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Home » Attualità » Una lingua inclusiva per un mondo più equo: il sessismo in ambito tecnico-scientifico

Una lingua inclusiva per un mondo più equo: il sessismo in ambito tecnico-scientifico

Per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Babbel invita a riflettere sulla poca rappresentanza femminile nelle discipline Stem

Nicolò Guelfi
25 Novembre 2022
La ricerca di Babbel evidenzia ancora un marcato divario di genere nelle discipline Stem

La ricerca di Babbel evidenzia ancora un marcato divario di genere nelle discipline Stem

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In una società sempre più aperta all’inclusione e alla parità sono presenti dei contesti dove l’equo trattamento sembra ancora un risultato remoto. È il caso delle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico, tra cui, anche, numerosi stereotipi e preconcetti. Ad affermarlo è una ricerca elaborata da Babbel, piattaforma online per l’apprendimento linguistico, insieme alle associazioni SheTech e Fosforo. I primi ostacoli si incontrano già a scuola, dove la predisposizione alle materie scientifiche delle bambine tende ad essere sottovalutata, al punto che spesso non vengono incoraggiate a dare seguito ai propri interessi a livello accademico. La percentuale di ragazze che si iscrivono a facoltà tecnico-scientifiche è notevolmente inferiore a quella dei ragazzi: secondo un rapporto Istat del 2021, infatti, 16 donne su 100 scelgono una disciplina Stem, contro il 35% dei colleghi uomini.

In più, secondo un trend che investe la maggior parte degli ambiti di studio, anche se le ragazze iscritte a corsi in materie scientifiche presentano risultati accademici più elevati, i tassi di occupazione e retribuzione femminili rimangono più bassi rispetto a quelli maschili. Esiste un vero e proprio “soffitto di cristallo” che impedisce alle categorie di progredire nella carriera e ricoprire ruoli di spicco. In altre parole, non c’è nessun divieto a monte, ma la strada da fare non sarà uguale per tutti. Anche questo dovrebbe farci riflettere sul concetto di “merito” e di cosa significhi “privilegio”. Una donna deve impegnarsi molto di più per colmare uno scarto da lei indipendente.

Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ed è importante ricordare che violenza e discriminazione accadono anche in forme più sottili e nascoste, e partono già dalle parole che usiamo: “Le parole sono lo specchio di categorie concettuali attraverso cui si divide e comprende la realtà – commenta Sara Garizzo, principal content strategist di Babbel –. Conseguentemente, è necessario lavorare su un linguaggio più inclusivo e accorto, al fine di combattere le ben radicate diseguaglianze di genere. L’eliminazione dal proprio vocabolario quotidiano delle espressioni sessiste, che veicolano una violenza costante e onnipresente, verbale e psicologica, rappresenta un primo passo da compiere sulla strada verso l’equità in tutti i settori lavorativi”. Il problema della lingua è centrale, perché struttura il pensiero, ma il problema del linguaggio inclusivo non è solo italiano: “Siamo consapevoli del fatto che la mancata o scorretta rappresentazione di alcune categorie è un problema diffuso – spiega sempre Garrizzo – che riguarda ogni parte del mondo, seppur in misura diversa. Ogni lingua viva evolve in maniera differente, a seconda di fattori extralinguistici legati al contesto sociale e in funzione della ricezione dei mutamenti da parte della comunità di parlanti. La comparsa della forma femminile legata a determinati ruoli professionali all’interno della lingua d’uso corrente può fungere da cartina al tornasole di una trasformazione in atto: in Italia sono ormai sempre più comuni termini come “sindaca” e “ministra”, che rispecchiano una maggiore rappresentanza femminile in posizioni di potere, mentre altre innovazioni incontrano una maggiore resistenza”.

Ma come è possibile colmare il divario? Sara Garizzo propone di superare quelli che in gergo tecnico sono noti come “linguistic bias”: “È necessario imparare a mettere in discussione stereotipi e pregiudizi fin dalla più giovane età, anche attraverso l’adozione di un linguaggio inclusivo e senza quello che in sociolinguistica chiameremmo ‘linguistic bias‘, ossia la sistematica asimmetria nella scelta delle parole associate ad una specifica categoria sociale in relazione ad un’altra. L’introduzione della forma femminile per designare figure professionali tradizionalmente maschili, che veniva rivendicata del resto già da Alma Sabatini e dalle sue contemporanee nel secolo scorso, costituisce un importante traguardo, ma non può essere il punto d’arrivo: sono molte le proposte che emergono dal dibattito sul linguaggio “gender-inclusive” in Italia, tra cui l’uso dello schwa (ə) e della “u” quale desinenza neutra o plurale, oppure dell’asterisco e della chiocciola nello scritto. Misure con le quali si vorrebbe dare spazio a categorie che altrimenti sarebbero escluse”.

Sono ancora tanti gli ostacoli incontrati dalle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico
Sono ancora tanti gli ostacoli incontrati dalle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico

Stem: tra linguaggio e stereotipi

Se la lingua è il problema, un passo necessario per poter combattere la sottorappresentanza è quello di lavorare sulla consapevolezza delle parole e partire dal riconoscimento dell’esistenza di pregiudizi di genere insiti nel linguaggio, relativi, nella fattispecie, al ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Basti pensare ad alcune delle frasi che si sentono ripetere quotidianamente, in particolar modo nei contesti lavorativi, come confermato dalla ricerca condotta da SheTech in collaborazione con Idem, “Tech: (non) è un lavoro per donne”, a partire da un questionario per le lavoratrici in ambito Stem a proposito degli stereotipi incontrati nel loro percorso. Da tale ricerca emerge che, secondo più del 63% delle intervistate, uno degli stereotipi più diffusi sarebbe quello secondo cui le donne che lavorano in ambito Stem sarebbero tutte “nerd”. O, ancora, il 71,5% testimonia l’uso indiscriminato dell’appellativo “signora/signorina”, qualsiasi siano il titolo di studio o i risultati raggiunti nella propria carriera (al pari o superiore rispetto agli uomini), mentre il titolo di “dottore/ingegnere”, più prestigioso, spetta invece di default al collega uomo.

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Babbel, in collaborazione con SheTech e Fosforo, invita a riflettere sulla poca rappresentanza femminile nel settore economico-scientifico
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Babbel, in collaborazione con SheTech e Fosforo, invita a riflettere sulla poca rappresentanza femminile nel settore economico-scientifico

Questa visione è confermata da un altro luogo comune incontrato dalle rispondenti nel corso della loro carriera: secondo il 73,9% è ancora frequente lo stereotipo per il quale, dovendosi dedicare alla cura della casa e della famiglia, le donne avrebbero bisogno di una migliore work-life balance rispetto agli uomini, difficilmente conciliabile con i ritmi di ambienti competitivi come quelli Stem. Dal 63,4% delle partecipanti viene poi citato il pregiudizio, reiterato nel contesto di lavoro, relativo a tratti caratteriali presunti quali l’irrazionalità e l’emotività, ritenute da alcuni emozioni prettamente femminili, in netto contrasto con caratteristiche come la razionalità, la lucidità e il pensiero analitico, considerate necessarie per lavorare in questo contesto e spesso arbitrariamente attribuite agli uomini. Tutto ciò fa sì che le donne non siano considerate sullo stesso piano, in termini di bravura ed efficienza, dei colleghi, tanto che per quasi il 70% del campione intervistato è frequente la credenza secondo cui “una donna nelle discipline Stem non sarà mai brava quanto un uomo”. Un pensiero che però non trova nessun tipo di riscontro scientifico.

La percezione del divario di genere

Seppur a parità di condizioni, le lavoratrici percepiscono ampie differenze di genere in fatto di salario, promozioni e distribuzione del potere, come sottolineato dalle percezioni emerse dal report. Tra le intervistate, l’86% dichiara di essere consapevole della disparità nella retribuzione, affermando che le donne vengono, di fatto, pagate meno degli uomini, mentre l’84% ha avuto modo di osservare maggiori ostacoli alla progressione di carriera (di fronte a una promozione, un uomo ha più probabilità di essere promosso). Per di più, il 78% conferma che l’aumento salariale concesso alle donne non è proporzionato a quello offerto ai colleghi. Fattore non secondario per più della metà delle intervistate (il 58%) è, infine, la reticenza degli uomini nell’accettare un ruolo subordinato a quello ricoperto da una donna.

Questo ed altri aspetti spesso non vengono presi in considerazione proprio perché l’ambiente è pensato da uomini per gli uomini, e certi comportamenti tendono a reiterarsi: “I cosiddetti micromachisimi – spiega Chiara Brughera, Managing Director di SheTech – caratterizzano il mondo Stem e, anche se meno percettibili rispetto ad altre forme di violenza, compromettono le opportunità professionali delle donne. Cambiare questi modelli di comportamento permetterà di delineare un ambiente più equo e meritocratico. Dovremmo concentrare le nostre energie su alcuni punti nevralgici per ridurre le differenze di genere che possono essere riassunti in due parole importanti: supporto e condivisione”.

Chiara Brughera, managing director di SheTech
Chiara Brughera, managing director di SheTech

Un altro aspetto da cogliere è che benché le donne siano di meno in numero, i loro risultati accademici sono mediamente più alti della controparte maschile: “Questo è un fenomeno non si giustifica ma è confermato dai dati che leggiamo su vari report – spiega Chiara Fanzecco di SheTech – il dato ancora più sconcertante è invece vedere che le migliori performance sembrano non essere riconosciute dal mercato del lavoro. Ad un anno dalla laurea, il tasso di occupazione degli uomini laureati nei corsi Stem è più elevato di quello delle donne e il divario persiste se si confronta il livello salariale. I laureati dichiarano di percepire in media una retribuzione mensile netta di circa 1.490 euro, ma gli uomini guadagnano più delle donne, potendo contare su uno stipendio medio mensile di 1.510 euro contro i 1.428 euro delle loro controparti femminili”.

Il cambiamento passa dai giovani

Un passo per altro importante passo per il cambiamento sono i modelli positivi che diano ispirazione per le donne a intraprendere una carriera scientifica. Mattia Crivellini di Fosforo spiega come il role modeling sia la chiave per ispirare le giovani generazioni al cambiamento: “È fondamentale promuovere il protagonismo femminile e ciò fa parte della missione di Fosforo: instillare la scintilla della meraviglia e il piacere della scoperta scientifica sin dall’infanzia, aiutando così allo stesso modo bambine e bambini a trovare la propria strada. Occorre sempre ricordare a tutti, specialmente alle menti più giovani, gli straordinari risultati che si possono ottenere nella ricerca scientifica da uno sforzo comune, senza distinzione di genere. Non dimentichiamoci che la prima persona a vincere due premi Nobel, rispettivamente nella fisica e nella chimica, è stata una donna: Marie Curie“.

Marie Curie (Ansa)
Marie Curie (Ansa)

Rispetto al totale, il mondo delle donne nell’ambito tecnico scientifico ha espresso molte figure straordinarie: pensiamo solo a Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Samantha Cristoforetti, Ilaria Capua. Il loro esempio, in momenti e contesti diversi tra loro è la dimostrazione in carne ed ossa che le donne non hanno nulla in meno, e se dessimo loro le stesse possibilità che hanno gli uomini il contributo sarebbe enorme. Bisogna continuare a investire, ispirare e coinvolgere le donne nella scienza, affinché l’uguaglianza di genere non sia solo un’idea, ma una realtà.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
In una società sempre più aperta all’inclusione e alla parità sono presenti dei contesti dove l’equo trattamento sembra ancora un risultato remoto. È il caso delle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico, tra cui, anche, numerosi stereotipi e preconcetti. Ad affermarlo è una ricerca elaborata da Babbel, piattaforma online per l’apprendimento linguistico, insieme alle associazioni SheTech e Fosforo. I primi ostacoli si incontrano già a scuola, dove la predisposizione alle materie scientifiche delle bambine tende ad essere sottovalutata, al punto che spesso non vengono incoraggiate a dare seguito ai propri interessi a livello accademico. La percentuale di ragazze che si iscrivono a facoltà tecnico-scientifiche è notevolmente inferiore a quella dei ragazzi: secondo un rapporto Istat del 2021, infatti, 16 donne su 100 scelgono una disciplina Stem, contro il 35% dei colleghi uomini. In più, secondo un trend che investe la maggior parte degli ambiti di studio, anche se le ragazze iscritte a corsi in materie scientifiche presentano risultati accademici più elevati, i tassi di occupazione e retribuzione femminili rimangono più bassi rispetto a quelli maschili. Esiste un vero e proprio “soffitto di cristallo” che impedisce alle categorie di progredire nella carriera e ricoprire ruoli di spicco. In altre parole, non c’è nessun divieto a monte, ma la strada da fare non sarà uguale per tutti. Anche questo dovrebbe farci riflettere sul concetto di “merito” e di cosa significhi “privilegio”. Una donna deve impegnarsi molto di più per colmare uno scarto da lei indipendente. Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ed è importante ricordare che violenza e discriminazione accadono anche in forme più sottili e nascoste, e partono già dalle parole che usiamo: “Le parole sono lo specchio di categorie concettuali attraverso cui si divide e comprende la realtà – commenta Sara Garizzo, principal content strategist di Babbel –. Conseguentemente, è necessario lavorare su un linguaggio più inclusivo e accorto, al fine di combattere le ben radicate diseguaglianze di genere. L’eliminazione dal proprio vocabolario quotidiano delle espressioni sessiste, che veicolano una violenza costante e onnipresente, verbale e psicologica, rappresenta un primo passo da compiere sulla strada verso l’equità in tutti i settori lavorativi”. Il problema della lingua è centrale, perché struttura il pensiero, ma il problema del linguaggio inclusivo non è solo italiano: “Siamo consapevoli del fatto che la mancata o scorretta rappresentazione di alcune categorie è un problema diffuso – spiega sempre Garrizzo – che riguarda ogni parte del mondo, seppur in misura diversa. Ogni lingua viva evolve in maniera differente, a seconda di fattori extralinguistici legati al contesto sociale e in funzione della ricezione dei mutamenti da parte della comunità di parlanti. La comparsa della forma femminile legata a determinati ruoli professionali all’interno della lingua d’uso corrente può fungere da cartina al tornasole di una trasformazione in atto: in Italia sono ormai sempre più comuni termini come “sindaca” e “ministra”, che rispecchiano una maggiore rappresentanza femminile in posizioni di potere, mentre altre innovazioni incontrano una maggiore resistenza”. Ma come è possibile colmare il divario? Sara Garizzo propone di superare quelli che in gergo tecnico sono noti come “linguistic bias”: “È necessario imparare a mettere in discussione stereotipi e pregiudizi fin dalla più giovane età, anche attraverso l’adozione di un linguaggio inclusivo e senza quello che in sociolinguistica chiameremmo 'linguistic bias', ossia la sistematica asimmetria nella scelta delle parole associate ad una specifica categoria sociale in relazione ad un’altra. L’introduzione della forma femminile per designare figure professionali tradizionalmente maschili, che veniva rivendicata del resto già da Alma Sabatini e dalle sue contemporanee nel secolo scorso, costituisce un importante traguardo, ma non può essere il punto d’arrivo: sono molte le proposte che emergono dal dibattito sul linguaggio “gender-inclusive” in Italia, tra cui l’uso dello schwa (ə) e della “u” quale desinenza neutra o plurale, oppure dell’asterisco e della chiocciola nello scritto. Misure con le quali si vorrebbe dare spazio a categorie che altrimenti sarebbero escluse”.
Sono ancora tanti gli ostacoli incontrati dalle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico
Sono ancora tanti gli ostacoli incontrati dalle donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito tecnico-scientifico

Stem: tra linguaggio e stereotipi

Se la lingua è il problema, un passo necessario per poter combattere la sottorappresentanza è quello di lavorare sulla consapevolezza delle parole e partire dal riconoscimento dell’esistenza di pregiudizi di genere insiti nel linguaggio, relativi, nella fattispecie, al ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Basti pensare ad alcune delle frasi che si sentono ripetere quotidianamente, in particolar modo nei contesti lavorativi, come confermato dalla ricerca condotta da SheTech in collaborazione con Idem, “Tech: (non) è un lavoro per donne”, a partire da un questionario per le lavoratrici in ambito Stem a proposito degli stereotipi incontrati nel loro percorso. Da tale ricerca emerge che, secondo più del 63% delle intervistate, uno degli stereotipi più diffusi sarebbe quello secondo cui le donne che lavorano in ambito Stem sarebbero tutte “nerd”. O, ancora, il 71,5% testimonia l’uso indiscriminato dell’appellativo “signora/signorina”, qualsiasi siano il titolo di studio o i risultati raggiunti nella propria carriera (al pari o superiore rispetto agli uomini), mentre il titolo di “dottore/ingegnere”, più prestigioso, spetta invece di default al collega uomo.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Babbel, in collaborazione con SheTech e Fosforo, invita a riflettere sulla poca rappresentanza femminile nel settore economico-scientifico
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Babbel, in collaborazione con SheTech e Fosforo, invita a riflettere sulla poca rappresentanza femminile nel settore economico-scientifico
Questa visione è confermata da un altro luogo comune incontrato dalle rispondenti nel corso della loro carriera: secondo il 73,9% è ancora frequente lo stereotipo per il quale, dovendosi dedicare alla cura della casa e della famiglia, le donne avrebbero bisogno di una migliore work-life balance rispetto agli uomini, difficilmente conciliabile con i ritmi di ambienti competitivi come quelli Stem. Dal 63,4% delle partecipanti viene poi citato il pregiudizio, reiterato nel contesto di lavoro, relativo a tratti caratteriali presunti quali l’irrazionalità e l’emotività, ritenute da alcuni emozioni prettamente femminili, in netto contrasto con caratteristiche come la razionalità, la lucidità e il pensiero analitico, considerate necessarie per lavorare in questo contesto e spesso arbitrariamente attribuite agli uomini. Tutto ciò fa sì che le donne non siano considerate sullo stesso piano, in termini di bravura ed efficienza, dei colleghi, tanto che per quasi il 70% del campione intervistato è frequente la credenza secondo cui “una donna nelle discipline Stem non sarà mai brava quanto un uomo”. Un pensiero che però non trova nessun tipo di riscontro scientifico.

La percezione del divario di genere

Seppur a parità di condizioni, le lavoratrici percepiscono ampie differenze di genere in fatto di salario, promozioni e distribuzione del potere, come sottolineato dalle percezioni emerse dal report. Tra le intervistate, l’86% dichiara di essere consapevole della disparità nella retribuzione, affermando che le donne vengono, di fatto, pagate meno degli uomini, mentre l’84% ha avuto modo di osservare maggiori ostacoli alla progressione di carriera (di fronte a una promozione, un uomo ha più probabilità di essere promosso). Per di più, il 78% conferma che l’aumento salariale concesso alle donne non è proporzionato a quello offerto ai colleghi. Fattore non secondario per più della metà delle intervistate (il 58%) è, infine, la reticenza degli uomini nell’accettare un ruolo subordinato a quello ricoperto da una donna. Questo ed altri aspetti spesso non vengono presi in considerazione proprio perché l’ambiente è pensato da uomini per gli uomini, e certi comportamenti tendono a reiterarsi: “I cosiddetti micromachisimi – spiega Chiara Brughera, Managing Director di SheTech – caratterizzano il mondo Stem e, anche se meno percettibili rispetto ad altre forme di violenza, compromettono le opportunità professionali delle donne. Cambiare questi modelli di comportamento permetterà di delineare un ambiente più equo e meritocratico. Dovremmo concentrare le nostre energie su alcuni punti nevralgici per ridurre le differenze di genere che possono essere riassunti in due parole importanti: supporto e condivisione”.
Chiara Brughera, managing director di SheTech
Chiara Brughera, managing director di SheTech
Un altro aspetto da cogliere è che benché le donne siano di meno in numero, i loro risultati accademici sono mediamente più alti della controparte maschile: “Questo è un fenomeno non si giustifica ma è confermato dai dati che leggiamo su vari report – spiega Chiara Fanzecco di SheTech – il dato ancora più sconcertante è invece vedere che le migliori performance sembrano non essere riconosciute dal mercato del lavoro. Ad un anno dalla laurea, il tasso di occupazione degli uomini laureati nei corsi Stem è più elevato di quello delle donne e il divario persiste se si confronta il livello salariale. I laureati dichiarano di percepire in media una retribuzione mensile netta di circa 1.490 euro, ma gli uomini guadagnano più delle donne, potendo contare su uno stipendio medio mensile di 1.510 euro contro i 1.428 euro delle loro controparti femminili”.

Il cambiamento passa dai giovani

Un passo per altro importante passo per il cambiamento sono i modelli positivi che diano ispirazione per le donne a intraprendere una carriera scientifica. Mattia Crivellini di Fosforo spiega come il role modeling sia la chiave per ispirare le giovani generazioni al cambiamento: “È fondamentale promuovere il protagonismo femminile e ciò fa parte della missione di Fosforo: instillare la scintilla della meraviglia e il piacere della scoperta scientifica sin dall’infanzia, aiutando così allo stesso modo bambine e bambini a trovare la propria strada. Occorre sempre ricordare a tutti, specialmente alle menti più giovani, gli straordinari risultati che si possono ottenere nella ricerca scientifica da uno sforzo comune, senza distinzione di genere. Non dimentichiamoci che la prima persona a vincere due premi Nobel, rispettivamente nella fisica e nella chimica, è stata una donna: Marie Curie".
Marie Curie (Ansa)
Marie Curie (Ansa)
Rispetto al totale, il mondo delle donne nell’ambito tecnico scientifico ha espresso molte figure straordinarie: pensiamo solo a Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Samantha Cristoforetti, Ilaria Capua. Il loro esempio, in momenti e contesti diversi tra loro è la dimostrazione in carne ed ossa che le donne non hanno nulla in meno, e se dessimo loro le stesse possibilità che hanno gli uomini il contributo sarebbe enorme. Bisogna continuare a investire, ispirare e coinvolgere le donne nella scienza, affinché l’uguaglianza di genere non sia solo un’idea, ma una realtà.
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