Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Attualità » “Le lesbiche non sono donne” Luce Scheggi contro il pensiero e il linguaggio patriarcale

“Le lesbiche non sono donne” Luce Scheggi contro il pensiero e il linguaggio patriarcale

"La parola lesbica va risignificata"

Sofia Francioni
26 Giugno 2022
Share on FacebookShare on Twitter

Nel dibattito sulle identità, Luce Scheggi da Instagram traccia delle linee e non lascia spazio a equivoci: “La lesbica non è donna” scrive nel mese del Pride ormai al termine. Residente a Bologna, il divulgatore e attivista che non a caso si definisce dissidente del genere con la sua forte affermazione non inventa niente, rifacendosi allo  storico dibattito acceso negli anni Settanta da Monique Wittig femminista e “lesbica radicale”.

Tra le fondatrici del Movimento di liberazione delle donne in Francia (1970) e tra le più autorevoli e influenti esponenti del femminismo radicale e del lesbismo materialista a livello internazionale, Wittig “nel suo libro Il pensiero eterosessuale ci spiega perfettamente perché a detta sua il termine donna non possa essere applicato alle lesbiche”, scrive Luce. “L’eterosessualità, ci dice, non è un orientamento sessuale, ma un regime politico ed è ciò che produce una gerarchia tra uomini e donne, quindi non è il sesso che determina l’oppressione, ma il contrario”.

Monique Wittig: l’eterosessualità è un regime politico 

Monique Wittig, poetessa, saggista, teorica femminista (1935-2003)

Riprendendo un estratto dal testo della conferenza alla Modern Language Association di New York che tenne nel 1978, ora nel libro Il pensiero eterosessuale tradotto e curato da Federico Zappino per ombre corte, Wittig scriveva: “sarebbe scorretto dire che le lesbiche sono donne che si associano, fanno l’amore, vivono con altre donne. “Donna” è una parola che ha senso solo nei sistemi di pensiero ed economici eterosessuali. E le lesbiche non sono donne”.

“Le lesbiche non sono donne, ma tante hanno fatto in modo di diventarlo.”, continua Scheggi. “Molte di noi, per riuscire a sopravvivere al regime eterosessuale non hanno potuto fare altro se non rientrare a piè pari dentro la stretta gabbia dei diktat eterocispatriarcali. Ma l’omofilia, è mai servita a qualcosa?”, domanda il divulgatore. ” Prendere ispirazione da un sistema che è nato per schiacciare il 99% delle persone al suo interno, ci farà arrivare a rientrare in quel 1%? Il nostro obiettivo, è azzerare la percentuale o dare manforte ai padroni per cercare di stare a tavola con loro?”

“La parola lesbica va usata e risignificata”

Luce Scheggi, divulgatore, attivista e dissidente del genere

“Quel che è certo”, conclude, “è che la parola lesbica fa immediatamente pensare a: donna che ama un’altra donna. Ebbene allora, è forse il caso di abbonare il termine per ricercarne uno più esplicativo? In questo momento della mia vita non mi sento di sposare questa posizione, per il semplice fatto che il termine lesbica non si è ancora naturalizzato. Lesbica è una parola che si porta dietro un carico denigratorio troppo pesante da ignorare, e fin tanto che sarà così, io continuerò ad usarla e alla meglio risignificarla. Quel che credo fermamente è che noi lesbiche non siamo donne e far finta di esserlo, non ci salverà”.

Potrebbe interessarti anche

Edy Angelillo
Spettacolo

Edy Angelillo, attrice versatile sul palcoscenico, ‘pasionaria’ gentile dei diritti nella realtà

3 Agosto 2022
Carlotta Ferlito
Attualità

Carlotta Ferlito racconta i disturbi alimentari: “A 8 anni mi dissero che dovevo dimagrire”

22 Luglio 2022
Emanuele Loati e Maura Nardi
Attualità

Maura ed Emanuele convolano a nozze: il matrimonio dopo la doppia transizione

11 Agosto 2022

Instagram

  • Bebe Vio “torna subito" a colpire con il suo ormai proverbiale (auto)sarcasmo.

Sul suo profilo Instagram pubblica una foto delle protesi lasciate sul lettino, prima di fare un tuffo in mare. Libera. 🏊‍♀️

#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore
Nel dibattito sulle identità, Luce Scheggi da Instagram traccia delle linee e non lascia spazio a equivoci: "La lesbica non è donna" scrive nel mese del Pride ormai al termine. Residente a Bologna, il divulgatore e attivista che non a caso si definisce dissidente del genere con la sua forte affermazione non inventa niente, rifacendosi allo  storico dibattito acceso negli anni Settanta da Monique Wittig femminista e "lesbica radicale". Tra le fondatrici del Movimento di liberazione delle donne in Francia (1970) e tra le più autorevoli e influenti esponenti del femminismo radicale e del lesbismo materialista a livello internazionale, Wittig "nel suo libro Il pensiero eterosessuale ci spiega perfettamente perché a detta sua il termine donna non possa essere applicato alle lesbiche", scrive Luce. "L'eterosessualità, ci dice, non è un orientamento sessuale, ma un regime politico ed è ciò che produce una gerarchia tra uomini e donne, quindi non è il sesso che determina l'oppressione, ma il contrario".

Monique Wittig: l'eterosessualità è un regime politico 

Monique Wittig, poetessa, saggista, teorica femminista (1935-2003)
Riprendendo un estratto dal testo della conferenza alla Modern Language Association di New York che tenne nel 1978, ora nel libro Il pensiero eterosessuale tradotto e curato da Federico Zappino per ombre corte, Wittig scriveva: "sarebbe scorretto dire che le lesbiche sono donne che si associano, fanno l’amore, vivono con altre donne. "Donna" è una parola che ha senso solo nei sistemi di pensiero ed economici eterosessuali. E le lesbiche non sono donne". "Le lesbiche non sono donne, ma tante hanno fatto in modo di diventarlo.", continua Scheggi. "Molte di noi, per riuscire a sopravvivere al regime eterosessuale non hanno potuto fare altro se non rientrare a piè pari dentro la stretta gabbia dei diktat eterocispatriarcali. Ma l'omofilia, è mai servita a qualcosa?", domanda il divulgatore. " Prendere ispirazione da un sistema che è nato per schiacciare il 99% delle persone al suo interno, ci farà arrivare a rientrare in quel 1%? Il nostro obiettivo, è azzerare la percentuale o dare manforte ai padroni per cercare di stare a tavola con loro?"

"La parola lesbica va usata e risignificata"

Luce Scheggi, divulgatore, attivista e dissidente del genere
"Quel che è certo", conclude, "è che la parola lesbica fa immediatamente pensare a: donna che ama un'altra donna. Ebbene allora, è forse il caso di abbonare il termine per ricercarne uno più esplicativo? In questo momento della mia vita non mi sento di sposare questa posizione, per il semplice fatto che il termine lesbica non si è ancora naturalizzato. Lesbica è una parola che si porta dietro un carico denigratorio troppo pesante da ignorare, e fin tanto che sarà così, io continuerò ad usarla e alla meglio risignificarla. Quel che credo fermamente è che noi lesbiche non siamo donne e far finta di esserlo, non ci salverà".
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2021 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto