 2,3% dei bambini e dei ragazzi, pari a 3,8 milioni di minori. E anche in Italia sacche di lavoro minorile persistono in diversi ambiti.
Dalle statistiche 2020 dell’ispettorato nazionale del lavoro, ricaviamo un totale di 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati, prevalentemente nei settori “alloggio e ristorazione” (51 minori), “attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento” (23), “commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli” (20), “altre attività di servizi” (19). In quasi tutte le aree del paese si tratta in maggioranza di ragazze (oltre il 50% dei casi nel nord, 72% nel centro). Fa eccezione il sud dove i maschi sono il 53% dei lavoratori minori irregolarmente occupati. Tra le regioni, il maggior numero di violazioni si registra in Abruzzo (28), Lombardia (26) e Puglia (21).
Attenzione a ritenere il fenomeno debellato dunque, anche perché, con siamo di fronte a dati che verosimilmente rappresentano solo una frazione di un fenomeno che ha con ogni probabilità una portata ben più ampia.
Lo rileva la ricerca “Game over” dell’associazione Bruno Trentin e di Save The Children, che negli anni scorsi era arrivata ad una stima finale di 340mila minori di 16 anni al lavoro. Tra cui 28mila coinvolti in lavori pericolosi per salute e sicurezza.
Su un campione di 14-15enni iscritti al biennio della scuola superiore, era emerso che nella maggior parte dei casi si trattava di attività domestiche e di cura (30,9% dei casi), comprendendo solo collaborazioni che per quantità di ore, impegno e interferenza con la scuola fossero assimilabili al lavoro domestico o di cura. A seguire il settore della ristorazione (18,7%), ovvero baristi, camerieri, aiuti in cucina, in pasticcerie o nei panifici. Quindi le attività di vendita (14,7% del totale), sia in negozio che nel commercio ambulante, con funzioni di aiuto o come commesso. E l’agricoltura (10%): dall’aiuto nella coltivazione e in attività come bracciante al lavoro con gli animali.