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Home » Attualità » Maltrattata perché lesbica, il giudice condanna a tre mesi il caporeparto della Lidl

Maltrattata perché lesbica, il giudice condanna a tre mesi il caporeparto della Lidl

Insultata e umiliata sul posto di lavoro perché omosessuale, Sara Silvestrini, 40enne di Lugo, ha vinto la battaglia in tribunale contro coloro che l’hanno derisa

Edoardo Martini
22 Giugno 2022
Non è la prima volta che vengono registrati insulti omofobi sul luogo di lavoro: questa volta è toccato a Sara

Non è la prima volta che vengono registrati insulti omofobi sul luogo di lavoro: questa volta è toccato a Sara

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Un nuovo caso di omofobia viene da Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, dove la dipendente, Sara Silvestrini, di un supermercato Lidl ha subito per molto tempo delle angherie sul luogo di lavoro in quanto lesbica. La Lidl è chiamata dal Tribunale di Ravenna a risarcirla a seguito delle vessazioni subìte per la sua omosessualità, a causa delle quali sono stati condannati quattro suoi superiori: il caporeparto, il procuratore speciale della ditta, i coordinatori regionali dell’amministrazione e della logistica.

Il supermercato Lidl al centro del ciclone per le offese omofobe a Sara Silvestrini

“Se i camionisti mi molestavano la colpa era comunque la mia”: la denuncia di Sara

Sara Silvestrini aveva lavorato per 10 anni come magazziniera al supermercato Lidl di Massa Lombarda e veniva sottoposta a vari maltrattamenti sul luogo di lavoro: turni di notte imposti anche se non previsti dal contratto, chiamate a qualsiasi ora, rimproveri plateali e ingiustificati e battute a sfondo sessuale.

“Ogni volta che iniziavo il turno notturno voleva che lo chiamassi al telefono per farmi il resoconto della nottata precedente e non perdeva occasione per insultarmi e offendermi“, ha ricordato Sara ad EmiliaRomagnaMamma in riferimento al suo superiore. “Mentre accumulavo ansie su ansie, prese a darmi la colpa quando dicevo che certi camionisti avevano brutti modi di fare, aggressivi. La responsabilità, a detta sua, era mia che non ero gentile e accomodante, che ero acida. Che con i camionisti dovevo essere in un certo modo, che non poteva essere lui a dirmi come fare ma che avevo capito perfettamente cosa intendeva. Però, se qualche volta alcuni camionisti mi molestavano la colpa era comunque mia, perché a suo dire davo troppa confidenza”.

E per non farsi mancare nulla iniziano anche le aggressioni fisiche: “Una volta mi ha strattonata per la camicia, un’altra volta mi è venuto volontariamente addosso muletto contro muletto, e altre volte mi ‘schiacciava’ contro la parete mentre mi parlava”. “Ho dovuto assumere alcuni farmaci per riuscire a rientrare al lavoro dopo un periodo di assenza, e ho iniziato anche a essere seguita da una psicoterapeuta. Di lì a poco, il 28 luglio del 2015, sono stata licenziata in seguito all’ennesima lettera di richiamo.”

La relazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona ha parlato di “Disturbo post traumatico da stress cronico reattivo a una condizione lavorativa che può essere inquadrata nelle molestie morali protratte”. Nel 2014 cominciò a stare male rimanendo a casa e nel 2015, poco dopo il suo ritorno, viene licenziata con la dicitura “giusta causa”.

A costituirsi come parte civile anche la compagna della donna, Federica Chiarentini, a suo dire danneggiata di riflesso dai problemi di salute avuti da Sara, con cui fa coppia da 8 anni.

Non è la prima volta che vengono registrati insulti omofobi sul luogo di lavoro: questa volta è toccato a Sara

La vittoria in sede legale

Così Sara ha trovato il coraggio di denunciare il tutto all’avvocato Alfonso Gaudenzi e adesso dopo sette anni il suo capro espiatorio, il caporeparto del supermercato Emanuel Dante, è stato condannato dal giudice a tre mesi, mentre sono arrivati 500 euro di multa per i dirigenti Lidl Pietro Rocchi, Emiliano Brunetti e Claudio Amatori. La Lidl invece è stata condannata in quanto responsabile civile e per Sara sono stati riconosciuti 30mila euro di provvisionale e in sede civile ci saranno i danni da stabilire assieme a Federica, la compagna si Sara che aveva notato il suo disagio psicologico.

“Mi porto ancora dietro, a livello psicologico, le ripercussioni di come sono stata trattata“, ha confessato Sara ad EmiliaRomagnaMamma . “Non posso dire con certezza che la mia omosessualità c’entri qualcosa. Una volta sentii il caporeparto chiedere in mia presenza a un camionista se avesse preferito avere un figlio gay o interista, stupendosi negativamente dinanzi al fatto che avrebbe preferito un figlio omosessuale. Certamente, chiedere di essere più ‘carina e disponibile” con i camionisti quando sapeva che sono lesbica, mi è molto pesato. Ma questo, in quanto donna, mi avrebbe infastidito a prescindere dalla mia omosessualità. Fatto sta che sono stata denigrata, offesa, minacciata. E vorrei avere giustizia, sperando che questo possa essere d’aiuto a chiunque subisca angherie pesanti e umilianti sul posto di lavoro”.

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Instagram

  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
Un nuovo caso di omofobia viene da Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, dove la dipendente, Sara Silvestrini, di un supermercato Lidl ha subito per molto tempo delle angherie sul luogo di lavoro in quanto lesbica. La Lidl è chiamata dal Tribunale di Ravenna a risarcirla a seguito delle vessazioni subìte per la sua omosessualità, a causa delle quali sono stati condannati quattro suoi superiori: il caporeparto, il procuratore speciale della ditta, i coordinatori regionali dell'amministrazione e della logistica.
Il supermercato Lidl al centro del ciclone per le offese omofobe a Sara Silvestrini

"Se i camionisti mi molestavano la colpa era comunque la mia": la denuncia di Sara

Sara Silvestrini aveva lavorato per 10 anni come magazziniera al supermercato Lidl di Massa Lombarda e veniva sottoposta a vari maltrattamenti sul luogo di lavoro: turni di notte imposti anche se non previsti dal contratto, chiamate a qualsiasi ora, rimproveri plateali e ingiustificati e battute a sfondo sessuale. “Ogni volta che iniziavo il turno notturno voleva che lo chiamassi al telefono per farmi il resoconto della nottata precedente e non perdeva occasione per insultarmi e offendermi“, ha ricordato Sara ad EmiliaRomagnaMamma in riferimento al suo superiore. “Mentre accumulavo ansie su ansie, prese a darmi la colpa quando dicevo che certi camionisti avevano brutti modi di fare, aggressivi. La responsabilità, a detta sua, era mia che non ero gentile e accomodante, che ero acida. Che con i camionisti dovevo essere in un certo modo, che non poteva essere lui a dirmi come fare ma che avevo capito perfettamente cosa intendeva. Però, se qualche volta alcuni camionisti mi molestavano la colpa era comunque mia, perché a suo dire davo troppa confidenza”. E per non farsi mancare nulla iniziano anche le aggressioni fisiche: “Una volta mi ha strattonata per la camicia, un’altra volta mi è venuto volontariamente addosso muletto contro muletto, e altre volte mi ‘schiacciava’ contro la parete mentre mi parlava”. “Ho dovuto assumere alcuni farmaci per riuscire a rientrare al lavoro dopo un periodo di assenza, e ho iniziato anche a essere seguita da una psicoterapeuta. Di lì a poco, il 28 luglio del 2015, sono stata licenziata in seguito all’ennesima lettera di richiamo." La relazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona ha parlato di “Disturbo post traumatico da stress cronico reattivo a una condizione lavorativa che può essere inquadrata nelle molestie morali protratte”. Nel 2014 cominciò a stare male rimanendo a casa e nel 2015, poco dopo il suo ritorno, viene licenziata con la dicitura “giusta causa”. A costituirsi come parte civile anche la compagna della donna, Federica Chiarentini, a suo dire danneggiata di riflesso dai problemi di salute avuti da Sara, con cui fa coppia da 8 anni.
Non è la prima volta che vengono registrati insulti omofobi sul luogo di lavoro: questa volta è toccato a Sara

La vittoria in sede legale

Così Sara ha trovato il coraggio di denunciare il tutto all’avvocato Alfonso Gaudenzi e adesso dopo sette anni il suo capro espiatorio, il caporeparto del supermercato Emanuel Dante, è stato condannato dal giudice a tre mesi, mentre sono arrivati 500 euro di multa per i dirigenti Lidl Pietro Rocchi, Emiliano Brunetti e Claudio Amatori. La Lidl invece è stata condannata in quanto responsabile civile e per Sara sono stati riconosciuti 30mila euro di provvisionale e in sede civile ci saranno i danni da stabilire assieme a Federica, la compagna si Sara che aveva notato il suo disagio psicologico. "Mi porto ancora dietro, a livello psicologico, le ripercussioni di come sono stata trattata“, ha confessato Sara ad EmiliaRomagnaMamma . “Non posso dire con certezza che la mia omosessualità c’entri qualcosa. Una volta sentii il caporeparto chiedere in mia presenza a un camionista se avesse preferito avere un figlio gay o interista, stupendosi negativamente dinanzi al fatto che avrebbe preferito un figlio omosessuale. Certamente, chiedere di essere più ‘carina e disponibile” con i camionisti quando sapeva che sono lesbica, mi è molto pesato. Ma questo, in quanto donna, mi avrebbe infastidito a prescindere dalla mia omosessualità. Fatto sta che sono stata denigrata, offesa, minacciata. E vorrei avere giustizia, sperando che questo possa essere d’aiuto a chiunque subisca angherie pesanti e umilianti sul posto di lavoro”.
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