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Home » Attualità » Lavoro minorile, è allarme anche in Italia. E le bambine sono le più sfruttate

Lavoro minorile, è allarme anche in Italia. E le bambine sono le più sfruttate

Secondo i dati dell'Ispettorato del lavoro, 127 casi accertati nel 2020. Ristorazione e alloggio i settori dove c'è più irregolarità

Domenico Guarino
12 Luglio 2022
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Lavoro minorile: un’espressione che evoca spettri provenienti dal passato più o meno remoto, oppure immagini di Paesi del Terzo o Quarto mondo. Visioni da altri universi spaziotemporali che sentiamo e crediamo lontani. Così almeno ci pare. Ed invece, se è vero che la massima parte dei circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei Paesi poveri, e che quasi la metà di loro (79 milioni) svolge un lavoro pericoloso, che cioè può danneggiarne direttamente la salute e lo sviluppo psico-fisico, è altrettanto indiscutibile che fenomeno interessi anche gli Stati più sviluppati, Italia compresa. In forme marginali ma non per questo trascurabili o da passare sotto silenzio.

I numeri ci dicono che nell’Africa subsahariana la quota di minori lavoratori arriva al 23,9%, ovvero un totale di circa 86,6 milioni di bambini e ragazzi. Percentuale per altro che, dopo anni di diminuzione, è tornata a crescere, passando dal 22,4% nel 2016 al 23,9% attuale. Dinamica opposta a quella che si verifica nelle aree “Asia e pacifico” e “America latina e Caraibi”, dove abbiamo un totale di circa 35 milioni di bambini lavoratori, ma in diminuzione, passando da una quota pari al 10% – o superiore – del 2008, al 6% attuale.

Circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei paesi poveri
Circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei paesi poveri

A fronte di queste cifre, i dati del fenomeno nei paesi occidentali sono senza dubbio di dimensioni enormemente più ridotte. Ma dire che il fenomeno sia completamente debellato è una falsità. In Europa e nel Nord America lavora infatti il 2,3% dei bambini e dei ragazzi, pari a 3,8 milioni di minori. E anche in Italia sacche di lavoro minorile persistono in diversi ambiti.

Dalle statistiche 2020 dell’ispettorato nazionale del lavoro, ricaviamo un totale di 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati, prevalentemente nei settori “alloggio e ristorazione” (51 minori), “attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento” (23), “commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli” (20), “altre attività di servizi” (19). In quasi tutte le aree del paese si tratta in maggioranza di ragazze (oltre il 50% dei casi nel nord, 72% nel centro). Fa eccezione il sud dove i maschi sono il 53% dei lavoratori minori irregolarmente occupati. Tra le regioni, il maggior numero di violazioni si registra in Abruzzo (28), Lombardia (26) e Puglia (21).

Attenzione a ritenere il fenomeno debellato dunque, anche perché, con siamo di fronte a dati che verosimilmente rappresentano solo una frazione di un fenomeno che ha con ogni probabilità una portata ben più ampia.
Lo rileva la ricerca “Game over” dell’associazione Bruno Trentin e di Save The Children, che negli anni scorsi era arrivata ad una stima finale di 340mila minori di 16 anni al lavoro. Tra cui 28mila coinvolti in lavori pericolosi per salute e sicurezza.

In Italia, nel 2020, ben 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati
In Italia, nel 2020, ben 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati

Su un campione di 14-15enni iscritti al biennio della scuola superiore, era emerso che nella maggior parte dei casi si trattava di attività domestiche e di cura (30,9% dei casi), comprendendo solo collaborazioni che per quantità di ore, impegno e interferenza con la scuola fossero assimilabili al lavoro domestico o di cura. A seguire il settore della ristorazione (18,7%), ovvero baristi, camerieri, aiuti in cucina, in pasticcerie o nei panifici. Quindi le attività di vendita (14,7% del totale), sia in negozio che nel commercio ambulante, con funzioni di aiuto o come commesso. E l’agricoltura (10%): dall’aiuto nella coltivazione e in attività come bracciante al lavoro con gli animali.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Lavoro minorile: un’espressione che evoca spettri provenienti dal passato più o meno remoto, oppure immagini di Paesi del Terzo o Quarto mondo. Visioni da altri universi spaziotemporali che sentiamo e crediamo lontani. Così almeno ci pare. Ed invece, se è vero che la massima parte dei circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei Paesi poveri, e che quasi la metà di loro (79 milioni) svolge un lavoro pericoloso, che cioè può danneggiarne direttamente la salute e lo sviluppo psico-fisico, è altrettanto indiscutibile che fenomeno interessi anche gli Stati più sviluppati, Italia compresa. In forme marginali ma non per questo trascurabili o da passare sotto silenzio. I numeri ci dicono che nell'Africa subsahariana la quota di minori lavoratori arriva al 23,9%, ovvero un totale di circa 86,6 milioni di bambini e ragazzi. Percentuale per altro che, dopo anni di diminuzione, è tornata a crescere, passando dal 22,4% nel 2016 al 23,9% attuale. Dinamica opposta a quella che si verifica nelle aree "Asia e pacifico" e "America latina e Caraibi", dove abbiamo un totale di circa 35 milioni di bambini lavoratori, ma in diminuzione, passando da una quota pari al 10% - o superiore - del 2008, al 6% attuale.
Circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei paesi poveri
Circa 160 milioni i bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni costretti a lavorare vive soprattutto nei paesi poveri
A fronte di queste cifre, i dati del fenomeno nei paesi occidentali sono senza dubbio di dimensioni enormemente più ridotte. Ma dire che il fenomeno sia completamente debellato è una falsità. In Europa e nel Nord America lavora infatti il 2,3% dei bambini e dei ragazzi, pari a 3,8 milioni di minori. E anche in Italia sacche di lavoro minorile persistono in diversi ambiti. Dalle statistiche 2020 dell'ispettorato nazionale del lavoro, ricaviamo un totale di 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati, prevalentemente nei settori "alloggio e ristorazione" (51 minori), "attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento" (23), "commercio all'ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli" (20), "altre attività di servizi" (19). In quasi tutte le aree del paese si tratta in maggioranza di ragazze (oltre il 50% dei casi nel nord, 72% nel centro). Fa eccezione il sud dove i maschi sono il 53% dei lavoratori minori irregolarmente occupati. Tra le regioni, il maggior numero di violazioni si registra in Abruzzo (28), Lombardia (26) e Puglia (21). Attenzione a ritenere il fenomeno debellato dunque, anche perché, con siamo di fronte a dati che verosimilmente rappresentano solo una frazione di un fenomeno che ha con ogni probabilità una portata ben più ampia. Lo rileva la ricerca "Game over" dell’associazione Bruno Trentin e di Save The Children, che negli anni scorsi era arrivata ad una stima finale di 340mila minori di 16 anni al lavoro. Tra cui 28mila coinvolti in lavori pericolosi per salute e sicurezza.
In Italia, nel 2020, ben 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati
In Italia, nel 2020, ben 127 casi accertati di minori irregolarmente occupati
Su un campione di 14-15enni iscritti al biennio della scuola superiore, era emerso che nella maggior parte dei casi si trattava di attività domestiche e di cura (30,9% dei casi), comprendendo solo collaborazioni che per quantità di ore, impegno e interferenza con la scuola fossero assimilabili al lavoro domestico o di cura. A seguire il settore della ristorazione (18,7%), ovvero baristi, camerieri, aiuti in cucina, in pasticcerie o nei panifici. Quindi le attività di vendita (14,7% del totale), sia in negozio che nel commercio ambulante, con funzioni di aiuto o come commesso. E l’agricoltura (10%): dall'aiuto nella coltivazione e in attività come bracciante al lavoro con gli animali.
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