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Home » Attualità » Le pari opportunità si determinano nei primi tre anni di vita di un bambino: la ricerca

Le pari opportunità si determinano nei primi tre anni di vita di un bambino: la ricerca

Oltre al contesto familiare, le disparità iniziano con l’offerta di servizi per la prima infanzia, la cui presenza in Italia è segnata da fortissimi divari territoriali

Domenico Guarino
18 Dicembre 2021
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Potrà sembrarvi strano, ma le pari opportunità che la Costituzione garantisce a ciascun cittadino del nostro Paese si determinano sostanzialmente nei primi 1.000 giorni di vita. Secondo una ricerca dell’Istituto degli Innocenti 2020 è infatti proprio in questa fase che si gettano le basi di tutti gli apprendimenti successivi, comprese le possibilità di successo nella propria vita lavorativa. È dunque nei primi tre anni che si indirizza, o addirittura si determina, la qualità dell’esistenza di un individuo. Per questo prestare attenzione alle condizioni materiali e morali in cui un bambino cresce, in particolare nella fase inziale della sua infanzia, è fondamentale. E, al di là del contesto familiare, è di straordinaria importanza la possibilità di godere di servizi educativi all’altezza. Purtroppo, anche da questo punto di vista, nonostante il progressivo avvicinamento del nostro Paese agli obiettivi europei in materia, l’offerta di servizi per la prima infanzia in Italia risulta carente e resta segnata da fortissimi divari territoriali. A fronte infatti di un investimento totale per gli asili nido pari a 1,29 miliardi di euro nel complesso delle regioni a statuto ordinario (dati 2017), nel sud, ma anche nel nord-ovest del nostro Paese, la quota di comuni con la spesa storica inferiore allo standard si attesta sull’85%. Mentre è più contenuta – ma comunque maggioritaria – nell’Italia nord-orientale (76,4% dei comuni spendono meno dello standard) e in quella centrale (73,7%).

Divari territoriali per posti disponibili e servizio mensa negli asili nido

Se questo è il quadro generale, analizzando i dati raccolti da Sose per il federalismo fiscale, il divario tra centro-nord e mezzogiorno appare in tutta la sua drammatica evidenza.Il confronto tra regioni ci dice infatti che, se nei comuni toscani ed emiliano-romagnoli (in media) l’offerta comunale sul totale dei residenti tra 0 e 2 anni (attraverso strutture proprie, posti in convenzione o voucher) copre oltre il 20%, in quelli del sud la quota si ferma al 5%. Addirittura sotto questa soglia in Campania e in Calabria. Altra divisione è quella tra i comuni maggiori (dove il servizio è solitamente più strutturato) e i piccoli centri: sotto i 3mila abitanti la copertura comunale in media non arriva al 10%, fermandosi all’ 8% dei residenti con meno di 3 anni nei comuni tra duemila e tremila abitanti. A variare sul territorio sono anche le modalità con cui il servizio viene erogato. In alcune regioni, come Calabria, Marche e Basilicata, in media oltre il 50% degli utenti frequenta infatti istituti gestiti in convenzione da privati, mentre in Piemonte e in Liguria sono meno del 20%. Nei comuni di questi due territori, così come in Molise, Puglia, Lombardia, Veneto e Campania, una quota superiore alla media italiana delle regioni a statuto ordinario accede al servizio attraverso voucher.

Capitolo a parte merita poi il servizio mensa. Se nel centro Italia e nel nord-est oltre l’80% degli utenti dei nidi usufruisce del servizio di ristoro, al sud la media si attesta ben al di sotto del 10%. Il divario nord-sud è frutto certamente anche del fatto che in alcune aree del paese lo sviluppo della rete di asili nido e dei servizi per la prima infanzia è stato avviato decenni fa, con esperienze didattiche anche pionieristiche, tanto da rappresentare un’avanguardia a livello mondiale. Di certo, per l’importanza che riveste nella crescita del bambino e nell’incentivo all’occupazione, la politica è chiamata a colmare o quantomeno a ridurre il più possibile, questo divario, ampliando l’offerta e la qualità delle prestazioni, anche nelle zone in cui il servizio è già ora più esteso. In questo quadro, fortunatamente, il testo della legge di bilancio per il 2022 attualmente in discussione, prevede l’introduzione di alcune importanti novità sul tema. Si prevede ad esempio di destinare ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della Sicilia e della Sardegna le risorse finalizzate a incrementare il numero di posti disponibili negli asili nido, fino a raggiungere nel 2027 il livello minimo garantito del 33% di posti (incluso il servizio privato) per ciascun comune o bacino territoriale, in rapporto alla popolazione di età compresa tra i 3 e i 36 mesi. In particolare, verrebbero destinate a questi enti 120 milioni di euro per l’anno 2022 (20 milioni in più rispetto alla legislazione vigente), 175 milioni di euro per l’anno 2023 (+25 milioni), 230 milioni di euro per l’anno 2024 (+ 30 milioni), 300 milioni di euro per l’anno 2025 (+50 milioni), 450 milioni di euro per l’anno 2026 (+150 milioni) e 1.100 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2027 (+800 milioni). Ancora non basta, ma certamente si tratta di un segnale che va nella giusta direzione.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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Potrà sembrarvi strano, ma le pari opportunità che la Costituzione garantisce a ciascun cittadino del nostro Paese si determinano sostanzialmente nei primi 1.000 giorni di vita. Secondo una ricerca dell’Istituto degli Innocenti 2020 è infatti proprio in questa fase che si gettano le basi di tutti gli apprendimenti successivi, comprese le possibilità di successo nella propria vita lavorativa. È dunque nei primi tre anni che si indirizza, o addirittura si determina, la qualità dell’esistenza di un individuo. Per questo prestare attenzione alle condizioni materiali e morali in cui un bambino cresce, in particolare nella fase inziale della sua infanzia, è fondamentale. E, al di là del contesto familiare, è di straordinaria importanza la possibilità di godere di servizi educativi all’altezza. Purtroppo, anche da questo punto di vista, nonostante il progressivo avvicinamento del nostro Paese agli obiettivi europei in materia, l’offerta di servizi per la prima infanzia in Italia risulta carente e resta segnata da fortissimi divari territoriali. A fronte infatti di un investimento totale per gli asili nido pari a 1,29 miliardi di euro nel complesso delle regioni a statuto ordinario (dati 2017), nel sud, ma anche nel nord-ovest del nostro Paese, la quota di comuni con la spesa storica inferiore allo standard si attesta sull'85%. Mentre è più contenuta - ma comunque maggioritaria - nell'Italia nord-orientale (76,4% dei comuni spendono meno dello standard) e in quella centrale (73,7%).

Divari territoriali per posti disponibili e servizio mensa negli asili nido

Se questo è il quadro generale, analizzando i dati raccolti da Sose per il federalismo fiscale, il divario tra centro-nord e mezzogiorno appare in tutta la sua drammatica evidenza.Il confronto tra regioni ci dice infatti che, se nei comuni toscani ed emiliano-romagnoli (in media) l’offerta comunale sul totale dei residenti tra 0 e 2 anni (attraverso strutture proprie, posti in convenzione o voucher) copre oltre il 20%, in quelli del sud la quota si ferma al 5%. Addirittura sotto questa soglia in Campania e in Calabria. Altra divisione è quella tra i comuni maggiori (dove il servizio è solitamente più strutturato) e i piccoli centri: sotto i 3mila abitanti la copertura comunale in media non arriva al 10%, fermandosi all’ 8% dei residenti con meno di 3 anni nei comuni tra duemila e tremila abitanti. A variare sul territorio sono anche le modalità con cui il servizio viene erogato. In alcune regioni, come Calabria, Marche e Basilicata, in media oltre il 50% degli utenti frequenta infatti istituti gestiti in convenzione da privati, mentre in Piemonte e in Liguria sono meno del 20%. Nei comuni di questi due territori, così come in Molise, Puglia, Lombardia, Veneto e Campania, una quota superiore alla media italiana delle regioni a statuto ordinario accede al servizio attraverso voucher. Capitolo a parte merita poi il servizio mensa. Se nel centro Italia e nel nord-est oltre l’80% degli utenti dei nidi usufruisce del servizio di ristoro, al sud la media si attesta ben al di sotto del 10%. Il divario nord-sud è frutto certamente anche del fatto che in alcune aree del paese lo sviluppo della rete di asili nido e dei servizi per la prima infanzia è stato avviato decenni fa, con esperienze didattiche anche pionieristiche, tanto da rappresentare un’avanguardia a livello mondiale. Di certo, per l'importanza che riveste nella crescita del bambino e nell'incentivo all'occupazione, la politica è chiamata a colmare o quantomeno a ridurre il più possibile, questo divario, ampliando l’offerta e la qualità delle prestazioni, anche nelle zone in cui il servizio è già ora più esteso. In questo quadro, fortunatamente, il testo della legge di bilancio per il 2022 attualmente in discussione, prevede l'introduzione di alcune importanti novità sul tema. Si prevede ad esempio di destinare ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della Sicilia e della Sardegna le risorse finalizzate a incrementare il numero di posti disponibili negli asili nido, fino a raggiungere nel 2027 il livello minimo garantito del 33% di posti (incluso il servizio privato) per ciascun comune o bacino territoriale, in rapporto alla popolazione di età compresa tra i 3 e i 36 mesi. In particolare, verrebbero destinate a questi enti 120 milioni di euro per l'anno 2022 (20 milioni in più rispetto alla legislazione vigente), 175 milioni di euro per l'anno 2023 (+25 milioni), 230 milioni di euro per l'anno 2024 (+ 30 milioni), 300 milioni di euro per l'anno 2025 (+50 milioni), 450 milioni di euro per l’anno 2026 (+150 milioni) e 1.100 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2027 (+800 milioni). Ancora non basta, ma certamente si tratta di un segnale che va nella giusta direzione.
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