In una società sempre più aperta all’inclusione e alla parità sono presenti dei contesti dove
l’equo trattamento sembra ancora un
risultato remoto. È il caso delle
donne che vogliono intraprendere una
carriera in ambito tecnico-scientifico, tra cui, anche, numerosi stereotipi e preconcetti. Ad affermarlo è una
ricerca elaborata da Babbel, piattaforma online per l’apprendimento linguistico, insieme alle
associazioni SheTech e Fosforo. I primi ostacoli si incontrano già a scuola, dove la predisposizione alle
materie scientifiche delle bambine tende ad essere sottovalutata, al punto che spesso non vengono incoraggiate a dare seguito ai propri interessi a livello accademico. La percentuale di ragazze che si iscrivono a
facoltà tecnico-scientifiche è notevolmente inferiore a quella dei ragazzi: secondo un rapporto Istat del 2021, infatti,
16 donne su 100 scelgono una disciplina Stem, contro il
35% dei colleghi uomini.
In più, secondo un trend che investe la maggior parte degli ambiti di studio, anche se le ragazze iscritte a corsi in materie scientifiche presentano
risultati accademici più elevati, i tassi di
occupazione e retribuzione femminili rimangono più bassi rispetto a quelli maschili. Esiste un vero e proprio
“soffitto di cristallo” che impedisce alle categorie di progredire nella carriera e ricoprire ruoli di spicco. In altre parole, non c’è nessun divieto a monte, ma la strada da fare non sarà uguale per tutti. Anche questo dovrebbe farci riflettere sul concetto di “merito” e di cosa significhi “privilegio”. Una donna deve impegnarsi molto di più per colmare uno scarto da lei indipendente. Oggi,
25 novembre, si celebra la
Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ed è importante ricordare che violenza e discriminazione accadono anche in forme più sottili e nascoste, e partono già dalle parole che usiamo: “Le
parole sono lo
specchio di categorie concettuali attraverso cui si divide e comprende la realtà – commenta
Sara Garizzo, principal content strategist di Babbel –. Conseguentemente, è necessario lavorare su un
linguaggio più inclusivo e accorto, al fine di combattere le ben radicate diseguaglianze di genere. L’eliminazione dal proprio vocabolario quotidiano delle espressioni
sessiste, che veicolano una violenza costante e onnipresente, verbale e psicologica, rappresenta un primo passo da compiere sulla strada verso l’equità in tutti i settori lavorativi”. Il problema della lingua è centrale, perché struttura il pensiero, ma il problema del linguaggio inclusivo non è solo italiano: “Siamo consapevoli del fatto che la
mancata o scorretta rappresentazione di alcune categorie è un problema diffuso – spiega sempre Garrizzo – che riguarda ogni parte del mondo, seppur in misura diversa. Ogni lingua viva evolve in maniera differente, a seconda di fattori extralinguistici legati al contesto sociale e in funzione della ricezione dei mutamenti da parte della comunità di parlanti. La
comparsa della forma femminile legata a determinati
ruoli professionali all’interno della lingua d’uso corrente può fungere da cartina al tornasole di una trasformazione in atto: in Italia sono ormai sempre più comuni termini come “sindaca” e “ministra”, che rispecchiano una maggiore rappresentanza femminile in posizioni di potere, mentre altre innovazioni incontrano una maggiore
resistenza”. Ma come è possibile colmare il divario? Sara Garizzo propone di superare quelli che in gergo tecnico sono noti come “
linguistic bias”: “È necessario imparare a mettere in discussione stereotipi e pregiudizi fin dalla più giovane età, anche attraverso l’adozione di un linguaggio inclusivo e senza quello che in sociolinguistica chiameremmo '
linguistic bias', ossia la sistematica
asimmetria nella scelta delle parole associate ad una
specifica categoria sociale in relazione ad un’altra. L’introduzione della forma femminile per designare figure professionali tradizionalmente maschili, che veniva rivendicata del resto già da
Alma Sabatini e dalle sue contemporanee nel secolo scorso, costituisce un importante traguardo, ma non può essere il punto d’arrivo: sono molte le proposte che emergono dal
dibattito sul linguaggio “gender-inclusive” in Italia, tra cui
l’uso dello schwa (ə) e della “u” quale desinenza neutra o plurale, oppure dell’asterisco e della chiocciola nello scritto. Misure con le quali si vorrebbe dare spazio a categorie che altrimenti sarebbero escluse”.
Sono ancora tanti gli ostacoli incontrati dalle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico
Stem: tra linguaggio e stereotipi
Se la lingua è il problema, un passo necessario per poter combattere la sottorappresentanza è quello di lavorare sulla consapevolezza delle parole e partire dal riconoscimento dell’esistenza di
pregiudizi di genere insiti nel linguaggio, relativi, nella fattispecie, al
ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Basti pensare ad alcune delle frasi che si sentono ripetere quotidianamente, in particolar modo nei contesti lavorativi, come confermato dalla ricerca condotta da SheTech in collaborazione con Idem, “
Tech: (non) è un lavoro per donne”, a partire da un questionario per le lavoratrici in ambito Stem a proposito degli stereotipi incontrati nel loro percorso. Da tale ricerca emerge che, secondo più del 63% delle intervistate, uno degli stereotipi più diffusi sarebbe quello secondo cui le donne che lavorano in ambito Stem sarebbero tutte “
nerd”. O, ancora, il 71,5% testimonia l’uso indiscriminato dell’appellativo “signora/signorina”, qualsiasi siano il titolo di studio o i risultati raggiunti nella propria carriera (al pari o superiore rispetto agli uomini), mentre il titolo di “dottore/ingegnere”, più prestigioso, spetta invece di default al
collega uomo.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Babbel, in collaborazione con SheTech e Fosforo, invita a riflettere sulla poca rappresentanza femminile nel settore economico-scientifico
Questa visione è confermata da un altro luogo comune incontrato dalle rispondenti nel corso della loro carriera: secondo il 73,9% è ancora frequente lo stereotipo per il quale, dovendosi dedicare alla cura della casa e della famiglia, le donne avrebbero bisogno di una
migliore work-life balance rispetto agli uomini, difficilmente conciliabile con i ritmi di ambienti competitivi come quelli Stem. Dal 63,4% delle partecipanti viene poi citato il pregiudizio, reiterato nel contesto di lavoro, relativo a tratti caratteriali presunti quali
l’irrazionalità e l’emotività, ritenute da alcuni
emozioni prettamente femminili, in netto contrasto con caratteristiche come la razionalità, la lucidità e il pensiero analitico, considerate necessarie per lavorare in questo contesto e spesso arbitrariamente attribuite agli uomini. Tutto ciò fa sì che le donne
non siano considerate sullo stesso piano, in termini di bravura ed efficienza, dei colleghi, tanto che per quasi il 70% del campione intervistato è frequente la credenza secondo cui “una donna nelle discipline Stem non sarà mai brava quanto un uomo”. Un pensiero che però non trova nessun tipo di riscontro scientifico.
La percezione del divario di genere
Seppur a parità di condizioni, le lavoratrici percepiscono
ampie differenze di genere in fatto di salario, promozioni e distribuzione del potere, come sottolineato dalle percezioni emerse dal report. Tra le intervistate, l’86% dichiara di essere consapevole della
disparità nella retribuzione, affermando che le donne vengono, di fatto, pagate meno degli uomini, mentre l’84% ha avuto modo di osservare maggiori ostacoli alla
progressione di carriera (di fronte a una promozione, un uomo ha più probabilità di essere promosso). Per di più, il 78% conferma che l’aumento salariale concesso alle donne non è proporzionato a quello offerto ai colleghi. Fattore non secondario per più della metà delle intervistate (il 58%) è, infine, la
reticenza degli uomini nell’accettare un
ruolo subordinato a quello ricoperto da una donna. Questo ed altri aspetti spesso non vengono presi in considerazione proprio perché l’ambiente è pensato da uomini per gli uomini, e certi comportamenti tendono a reiterarsi: “I cosiddetti micromachisimi – spiega
Chiara Brughera, Managing Director di SheTech – caratterizzano il mondo Stem e, anche se meno percettibili rispetto ad altre forme di violenza, compromettono le opportunità professionali delle donne. Cambiare questi modelli di comportamento permetterà di delineare un ambiente più equo e meritocratico. Dovremmo concentrare le nostre energie su alcuni punti nevralgici per ridurre le
differenze di genere che possono essere riassunti in due parole importanti: supporto e condivisione”.
Chiara Brughera, managing director di SheTech
Un altro aspetto da cogliere è che benché le
donne siano di meno in numero, i loro risultati accademici sono mediamente più alti della controparte maschile: “Questo è un fenomeno non si giustifica ma è confermato dai dati che leggiamo su vari report – spiega
Chiara Fanzecco di SheTech – il dato ancora più sconcertante è invece vedere che le migliori performance sembrano non essere riconosciute dal mercato del lavoro. Ad un anno dalla laurea, il tasso di occupazione degli uomini laureati nei corsi Stem è più elevato di quello delle donne e il divario persiste se si confronta il livello salariale. I
laureati dichiarano di percepire in media una retribuzione mensile netta di circa 1.490 euro, ma
gli uomini guadagnano più delle donne, potendo contare su uno stipendio medio mensile di 1.510 euro contro i 1.428 euro delle loro controparti femminili”.
Il cambiamento passa dai giovani
Un passo per altro importante passo per il cambiamento sono i
modelli positivi che diano ispirazione per le donne a intraprendere una
carriera scientifica.
Mattia Crivellini di Fosforo spiega come il role modeling sia la chiave per ispirare le giovani generazioni al cambiamento: “È fondamentale promuovere il
protagonismo femminile e ciò fa parte della missione di Fosforo: instillare la scintilla della meraviglia e il piacere della
scoperta scientifica sin dall’infanzia, aiutando così allo stesso modo bambine e bambini a trovare la propria strada. Occorre sempre ricordare a tutti, specialmente alle
menti più giovani, gli straordinari risultati che si possono ottenere nella ricerca scientifica da uno sforzo comune, senza distinzione di genere. Non dimentichiamoci che la prima persona a vincere
due premi Nobel, rispettivamente nella fisica e nella chimica, è stata una donna:
Marie Curie".
Marie Curie (Ansa)
Rispetto al totale, il mondo delle
donne nell’ambito tecnico scientifico ha espresso molte figure straordinarie: pensiamo solo a
Margherita Hack,
Rita Levi Montalcini,
Samantha Cristoforetti, Ilaria Capua. Il loro esempio, in momenti e contesti diversi tra loro è la dimostrazione in carne ed ossa che le donne non hanno nulla in meno, e se dessimo loro le stesse possibilità che hanno gli uomini il contributo sarebbe enorme. Bisogna continuare a investire, ispirare e coinvolgere le
donne nella scienza, affinché l’uguaglianza di genere non sia solo un’idea, ma una realtà.