
L’intelligenza artificiale sfruttata in modo sistematico e innovativo potrà aprire varchi impensabili nel panorama della ricerca scientifica (Illustrazione di Arnaldo Liguori)
Un uomo statunitense, a un passo dal ricovero in hospice per ricevere cure palliative, ha visto il proprio destino completamente ribaltato grazie a un trattamento individuato attraverso l’intelligenza artificiale. Colpito dalla malattia di Castleman multicentrica idiopatica (iMCD) – condizione rara quanto, spesso, fatale – il paziente è in remissione da due anni dopo l’assunzione di adalimumab, un anticorpo monoclonale ampiamente utilizzato per varie malattie autoimmuni.
La vicenda è stata documentata in un recente articolo apparso sul New England Journal of Medicine e rappresenta un segnale decisivo del potenziale che la tecnologia può offrire nel campo delle terapie personalizzate, persino quando si parla di malattie rare, dunque meno indagate.
La malattia di Castleman
Nello specifico, l’iMCD si manifesta con una reazione immunitaria anomala, che causa infiammazioni estese, ingrossamento dei linfonodi e, nei casi più severi, insufficienze multiorgano. Al momento, l’unico farmaco con approvazione ufficiale della Food and Drug Administration statunitense è il siltuximab, che però si è dimostrato efficace solo per una porzione limitata di pazienti.
La difficoltà di trovare alternative valide ha spinto un team della Perelman School of Medicine - Università della Pennsylvania - a ricorrere all’IA per vagliare oltre 4.000 farmaci e identificare possibili candidati per il riposizionamento terapeutico. I ricercatori hanno rilevato che il fattore di necrosi tumorale (TNF) risultava particolarmente attivo nei soggetti con iMCD, suggerendo la potenziale utilità di inibitori del TNF come l’adalimumab.
Guidato da David Fajgenbaum – professore associato di Medicina Traslazionale e Genetica Umana, nonché cofondatore di Every Cure – il gruppo di studio ha quindi deciso di sperimentare adalimumab su un paziente il cui stato clinico era considerato ormai senza sbocchi.
Intelligenza artificiale e ricerca
Il successo ottenuto da questo anticorpo monoclonale rappresenta non solo una svolta nella gestione della malattia di Castleman, ma anche la dimostrazione di come l’intelligenza artificiale possa essere un alleato prezioso nel riscoprire farmaci già presenti sul mercato e nel lanciarli in nuove sfide terapeutiche. Lo stesso Fajgenbaum, che vive con l’iMCD, racconta di aver iniziato la propria battaglia personale oltre dieci anni fa, scoprendo il farmaco in grado di salvarlo e fondando in seguito Every Cure per avviare ricerche sistematiche sulle malattie rare.
La portata di questo progetto è possibile grazie al sostegno pubblico e privato, che include finanziatori come il National Heart, Lung, and Blood Institute, la Food and Drug Administration (FDA), il National Center for Advancing Translational Sciences e l’Advanced Research Projects Agency for Health, assieme a organizzazioni filantropiche e iniziative come la Chan Zuckerberg Initiative e la Lyda Hill Philanthropies. L’obiettivo è ambizioso e indubbiamente degno di lode: creare un nuovo modello di ricerca, in cui le tecnologie di apprendimento automatico e i dati clinici vengano fusi per accelerare l’individuazione di cure per patologie che ancora sfuggono alle risorse mediche tradizionali.
E in Italia?
Dal punto di vista del paziente e della sua famiglia, la parola remissione significa vivere una quotidianità più serena, pur senza un’autentica guarigione definitiva. Lo conferma Claudio Savà, presidente dell’associazione italiana AMICA per la malattia di Castleman, il quale esprime ottimismo circa l’eventuale introduzione di adalimumab anche in Italia. Il processo di autorizzazione e di potenziale rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale è notoriamente lungo, ma il riconoscimento internazionale di questi risultati potrebbe rappresentare una spinta decisiva.
Il caso del paziente statunitense che ha sconfitto l’iMCD grazie all’adalimumab è dunque un traguardo carico di speranza, non solo per chi lotta contro la malattia di Castleman, ma per tutte le persone che convivono con patologie simili, ancora poco indagate perché rare, se non rarissime. Ecco però allora che l’intelligenza artificiale sfruttata in modo sistematico e innovativo, potrà aprire varchi impensabili nel panorama della ricerca scientifica, offrendo prospettive concrete di cura anche per malattie orfane di soluzioni. Il futuro, dunque, lascia intravedere la possibilità di scoprire nuove terapie salvavita attraverso analisi dei dati, apprendimento automatico e collaborazioni internazionali sempre più sinergiche.