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Viareggio, fuorisede licenziata per aver chiesto di andare a votare: "Speravo almeno in un confronto umano"

La ragazza, che lavora in una struttura in Versilia ed è però residente in Campania, ha perso il lavoro e l'ha scoperto da una mail del titolare a cui si era rivolta

di MARIANNA GRAZI -
14 settembre 2022
fuorisede al voto

fuorisede al voto

Quando reclamare il proprio diritto di voto ti fa perdere il lavoro. Sembra assurdo, ma è realmente accaduto a una ragazza che vive a Viareggio ed è dipendente in una struttura della Versilia. La giovane, come riportato dalla Nazione, è originaria della Campania e in vista delle prossime elezioni politiche del 25 settembre ha domandato al proprio titolare di potersi recare alle urne nella propria regione d'origine, una di quei circa 5 milioni di fuorisede che altrimenti non potrebbe esercitare il suo diritto/dovere civico di cittadina. Non si aspettava certo che, invece di uno sperato sì o di un banale no, nella sua  casella di posta elettronica fosse recapitata una mail di licenziamento.
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Sono circa 5 milioni i fuorisede che dovranno spostarsi per votare, o scegliere di non esercitare il proprio diritto

Venerdì scorso, 9 settembre, la ragazza si è rivolta al gestore chiedendo un permesso, invece di consumare preziosi giorni di ferie per scendere nel suo paese di residenza, rimasta in Campania nonostante da anni si sia spostata in Toscana per lavoro. "Quando ho chiesto se potessi usufruire di un permesso mi hanno detto che avrebbero chiesto al loro consulente", ha raccontato al quotidiano. Ma il responso è stato il più drastico. È emerso infatti che alla lavoratrice non spettava il permesso, diritto di cui possono beneficiare solo le figure impegnate ai seggi elettorali, oppure quei dipendenti che hanno questo tipo di garanzia nei loro contratti di lavoro. Non il suo caso, purtroppo. Alla richiesta, legittima, di come potesse allora ottenere i giorni necessari per recarsi alle urne elettorali, però, la dipendente non ha avuto risposta così come al perché, il mattino successivo, si sia invece ritrovata senza lavoro. Assunta nella seconda metà del mese di luglio, il suo contratto individuale prevedeva un periodo di prova di 90 giorni, durante il quale la struttura avrebbe potuto mandarla via in qualunque momento, senza doverle fornire alcuna ragione. E così è stato: la direzione dell'azienda non è tenuta a dare alcuna motivazione, si è sentita dire. Ma se lo shock per il licenziamento è comprensibile, "Mi sarei aspettata almeno un confronto dal punto di vista umano perché dal mio punto di vista non ci sono stati errori o mancanze sotto il profilo lavorativo", dice ancora la giovane, altrettanto legittimo, pur se privo di sensibilità, è stato l'atteggiamento dei suoi responsabili di lavoro.
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La giovane campana ha chiesto al titolare della struttura in Versilia un permesso per andare a votare, ma è stata licenziata

"Forse sono stata ingenua io a firmare un contratto con così poche garanzie – conclude la giovane –, ma ha prevalso la prospettiva di un minimo di stabilità, con un impiego in un settore per il quale ho studiato, anche a fronte di un salario che, fatti due conti, superava di poco i 5 euro l’ora". Non proprio uno stipendio stellare quindi, sintomo di problematiche ben più gravi nel mondo del lavoro, soprattutto per i giovani e per le donne. Ma questa è un'altra storia. Quel che è certo è che se anche ora la giovane campana potrà andare a votare, il 26 settembre si troverà senza un lavoro: passate le elezioni, per lei sarà tutto da rifare. E chissà se questa sua vicenda non possa essere da stimolo per il prossimo governo, perché non è ammissibile che, in un Paese civile, perché una giovane possa esercitare un suo diritto di cittadina, debba rinunciare ad un altro. Altrimenti, nella bilancia sociale, a perdere è il buon senso.