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Home » Attualità » L’orologio dei diritti delle donne torna indietro di quarant’anni: dal Texas alla Polonia abortire diventa quasi impossibile

L’orologio dei diritti delle donne torna indietro di quarant’anni: dal Texas alla Polonia abortire diventa quasi impossibile

Leggi conservatrici e restrittive che puniscono chi sceglie l'interruzione volontaria di gravidanza e chi la favorisce o attua. Intanto in Italia l'applicazione della 194 trova sempre più ostacoli. Flebili speranze arrivano invece dal Messico

Marianna Grazi
9 Settembre 2021
La legge contro l'aborto in Oklahoma riguarda anche le donne in fuga dal Texas che stanno cercando di interrompere la propria gravidanza

La legge contro l'aborto in Oklahoma riguarda anche le donne in fuga dal Texas che stanno cercando di interrompere la propria gravidanza

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“[…]Altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore“. La vita non muore, nonostante un aborto. Questo il messaggio che ha lasciato Oriana Fallaci in “Lettera a un bambino mai nato” (1975), tre anni prima che in Italia entrasse in vigore la legge 194, quella che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto.
Non è quel ‘bambino mai nato’ a fermare la vita. Ma spesso, la vita, la salva. Alle donne che subiscono violenza e rimangono incinta del loro stupratore, a quelle che scoprono che il loro bambino ha delle gravi malformazioni o nascerà già in fin di vita (se non già morto), a quelle che un figlio non lo vogliono. Non per cattiveria, non perché sono ‘anormali’. Ma per libera scelta. Una scelta che per molte, anche in paesi che si considerano democratici e ‘avanzati’ dal punto di vista dei diritti umani, non è o non sarà più contemplata.

“Una decisione codarda”. Forse sono le parole della speaker della Camera nel Congresso Usa, e terza carica dello Stato, le migliori per descrivere quello che sta accadendo – o meglio è accaduto – negli ultimi giorni negli Stati Uniti in tema di aborto. Nancy Pelosi è intervenuta pubblicamente sulla scelta della Corte Suprema americana di non bloccare la stretta varata dal Texas, che vieta l’aborto già dalla sesta settimana di gravidanza. La  decisione dei nove giudici, la cui maggioranza conservatrice è stata plasmata dall’ex presidente Donald Trump, apre la strada a un possibile, clamoroso rovesciamento della sentenza del 1973, quella che legalizzò l’aborto in America, la ‘Roe contro Wade’. 

La nuova legge 

Non è la prima e, si teme, non sarà l’ultima. Con l’entrata in vigore dell’Heartbeat Act, il Texas si conferma essere ancora una volta il laboratorio delle politiche più conservatrici d’America e un pericoloso modello per tutti gli altri Stati repubblicani. Il primo settembre è entrata in vigore la nuova legge statale in materia, emanata a maggio (ne avevamo parlato su Luce!, leggi qui l’articolo),che stabilisce che un medico non può eseguire consapevolmente un aborto se c’è un battito cardiaco fetale rilevabile. Battito che appare a circa sei settimane di gravidanza. La particolarità della legge è che consente a qualunque privato cittadino di fare causa a tutti coloro che “aiutino o favoriscano” un aborto illegale, ottenendo sino a 10 mila dollari di danni in una corte civile; via libera dunque, alle associazioni antiabortiste presenti nello stato, ma non solo, a chiunque voglia indossare i panni di ‘poliziotto’ e denunciare medici, staff sanitari delle cliniche, consultori e persino l’autista Uber che porterà una donna in una clinica o in ospedale per abortire. Un’unica eccezione concessa, quella per emergenze sanitarie documentate per iscritto da un medico, ma non per gravidanze frutto di stupri e incesti.

Le reazioni

Mentre ‘esultano’ le associazioni anti abortiste, quelle cattoliche e gran parte degli stati più conservatori d’America, arriva immediata l’ira di Joe Biden, che condanna apertamente la mancata presa di posizione della Corte: “Questa legge estrema del Texas viola apertamente il diritto costituzionale stabilito dalla Roe v. Wade e confermata come precedente per quasi mezzo secolo”. Il provvedimento, prosegue il presidente, “riduce significativamente l’accesso delle donne alle cure sanitarie di cui hanno bisogno, particolarmente per le comunità di colore e gli individui con basso reddito“. Gli fa eco Hillary Clinton, denunciando l’immobilità della Corte suprema, che “col favore delle tenebre, scegliendo di non fare nulla, ha consentito che un bando incostituzionale sull’aborto entrasse in vigore”. Sul tema si sono espresse persino le Nazioni Unite (qui l’articolo), sostenendo che l’Heartbeat Act violi il diritto internazionale, negando alle donne il controllo del proprio corpo e mettendo in pericolo le loro vite. Agguerrite le associazioni, che per giorni hanno manifestato davanti al Campidoglio e alla Corte Suprema, accompagnando le donne americane nel loro grido di protesta. Alexis McGill, presidente della federazione dei consultori americani, ha definito il caso del Texas l’“emblema di una giustizia vigilante”, che vuole controllare ogni cosa. Il Center for Reproductive Rights parla di “legge crudele e illegale”. Da Hollywood, la blogger e attrice Alissa Milano, tra le voci più autorevoli del movimento #MeToo, si è scagliata contro lo “scandalo texano”, mentre la collega Debra Messing ha ricordato come non sia passato ancora un anno dalla scomparsa della giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, icona dei diritti delle donne, e la “Roe v. Wade è stata già spazzata via dal Texas”.
C’è perfino un anonimo americano che su Twitter ha scritto “Abbiamo bisogno di evacuare donne e ragazze dal Texas. I talebani repubblicani stanno imponendo il loro estremismo religioso”. La battuta è rimbalzata migliaia e migliaia di volte sul social network, ripresa e perfino in tv: sulla Msnbc hanno definito “talebana” la nuova misura anche dai media liberal sono arrivate accuse forti alla nuova legge. “Questa decisione – ha commentato invece la Cnn – fa rabbrividire ogni donna di questo Paese, perché la paura è che si usi la legge per aggirare un diritto acquisito”. E il commentatore televisivo, Jeffrey Toobin, ha parlato di “disgrazia assoluta”.

L’aborto negli altri Paesi

Quello dell’aborto non è un problema che riguarda solo gli stati conservatori Usa come Arizona, Alabama, Georgia e Texas (qui la mappa mondiale) E nemmeno, spostandoci in Europa, solo la Polonia, ad esempio, dove lo scorso gennaio è entrata in vigore la norma che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto e che sancisce, in pratica, il divieto quasi totale di interrompere la gravidanza. Di impossibilità di esercitare il diritto di scelta si parla, ormai da qualche anno, anche in Italia. Nel nostro Paese, in teoria, il diritto è garantito dalla già citata legge 194 del codice penale, ma nella pratica l’esercizio è impedito da una massiccia e crescente presenza di medici obiettori di coscienza. “Sette ginecologi su 10 in Italia si rifiutano di applicare interruzioni volontarie di gravidanza. Le conseguenze dei numeri dell’obiezione di coscienza, pur prevista dalla legge 194, si riversano immediatamente sui corpi e nelle vite di centinaia di migliaia di donne ostacolando l’accesso a un diritto conquistato più di 40 anni fa. È certamente la reale dittatura sanitaria”. È quanto dichiarato da Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali Italiani e promotrice della campagna ‘Libera di Abortire‘. 

Dai dati dell’ultima Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge, che risalgono al 2018, emergono segnali allarmanti: il 69% dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, cioè si rifiuta di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. In cinque regioni e nella provincia autonoma di Bolzano la percentuale arriva o supera l’80%. Sono inoltre obiettori anche il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale sanitario non medico. Per queste ragioni nel 35.1% delle strutture italiane con reparti di ginecologia o ostetricia è impossibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. “Oggi, dopo più di 40 anni dall’approvazione della legge 194, il diritto delle donne di scegliere è ancora sotto attacco ed è arrivato il momento di tornare a lottare” ha scritto recentemente su Twitter Emma Bonino, invitando a firmare l’appello di ‘Libera di abortire’. “C’è da fare un reset – ha aggiunto la leader di + Europa – ci sono molti modi per boicottare la legge, come le altissime percentuali di medici obiettori e la mancanza di un correttivo che garantisca ugualmente questa libertà. Dobbiamo difendere la 194, migliorarla, renderla adeguata ai tempi e alla società che viviamo. Dev’essere un impegno perché se non facciamo niente rischiamo che un bel giorno ci svegliamo e questa possibilità non c’è più”.

Nel video come è cambiata la legislazione in tema di aborto nel mondo nel corso degli anni (Fonte Center for Reproductive Rights)

Il caso del Messico 

Intanto però, tornando dall’altra parte dell’oceano, arrivano flebili segnali di speranza. La Corte suprema del Messico ha infatti depenalizzato l’aborto con una sentenza storica. Si trattava, in particolare, della legislazione dello Stato di Coahuila, nel nord del Paese, che puniva sia le donne che lo praticavano sia le persone che lo permettevano con il loro consenso, con pene da uno a tre anni di reclusione. I giudici dell’alta corte, dopo una sessione di 2 giorni, l’hanno ritenuta all’unanimità contraria alla Costituzione. “Un momento spartiacque” per tutte le donne, soprattutto per quelle più vulnerabili, ha commentato Arturo Zaldivar, presidente della Corte suprema messicana. “Poiché la decisione è stata raggiunta con una maggioranza che supera gli otto voti (10 a favore e nessun contrario, ndr), le ragioni della Corte sono vincolanti per ogni giudice in Messico, sia federale che locale“, ha sottolineato il massimo organo giudiziario. Il governo di Coahuila ha inoltre rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui afferma che la sentenza avrebbe effetti retroattivi: qualsiasi donna imprigionata per aborto deve quindi essere rilasciata “immediatamente”.

La sentenza di ieri è in netto contrasto con la legge entrata in vigore nei giorni scorsi in Texas, con il quale lo Stato di Coahuila confina. “È la prima volta che la corte va dritta al cuore della questione” sulle restrizioni all’aborto, ha affermato Rebeca Ramos, direttrice di GIRE, un’organizzazione che tutela i diritti riproduttivi. “In questo caso specifico è se la criminalizzazione, considerando l’aborto volontario nelle prime fasi della gravidanza un crimine, sia costituzionale – ha aggiunto -. Ciò che è stato stabilito è che non è costituzionale perché colpisce una serie di diritti umani“.

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 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
"[...]Altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch'io. Ma non conta. Perché la vita non muore". La vita non muore, nonostante un aborto. Questo il messaggio che ha lasciato Oriana Fallaci in "Lettera a un bambino mai nato" (1975), tre anni prima che in Italia entrasse in vigore la legge 194, quella che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all'aborto. Non è quel 'bambino mai nato' a fermare la vita. Ma spesso, la vita, la salva. Alle donne che subiscono violenza e rimangono incinta del loro stupratore, a quelle che scoprono che il loro bambino ha delle gravi malformazioni o nascerà già in fin di vita (se non già morto), a quelle che un figlio non lo vogliono. Non per cattiveria, non perché sono 'anormali'. Ma per libera scelta. Una scelta che per molte, anche in paesi che si considerano democratici e ‘avanzati’ dal punto di vista dei diritti umani, non è o non sarà più contemplata. "Una decisione codarda". Forse sono le parole della speaker della Camera nel Congresso Usa, e terza carica dello Stato, le migliori per descrivere quello che sta accadendo - o meglio è accaduto - negli ultimi giorni negli Stati Uniti in tema di aborto. Nancy Pelosi è intervenuta pubblicamente sulla scelta della Corte Suprema americana di non bloccare la stretta varata dal Texas, che vieta l'aborto già dalla sesta settimana di gravidanza. La  decisione dei nove giudici, la cui maggioranza conservatrice è stata plasmata dall'ex presidente Donald Trump, apre la strada a un possibile, clamoroso rovesciamento della sentenza del 1973, quella che legalizzò l'aborto in America, la 'Roe contro Wade'. 

La nuova legge 

Non è la prima e, si teme, non sarà l’ultima. Con l’entrata in vigore dell’Heartbeat Act, il Texas si conferma essere ancora una volta il laboratorio delle politiche più conservatrici d’America e un pericoloso modello per tutti gli altri Stati repubblicani. Il primo settembre è entrata in vigore la nuova legge statale in materia, emanata a maggio (ne avevamo parlato su Luce!, leggi qui l’articolo),che stabilisce che un medico non può eseguire consapevolmente un aborto se c'è un battito cardiaco fetale rilevabile. Battito che appare a circa sei settimane di gravidanza. La particolarità della legge è che consente a qualunque privato cittadino di fare causa a tutti coloro che "aiutino o favoriscano" un aborto illegale, ottenendo sino a 10 mila dollari di danni in una corte civile; via libera dunque, alle associazioni antiabortiste presenti nello stato, ma non solo, a chiunque voglia indossare i panni di 'poliziotto' e denunciare medici, staff sanitari delle cliniche, consultori e persino l'autista Uber che porterà una donna in una clinica o in ospedale per abortire. Un'unica eccezione concessa, quella per emergenze sanitarie documentate per iscritto da un medico, ma non per gravidanze frutto di stupri e incesti.

Le reazioni

Mentre 'esultano' le associazioni anti abortiste, quelle cattoliche e gran parte degli stati più conservatori d'America, arriva immediata l’ira di Joe Biden, che condanna apertamente la mancata presa di posizione della Corte: "Questa legge estrema del Texas viola apertamente il diritto costituzionale stabilito dalla Roe v. Wade e confermata come precedente per quasi mezzo secolo". Il provvedimento, prosegue il presidente, "riduce significativamente l'accesso delle donne alle cure sanitarie di cui hanno bisogno, particolarmente per le comunità di colore e gli individui con basso reddito". Gli fa eco Hillary Clinton, denunciando l’immobilità della Corte suprema, che "col favore delle tenebre, scegliendo di non fare nulla, ha consentito che un bando incostituzionale sull'aborto entrasse in vigore". Sul tema si sono espresse persino le Nazioni Unite (qui l’articolo), sostenendo che l’Heartbeat Act violi il diritto internazionale, negando alle donne il controllo del proprio corpo e mettendo in pericolo le loro vite. Agguerrite le associazioni, che per giorni hanno manifestato davanti al Campidoglio e alla Corte Suprema, accompagnando le donne americane nel loro grido di protesta. Alexis McGill, presidente della federazione dei consultori americani, ha definito il caso del Texas l'"emblema di una giustizia vigilante", che vuole controllare ogni cosa. Il Center for Reproductive Rights parla di "legge crudele e illegale". Da Hollywood, la blogger e attrice Alissa Milano, tra le voci più autorevoli del movimento #MeToo, si è scagliata contro lo "scandalo texano", mentre la collega Debra Messing ha ricordato come non sia passato ancora un anno dalla scomparsa della giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, icona dei diritti delle donne, e la "Roe v. Wade è stata già spazzata via dal Texas". C'è perfino un anonimo americano che su Twitter ha scritto "Abbiamo bisogno di evacuare donne e ragazze dal Texas. I talebani repubblicani stanno imponendo il loro estremismo religioso". La battuta è rimbalzata migliaia e migliaia di volte sul social network, ripresa e perfino in tv: sulla Msnbc hanno definito "talebana" la nuova misura anche dai media liberal sono arrivate accuse forti alla nuova legge. "Questa decisione - ha commentato invece la Cnn - fa rabbrividire ogni donna di questo Paese, perché la paura è che si usi la legge per aggirare un diritto acquisito". E il commentatore televisivo, Jeffrey Toobin, ha parlato di "disgrazia assoluta".

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Quello dell’aborto non è un problema che riguarda solo gli stati conservatori Usa come Arizona, Alabama, Georgia e Texas (qui la mappa mondiale) E nemmeno, spostandoci in Europa, solo la Polonia, ad esempio, dove lo scorso gennaio è entrata in vigore la norma che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto e che sancisce, in pratica, il divieto quasi totale di interrompere la gravidanza. Di impossibilità di esercitare il diritto di scelta si parla, ormai da qualche anno, anche in Italia. Nel nostro Paese, in teoria, il diritto è garantito dalla già citata legge 194 del codice penale, ma nella pratica l’esercizio è impedito da una massiccia e crescente presenza di medici obiettori di coscienza. "Sette ginecologi su 10 in Italia si rifiutano di applicare interruzioni volontarie di gravidanza. Le conseguenze dei numeri dell'obiezione di coscienza, pur prevista dalla legge 194, si riversano immediatamente sui corpi e nelle vite di centinaia di migliaia di donne ostacolando l'accesso a un diritto conquistato più di 40 anni fa. È certamente la reale dittatura sanitaria". È quanto dichiarato da Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali Italiani e promotrice della campagna 'Libera di Abortire'.  Dai dati dell’ultima Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge, che risalgono al 2018, emergono segnali allarmanti: il 69% dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, cioè si rifiuta di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. In cinque regioni e nella provincia autonoma di Bolzano la percentuale arriva o supera l’80%. Sono inoltre obiettori anche il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale sanitario non medico. Per queste ragioni nel 35.1% delle strutture italiane con reparti di ginecologia o ostetricia è impossibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. "Oggi, dopo più di 40 anni dall’approvazione della legge 194, il diritto delle donne di scegliere è ancora sotto attacco ed è arrivato il momento di tornare a lottare" ha scritto recentemente su Twitter Emma Bonino, invitando a firmare l’appello di 'Libera di abortire'. "C’è da fare un reset - ha aggiunto la leader di + Europa - ci sono molti modi per boicottare la legge, come le altissime percentuali di medici obiettori e la mancanza di un correttivo che garantisca ugualmente questa libertà. Dobbiamo difendere la 194, migliorarla, renderla adeguata ai tempi e alla società che viviamo. Dev’essere un impegno perché se non facciamo niente rischiamo che un bel giorno ci svegliamo e questa possibilità non c’è più". Nel video come è cambiata la legislazione in tema di aborto nel mondo nel corso degli anni (Fonte Center for Reproductive Rights)

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Intanto però, tornando dall’altra parte dell’oceano, arrivano flebili segnali di speranza. La Corte suprema del Messico ha infatti depenalizzato l'aborto con una sentenza storica. Si trattava, in particolare, della legislazione dello Stato di Coahuila, nel nord del Paese, che puniva sia le donne che lo praticavano sia le persone che lo permettevano con il loro consenso, con pene da uno a tre anni di reclusione. I giudici dell'alta corte, dopo una sessione di 2 giorni, l’hanno ritenuta all’unanimità contraria alla Costituzione. "Un momento spartiacque" per tutte le donne, soprattutto per quelle più vulnerabili, ha commentato Arturo Zaldivar, presidente della Corte suprema messicana. "Poiché la decisione è stata raggiunta con una maggioranza che supera gli otto voti (10 a favore e nessun contrario, ndr), le ragioni della Corte sono vincolanti per ogni giudice in Messico, sia federale che locale", ha sottolineato il massimo organo giudiziario. Il governo di Coahuila ha inoltre rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui afferma che la sentenza avrebbe effetti retroattivi: qualsiasi donna imprigionata per aborto deve quindi essere rilasciata "immediatamente". La sentenza di ieri è in netto contrasto con la legge entrata in vigore nei giorni scorsi in Texas, con il quale lo Stato di Coahuila confina. "È la prima volta che la corte va dritta al cuore della questione" sulle restrizioni all'aborto, ha affermato Rebeca Ramos, direttrice di GIRE, un'organizzazione che tutela i diritti riproduttivi. “In questo caso specifico è se la criminalizzazione, considerando l'aborto volontario nelle prime fasi della gravidanza un crimine, sia costituzionale - ha aggiunto -. Ciò che è stato stabilito è che non è costituzionale perché colpisce una serie di diritti umani".
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