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Home » Attualità » Malala, il coraggio del padre che l’ha lasciata “Libera di volare”. I terroristi volevano cancellarla, ma ne hanno fatto una leader

Malala, il coraggio del padre che l’ha lasciata “Libera di volare”. I terroristi volevano cancellarla, ma ne hanno fatto una leader

È la più giovane Premio Nobel per la pace nella storia, fin da piccola si è battuta per i diritti femminili, perché alle ragazze sia permesso studiare e crearsi un futuro, senza sottostare all'obbligo del matrimonio. Più volte hanno provato a farla tacere, ma grazie anche al supporto del suo papà 'Mal' non si è mai arresa. E ora pensa al futuro

Rita Bartolomei
17 Agosto 2021
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“Quando vogliono sapere com’è riuscita Malala a diventare quella che è, rispondo: non chiedetemi cosa ho fatto ma cosa non ho fatto. Non le ho tarpato le ali”. Ziauddin Yousafzai, pachistano di Mingora, insegnante e attivista, è il padre del premio Nobel per la Pace più giovane al mondo. Parte da lui la rivoluzione compiuta dalla ragazza che a 24 anni, dopo la laurea ad Oxford in filosofia, politica ed economia, continua ad essere un simbolo, leader tra le più ascoltate dai grandi, dentro e fuori dalla politica. Tim Cook della Apple la descrive umile, con i piedi per terra ma “concentrata nel fare la differenza nel mondo”. “Libera di volare”, l’ha raccontata il padre due anni fa, nel diario di un cambiamento radicale che vede protagonista anche quest’uomo, nato in una casa di fango sulle montagne del Pakistan e approdato con tutta la famiglia in Inghilterra, nuova patria.

Eppure continua a far paura Malala Yousafzai, classe 1997, Mal per gli amici – tra loro altri leader della generazione Z come Greta Thunberg e Emma Gonzales, che si battono per il clima e il controllo delle armi –, la ragazzina che i terroristi volevano morta. Mentre il suo volto, incorniciato da un velo rosso intenso, ha conquistato la copertina di Vogue Inghilterra, in patria le autorità hanno ordinato il ritiro di un libro per le scuole che parlava di lei e la metteva accanto al padre fondatore della nazione, Muhammad Ali Jinnah, oltre che a poeti e artisti.

Aveva 12 anni Malala quando sotto pseudonimo, dalla sua Mingora, nella valle dello Swat, raccontava in un blog per la BBC il regime dei talebani che vietavano la scuola alle ragazze. Ma lei, con l’esempio e la spinta di un padre che invece di costringerla a sposarsi le ha insegnato ad amare libertà e cultura – “era femminista prima di conoscere la parola”, così l’ha descritto – non si è mai piegata. Per questo hanno provato ad ucciderla.

“Il 9 ottobre 2012 i talebani mi hanno sparato in testa. E hanno sparato ai miei amici. Pensavano che le pallottole ci avrebbero fatto tacere. Ma hanno fallito. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’educazione li spaventa. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. […] Per questo uccidono le insegnanti donne. Questo è il motivo per cui ogni giorno fanno saltare le scuole: perché hanno paura del cambiamento e dell’uguaglianza che porteremo nella nostra società”.

Era il 12 luglio 2013. Malala compiva 16 anni quando prese la parola all’Onu, indossando un velo di Benazhir Bhutto. Era già un simbolo. La voce ferma, lo sguardo fiero, la mamma Toor Pekai ripresa mentre si asciuga le lacrime. Commossa, di fronte a quella giovanissima vita spesa a difesa dell’istruzione per tutti i bambini del mondo, per la scuola delle ragazze. La battaglia che l’anno dopo portò ‘Mal’, 17enne, a vincere il Nobel per la pace. I terroristi volevano cancellarla, ne hanno fatto una leader. Nello stesso anno è uscita la sua autobiografia, ‘Io sono Malala’, subito best seller.

Oggi l’attivista pachistana è una brillante laureata di Oxford e con la fondazione Malala fund – lanciata quando aveva 15 anni – assieme al padre continua nel suo impegno per l’educazione delle donne, contro l’ignoranza. La collaborazione con Apple, avviata nel 2018, ha fatto fare un salto tecnologico al progetto. Ma poi resta una 24enne che s’interroga sul futuro e si chiede: “Cosa farò dopo?”, come confida all’intervistatrice di Vogue. Rimanere in Inghilterra, tornare in Pakistan? Andare a vivere da sola, farsi una famiglia? Sono i pensieri di una giovane donna, che si fa domande anche sull’amore: “Non capisco perché le persone debbano sposarsi. Se vuoi avere qualcuno nella tua vita, perché devi firmare documenti di matrimonio?”.

E mantiene lo sguardo sempre aperto al mondo, per reclutare talenti femminili. L’ultimo progetto di Malala parte da un accordo con AppleTv+ firmato a marzo:  produrrà documentari, commedie, programmi per bambini. E poi chissà, ‘da grande’ c’è chi immagina per lei un futuro in politica. Perché, sono le sue parole, “quando dai alle ragazze le opportunità di istruzione, la loro vita e la loro visione cambiano completamente… Improvvisamente si accorgono che sono capaci di tutto“.

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"Ve lo risparmio ragazzi, non è proprio il mio forte" ha risposto l
  • Aumentano, purtroppo, gli episodi di bullismo e cyberbullismo. 

I minori vittime di prepotenze nella vita reale, o che le abbiano subite qualche volta sono il 54%, contro il 44% del 2020. Un incremento significativo, di ben 10 punti, che deve spingerci a riflettere. 

Per quanto riguarda il cyber bullismo, il 31% dei minori ne è stato vittima almeno una volta, contro il 23% del 2020. Il fenomeno sembra interessare più i ragazzi delle ragazze sia nella vita reale (il 57% dei maschi è stato vittima di prepotenze, contro il 50% delle femmine) sia in quella virtuale (32% contro 29%). Nel 42% si tratta di offese verbali, ma sono frequenti anche violenze fisiche (26%) e psicologiche (26%).

Il 52% è pienamente consapevole dei reati che commette se intraprende un’azione di bullismo usando internet o lo smartphone, il 14% lo è abbastanza, ma questo non sembra un deterrente. Un 26%, invece, dichiara di non saperne nulla della gravità del reato. Intervistati, con risposte multiple, sui motivi che spingono ad avere comportamenti di prepotenza o di bullismo nei confronti degli altri, il 54% indica il body shaming. 

Mentre tra i motivi che spingono i bulli ad agire in questo modo, il 50% afferma che così dimostra di essere più forte degli altri, il 47% si diverte a mettere in ridicolo gli altri, per il 37% il bullo si comporta in questo modo perché gli piace che gli altri lo temano.

Ma come si comportano se assistono a episodi di bullismo? Alla domanda su come si comportano i compagni quando assistono a queste situazioni, solo il 34% risponde “aiutano la vittima”, un dato che nel 2020 era il 44%. 

Un calo drastico, che forse potrebbe essere spiegato con una minore empatia sociale dovuta al distanziamento sociale e al lockdown, che ha impedito ai minori di intessere relazioni profonde. Migliora, invece, la percentuale degli insegnanti che, rendendosi conto di quanto accaduto, intervengono prontamente (46% contro il 40% del 2020). Un 7%, però, dichiara che i docenti, sebbene si rendano conto di quanto succede, non fanno nulla per fermare le prepotenze.

I giovanissimi sono sempre più iperconessi, ma sono ancora in grado di legarsi?

#lucenews #giornatacontroilbullismo
  • “Non sono giorni facilissimi, il dolore va e viene: è molto difficile non pensare a qualcosa che ti fa male”. Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, una delle influencer più amate del web si mette ancora una volta a nudo raccontando le sue insicurezze e fragilità. In un post su Instagram parla della tricodinia. 

“Se fosse tutto ok, per questa tricodinia rimarrebbe solo lo stress come unica causa e allora dovrò modificare qualcosa nella mia vita. Forse il mio corpo mi sta parlando e devo dargli ascolto."

La tricodinia è una sensazione dolorosa al cuoio capelluto, accompagnata da un bruciore o prurito profondo che, in termini medici, si chiama disestesia. Può essere transitoria o diventare cronica, a volte perfino un gesto quotidiano come pettinarsi o toccarsi i capelli può diventare molto doloroso. Molte persone – due pazienti su tre sono donne – lamentano formicolii avvertiti alla radice, tra i follicoli e il cuoio capelluto. Tra le complicazioni, la tricodinia può portare al diradamento e perfino alla caduta dei capelli. 

#lucenews #lucelanazione #camihawke #tricodinia
  • Dai record alle prime volte all’attualità, la 65esima edizione dei Grammy Awards non delude quanto a sorprese. 

Domenica 5 febbraio, in una serata sfavillante a Los Angeles, la cerimonia dell’Oscare della musica della Recording Academy ha fatto entusiasmare sia per i big presenti sia per i riconoscimenti assegnati. 

Intanto ad essere simbolicamente premiate sono state le donne e i manifestanti contro la dittatura della Repubblica Islamica: “Baraye“, l’inno delle proteste in Iran, ha vinto infatti il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo dal palco è stata nientemeno che  la first lady americana Jill Biden.

L’autore, il 25enne Shervin Hajipour, era praticamente sconosciuto quando è stato eliminato dalla versione iraniana di American Idol, ma la sua canzone è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran evocando sentimenti di dolore, rabbia, speranza e desiderio di cambiamento. Hajipour vive nel Paese in rivolta ed è stato arrestato dopo che proprio questo brano, a settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

#lucenews #grammyawards2023 #shervinhajipour #iran
"Quando vogliono sapere com’è riuscita Malala a diventare quella che è, rispondo: non chiedetemi cosa ho fatto ma cosa non ho fatto. Non le ho tarpato le ali". Ziauddin Yousafzai, pachistano di Mingora, insegnante e attivista, è il padre del premio Nobel per la Pace più giovane al mondo. Parte da lui la rivoluzione compiuta dalla ragazza che a 24 anni, dopo la laurea ad Oxford in filosofia, politica ed economia, continua ad essere un simbolo, leader tra le più ascoltate dai grandi, dentro e fuori dalla politica. Tim Cook della Apple la descrive umile, con i piedi per terra ma "concentrata nel fare la differenza nel mondo". "Libera di volare", l’ha raccontata il padre due anni fa, nel diario di un cambiamento radicale che vede protagonista anche quest’uomo, nato in una casa di fango sulle montagne del Pakistan e approdato con tutta la famiglia in Inghilterra, nuova patria.

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"Il 9 ottobre 2012 i talebani mi hanno sparato in testa. E hanno sparato ai miei amici. Pensavano che le pallottole ci avrebbero fatto tacere. Ma hanno fallito. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’educazione li spaventa. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. [...] Per questo uccidono le insegnanti donne. Questo è il motivo per cui ogni giorno fanno saltare le scuole: perché hanno paura del cambiamento e dell’uguaglianza che porteremo nella nostra società”.

Era il 12 luglio 2013. Malala compiva 16 anni quando prese la parola all’Onu, indossando un velo di Benazhir Bhutto. Era già un simbolo. La voce ferma, lo sguardo fiero, la mamma Toor Pekai ripresa mentre si asciuga le lacrime. Commossa, di fronte a quella giovanissima vita spesa a difesa dell’istruzione per tutti i bambini del mondo, per la scuola delle ragazze. La battaglia che l’anno dopo portò 'Mal', 17enne, a vincere il Nobel per la pace. I terroristi volevano cancellarla, ne hanno fatto una leader. Nello stesso anno è uscita la sua autobiografia, ‘Io sono Malala’, subito best seller.

Oggi l’attivista pachistana è una brillante laureata di Oxford e con la fondazione Malala fund – lanciata quando aveva 15 anni – assieme al padre continua nel suo impegno per l’educazione delle donne, contro l’ignoranza. La collaborazione con Apple, avviata nel 2018, ha fatto fare un salto tecnologico al progetto. Ma poi resta una 24enne che s’interroga sul futuro e si chiede: "Cosa farò dopo?", come confida all’intervistatrice di Vogue. Rimanere in Inghilterra, tornare in Pakistan? Andare a vivere da sola, farsi una famiglia? Sono i pensieri di una giovane donna, che si fa domande anche sull’amore: "Non capisco perché le persone debbano sposarsi. Se vuoi avere qualcuno nella tua vita, perché devi firmare documenti di matrimonio?".

E mantiene lo sguardo sempre aperto al mondo, per reclutare talenti femminili. L’ultimo progetto di Malala parte da un accordo con AppleTv+ firmato a marzo:  produrrà documentari, commedie, programmi per bambini. E poi chissà, 'da grande' c’è chi immagina per lei un futuro in politica. Perché, sono le sue parole, "quando dai alle ragazze le opportunità di istruzione, la loro vita e la loro visione cambiano completamente... Improvvisamente si accorgono che sono capaci di tutto".

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