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Luca, Alessandra e la loro Luna con gli occhi di riso: "Non bisogna aver paura della diversità”

di VALENTINA BERTUCCIO D'ANGELO -
18 gennaio 2022
FamigliaBimbaDown

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Nel mare di immagini patinate e di vite perfette proposte a raffica dai social, sta emergendo da un po’ di tempo una tendenza che va in un’altra direzione. Profili curatissimi e aggiornatissimi, che raccontano le storie delle famiglie con figli con sindrome di Down. Non ci sono pietismi né romanzi, solo immagini e video della quotidianità di mamme, papà, figli, figlie e… un cromosoma in più.

Cambiare la narrazione sulla sindrome di Down

Alessandra, Luca e la loro piccola Luna

A fare da apripista, come spesso accade, sono stati gli americani: esistono centinaia di account Instagram che raccontano il viaggio di queste famiglie, dalla diagnosi (raccontata così com’è, con sincerità, tra tante lacrime e mille dubbi sul futuro) al ritorno a casa dopo il parto, dai primi sorrisi ai giochi e alle avventure che questi bimbi vivono, tali e quali ai loro coetanei. Ma anche le terapie e le difficoltà. Insomma, un album fotografico di famiglia ma aperto al mondo per lanciare un messaggio bello, forte e chiaro: la diagnosi di Trisomia 21 non è una sventura, le vite dei piccoli con la sindrome valgono e la vita delle loro famiglie può essere ricca e bellissima. Un messaggio che va controcorrente rispetto alla narrazione più diffusa nel mondo occidentale, dove infatti di neonati con la sindrome di Down (che è la più frequente tra le anomalie genetiche, con un’incidenza a livello globale di 1 su 700 nati vivi) ne nascono sempre meno (in Islanda sono vicini a quota zero) grazie alla diagnosi prenatale e all’interruzione di gravidanza. Sia chiaro: ogni donna ha il diritto di fare del suo corpo – e della sua gravidanza – ciò che vuole e qui non si vuole fare un approfondimento di bioetica. Ma è un fatto che della sindrome si sa poco e niente, a meno di non essere coinvolti, ed è comprensibile che la prima reazione di chi riceve una diagnosi prenatale sia di terrore. I profili delle mamme e dei papà che vogliono “advocate for down syndrome” hanno l’obiettivo di spiegare che si può essere felici anche con la Trisomia 21 in famiglia. E che le persone con la sindrome, se seguite con amore e attenzione, possono davvero fare tutto quello che vogliono.

La storia di Luna e "Occhi di Riso"

In Italia il più famoso genitore social con una piccola con la sindrome è Luca Trapanese (che fa parte del comitato scientifico di Luce!), 425mila follower su Instagram, papà single di Napoli che nel 2018 ha adottato Alba ad appena 30 giorni. Ma non è il solo. Tra i profili più piccoli ma in crescita c’è “Occhi di riso”, creato dai genitori di Luna, un anno e 8 mesi. Alessandra Baruffato, medico nutrizionista di 37 anni, e Luca Renault, 35, ingegnere, vivono in provincia di Varese. La diagnosi di Luna arriva al parto: “Luna è nata ad aprile 2020, in piena pandemia. Dopo una gravidanza meravigliosa, ho dovuto partorire con cesareo alla 37esima settimana perché durante la presa in carico hanno visto che la piccola non cresceva. Quando la mattina dopo ce l’hanno riportata, io e mio marito abbiamo notato gli occhi e ci è venuto il dubbio che avesse la sindrome. Ma non abbiamo osato dircelo”.Poi la conferma: “Luca se n’era appena andato quando è entrato il pediatra e mi ha dato la notizia. Ho cominciato a piangere e ho pianto tre giorni, senza che nessuno mi dicesse nulla. Solo una signora, non so se fosse un’infermiera, veniva a darmi conforto. Avevo tante domande, ma quando provavo a farle venivo interrotta perché bisognava aspettare il test genetico. Ma c’erano pochi dubbi”. L’esito del test arriva, in modo rocambolesco, oltre un mese dopo e dà la conferma: Trisomia 21. “Abbiamo continuato a non ricevere nessun tipo di assistenza pratica né aiuto psicologico, siamo stati lasciati soli e non è solo colpa del Covid. È vero, io sono medico ma della sindrome sapevo solo quello che avevo studiato sui libri”.

La bambina oggi ha un anno e otto mesi e ha la Trisomia 21, comunemente nota come sindrome di Down

Mentre è ancora in ospedale Alessandra comincia a cercare testimonianze su internet: “Ho trovato diversi articoli che raccontavano le storie di mamme e papà di figli con la sindrome. Ed erano storie di felicità. Quelle parole mi hanno dato tanta pace e ho deciso di smettere di tormentarmi sul futuro di Luna”. Una volta tornate a casa, la famiglia si assesta, Alessandra e Luca cercano – sempre da soli – di capire come dare alla figlia l’ambiente e gli stimoli più giusti per favorire il suo sviluppo. Come d’altra parte fanno tutti i neogenitori alle prese con una nuova avventura. Racconta Luca: “Quando spiegavo a chi mi conosceva che Luna aveva la sindrome di Down lo facevo con un tale entusiasmo che le persone non sapevano bene come reagire”. Nel frattempo nasce l’idea del profilo Instagram: “È stata mia sorella a spronarmi, dicendomi che era ora di cambiare le coscienze e dare testimonianza. Il nome, invece, ce l’ha suggerito una bambina che l’estate scorsa, nella sua ingenuità, ha visto Luna e ha esclamato: che bella, ha gli occhi di riso!”. Alessandra quindi segue un corso per imparare le strategie del social e anche uno per creare e gestire siti web. Nascono il profilo Instagram e il sito, con l’obiettivo dichiarato di “rendere visibile a tutti la bellezza della diversità”, perché “una cosa che abbiamo imparato grazie a nostra figlia è che conoscere sconfigge la paura”. Il profilo piano piano cresce e arrivano anche le soddisfazioni: “Diverse mamme che hanno ricevuto la diagnosi mi scrivono ringraziandomi, perché le immagini e le storie che pubblico hanno dato loro pace, convincendole che una vita felice anche con la sindrome è possibile. Mi ha scritto anche una mamma che invece ha abortito, chiedendomi e chiedendosi se avesse fatto bene”. “Occhi di riso” mostra le avventure di Luna e della sua famiglia: in gita, in cucina, con i giochi, con i gatti o con altri bimbi. “Non voglio creare contenuti solo per bambini con la sindrome”. E infatti le scrivono anche mamme che non hanno figli con Trisomia. Non mancano però i commenti d’odio, “ma sono davvero pochissimi” forse il 2%, minimizza Alessandra. Che crede tantissimo nel potere dei social per veicolare il suo messaggio. “Ho scritto che ogni bimbo sceglie il suo genitore e che ogni genitore è perfetto per il suo bimbo. E anche qui, mi hanno scritto molte mamme ringraziandomi”.

I genitori di Luna hanno creato il profilo Instagram e la pagina web "Occhi di riso" per condividere un'immagine positiva della vita quotidiana della figlia

Nelle intenzioni di Alessandra e Luca ci sono molti altri progetti, tra cui un’associazione, ma già adesso stanno creando una piccola rete: capita che altri genitori chiedano loro consigli su come affrontare, per esempio, la psicomotricità. “Quello che ci preme – spiegano – è mostrare la vita quotidiana di una persona con la sindrome, che è pura gioia di vivere. In più vogliamo far capire che l’ambiente in cui crescono questi bimbi fa tantissimo e può cambiare davvero il loro destino. Bisogna seguirli con impegno e costanza ma sempre nel divertimento. Siamo convinti che nostra figlia andrà dappertutto, anzi dovremo fermarla! Ci auguriamo di riuscire a darle tutti gli strumenti per essere se stessa e speriamo anche che il mondo smetta di guardarla e trattarla come una disabile. Vogliamo far capire – aggiunge Luca – che non bisogna aver paura della diversità. Alla fine, chi può dire cos’è normale?”.

Luca e Alba Trapanese

È la stessa domanda che si pone da sempre Luca Trapanese, 44 anni e papà single di Alba, che appena nata – con la sindrome di Down – era stata lasciata in ospedale. La loro storia è una storia di prime volte: l’adozione di Alba è stata la prima in Italia da parte di un genitore single omosessuale. Oggi la bimba ha quattro anni ed è la star assoluta del profilo Instagram di suo padre. “Chi è normale? Cos’è normale? Alba è Alba, una bambina con la sua voglia di vivere e di cui la sindrome è una caratteristica. Per me è perfetta così com’è. A volte mi chiedono se, con una bacchetta magica, la vorrei guarire: ma lei non è malata”. Anche Trapanese vuole mandare un messaggio molto chiaro: “Dobbiamo rieducare la società alla diversità, far capire che la disabilità non è una disgrazia né una sentenza di morte. Anzi, si può essere anche più felici di quei genitori che vogliono il figlio perfetto e geniale”. Centinaia di persone al giorno gli scrivono per ringraziarlo: “Ma io non volevo fare l’influencer, mi ci sono ritrovato perché racconto come la mia vita non sia limitata dalla disabilità. I social hanno, in questo, un potenziale grandissimo ma non c’è una politica che miri a formare la società sulla disabilità, che resta un problema di chi ce l’ha. Se fosse una questione della comunità, diventerebbe un’urgenza per tutti”.