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Home » Attualità » Neomamme infelici: “Non sentitevi sbagliate”. Un documentario abbatte il tabù della gioia obbligata

Neomamme infelici: “Non sentitevi sbagliate”. Un documentario abbatte il tabù della gioia obbligata

Storie e testimonianze di donne che hanno vissuto con sofferenza l’arrivo di un figlio nella propria vita. La pedagogista Mariagrazia Contini: "L’obiettivo è incoraggiarle a parlare senza vergognarsi di quello che provano, e far sì che vengano attivati percorsi di accompagnamento alla neo-genitorialità"

Maurizio Costanzo
6 Giugno 2022
Neomamme infelici, non sentitevi sbagliate. Il documentario che abbatte il tabù della felicità obbligata

Neomamme infelici, non sentitevi sbagliate. Il documentario che abbatte il tabù della felicità obbligata

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Mariti e compagni, amiche e sorelle, colleghi e parenti: tutti a riempire di attenzioni, coccole, regalini e affetto le donne nei nove mesi della gravidanza. Ma quando il bebè viene alla luce, dove finiscono tutto quell’aiuto e quel sostegno? E cosa accade veramente nelle neomamme nei mesi dopo il parto?

La locandina del docufilm ’I nove mesi dopo’ (2021), di Mariagrazia Contini, Vito Palmieri, Paolo Marzon

La locandina del docufilm ’I nove mesi dopo’ (2021), di Mariagrazia Contini, Vito Palmieri, Paolo Marzon

Tantissime restano sole, alle prese talvolta con sentimenti contrastanti. Le famiglie di origine spesso sono lontane, e i partner hanno poco tempo per rimanere a casa insieme a loro. Assalite dal timore di non essere adeguate, una generale solitudine e una profonda sofferenza finisce per impadronirsi dei loro stati d’animo e delle loro giornate. Come se non bastasse, il non detto e la solitudine di questa situazione spesso taciuta, non fa che peggiorare le cose. Per accendere i riflettori su quest’intima e difficile condizione che riguarda in realtà moltissime donne, la pedagogista Mariagrazia Contini, insieme a Paolo Marzoni e Vito Palmieri, ha realizzato un docufilm in cui dà voce a storie di tante neomamme ‘infelici’, intitolato appunto I nove mesi dopo.

Perfino Kate Middleton in occasione della festa della mamma pubblicò su Instagram un video per denunciare il fatto che molte neo-mamme “soffrono di ansia e depressione in silenzio“. E per questo vanno aiutate
Perfino Kate Middleton in occasione della festa della mamma pubblicò su Instagram un video per denunciare il fatto che molte neo-mamme “soffrono di ansia e depressione in silenzio”. E per questo vanno aiutate

Che vuole scardinare il pregiudizio sociale secondo cui: “Se sei diventata mamma, allora devi essere felice per forza”. Perfino Kate Middleton in occasione della festa della mamma pubblicò su Instagram un video per denunciare il fatto che molte neo-mamme “soffrono di ansia e depressione in silenzio”. E per questo vanno aiutate.

Mariagrazia Contini, possiamo dire che questo suo docufilm abbatte un tabù?

“Nei miei lavori cerco sempre di andare contro gli stereotipi, talmente radicati in noi che ci condizionano senza che ce ne rendiamo conto. In questo caso lo stereotipo nasce da lontano: la donna si realizza sposandosi; la donna sposata di realizza diventando madre; la donna diventata madre deve dunque essere per forza felice. Occorre invece distinguere, perché ogni soggetto ha le proprie caratteristiche, le condizioni sono diverse e cambiano da mamma a mamma. Quello che mi preme dire è che sono contro lo stereotipo della prescrizione sociale della felicità obbligata. È chiaro che ci sono delle mamme che sono molto felici, ma non devono sentirsi obbligate a esserlo”.

Da cosa nasce l’idea di questo documentario?

“Sono stata professoressa universitaria per quarant’anni, poi, quando sono andata in pensione, siccome amo più l’inizio che la fine delle cose, ho iniziato questo nuovo percorso, che è quello dei docufilm, e ‘I nove mesi dopo’ è il terzo. È un’attività che mi appassiona moltissimo perché mi consente di proseguire nella ricerca con connotati etico-sociali che ho sempre fatto, con un codice espressivo diverso rispetto ai libri. Questo documentario nasce come denuncia della prescrizione sociale della felicità obbligata per le neomamme. Voglio però spiegare bene: non è che io pensi che le neomamme siano infelici, come qualcuno ha travisato. Io dico che diventare mamma è un’esperienza importante, significativa e complessa, e come tutte le esperienze significative e complesse ha molte sfaccettature, dunque luci e zone d’ombra”.

Quante testimonianze e storie di questo tipo ha raccolto?

“Ho incontrato tante neomamme che accanto alla gioia di avere un bambino, proprio perché nella loro vita da un momento all’altro cambiano molti aspetti, si ritrovano a provare dei sentimenti di inadeguatezza, di paura, anche di disorientamento rispetto a se stesse, rispetto al rapporto col partner, più in generale rispetto al proprio posto nel mondo. Le neomamme sanno bene che c’è un’aspettativa di felicità, dunque, se sono un po’ tristi, questo è concesso loro per il breve tempo di due settimane (il baby blues). Se invece vanno oltre, vengono a quel punto consegnate alla medicina, perchè in quel caso di parla di depressione post-partum. Questo lo trovo molto ingiusto, nel senso che porta molte neomamme a vergognarsi dei loro sentimenti di fragilità, a non esprimerli, a nasconderli, quindi a soffrire maggiormente. Col mio documentario ho pensato di fornire un contributo affinché tutte le donne possano sentirsi libere di esprimere la loro felicità intrecciata alla loro paura, le loro emozioni positive intrecciate a quelle più problematiche”.

La pedagogista Mariagrazia Contini
La pedagogista Mariagrazia Contini: “C’è un copione per le neo-mamme che devono essere solo felici, invece c’è un intreccio di emozioni”

Le neomamme che vivono una condizione d’infelicità, a chi possono rivolgersi?

“È questo il problema. Si parla tanto di famiglia, spesso anche con molta retorica. Ritengo invece che dare alla famiglia la giusta importanza, significa attivare su tutto il territorio delle politiche sociali e di accompagnamento. In Emilia abbiamo la fortuna di avere capillarmente, su tutta la regione, centri-nascita, centri-famiglia e centri di accompagnamento alla natalità. Portando in giro il documentario ho incontrato molte mamme che mi dicevano quanto fosse stato importante per loro ricevere il sostegno di persone competenti con cui confrontarsi. In altre situazioni invece ho trovato molta solitudine. E quando c’è solitudine, e non c’è non c’è nessuno con cui potersi confrontare, è chiaro che la problematicità si accentua”.
Quali storie, tra le tante, ha scelto di raccontare nel docufilm?
“Ho scelto mamme diverse tra loro e non a caso. Ho deciso di fare quest’operazione per mostrare che le condizioni delle neomamme dipendono da molti fattori. Alcuni hanno a che fare con la propria storia personale, altri con le differenti caratteristiche di personalità, altri ancora col rapporto di coppia e col rapporto con la famiglia. Altri fattori hanno poi a che fare con le condizioni economiche: ad esempio tra le storie riporto quella di una mamma che ha attraversato il disagio della precarietà. Lei e il suo compagno avevano perso il lavoro, la casa e sono finiti per strada. È chiaro che quando le condizioni della materialità sono così dure, così difficili, come si fa a dire “è bello essere mamma”? Se così deve essere, allora diamoci da fare perché ci sia un accompagnamento, un aiuto”.

Qual è la situazione di accompagnamento alla natalità in Italia?

“In alcune regioni manca. Nel corso di una presentazione di questo documentario avvenuta alla presenza di tutte le responsabili dei centri nascita emiliani, ho fatto presente che bisogna darsi da fare affinché queste non restino esperienze legate solo al territorio emiliano, dove siamo più avvantaggiati da questo punto di vista. E da parte loro mi hanno fatto presente che stanno realizzando incontri e attivando dei protocolli per lavorare insieme alle altre regioni, assicurandomi che è stato avviato il processo, sul piano dei servizi, per l’accompagnamento della neo-genitorialità”.

Le neomamme che vivono queste problematiche sono quelle che vivono la gravidanza in giovane età?

“Non sono solo loro, anzi. Infatti racconto la storia di una ‘primipara attempata’ che ha avuto il primo figlio a 45 anni. L’ho inserita perché è un aspetto e un’esperienza significativa di questa nostra epoca. Anche un tempo le donne avevano un bimbo a 45 anni, ma la differenza sta nel fatto che per loro era il decimo figlio. Adesso invece è il primo figlio, cercato, voluto, che ha portato, insieme a tanta gioia, anche tanta ansia di non essere all’altezza, di non essere capaci di fare tutte quelle cose che fanno le altre mamme più giovani. Una storia che esprime molto bene l’intreccio tra la gioia infinita di essere diventata finalmente mamma e le paure connesse a questa nuova condizione”.

’I nove mesi dopo’, il documentario dà voce alla sofferenza che tante mamme vivono nei nove mesi del dopo parto, quando sembra che non ci siano motivi per provarla
’I nove mesi dopo’, il documentario dà voce alla sofferenza che tante mamme vivono nei nove mesi del dopo parto, quando sembra che non ci siano motivi per provarla

E nel caso di un figlio che nasce in una coppia composta da due donne?

“Parlo anche di questo nel mio documentario, dove riporto la testimonianza di una famiglia composta da due donne sposate. Un’esperienza significativa della società dei nostri giorni. Mi interessava vedere come due mamme vivevano e affrontavano la maternità. Essendo due donne che hanno potuto prendere un periodo di distacco dal lavoro, non solo la mamma biologica ma entrambe – per il fatto che la compagna aveva un impiego che le ha permesso di gestire liberamente gli orari – il fatto di essere sempre insieme e di fare tutto in due, ha reso non solo più facile ma anche più serena la loro esperienza di maternità. Di contro ci sono i permessi concessi ai padri, il congedo parentale. Se avessero anche loro un po’ più di tempo, se potessero stare un po’ più accanto alla loro compagna, questo sarebbe di grande aiuto per la donna”.

L’infelicità nelle neomamme fa rima con solitudine?

“La solitudine è molto negativa in quel periodo. Alla donna vengono pensieri strani. Tutte le donne che ho contattato, non solo coloro che racconto nel documentario, mi hanno confermato che si vive un cambiamento talmente profondo dovuto a un senso di smarrimento, a un certo disorientamento. Si tratta di un cambiamento che, in questi termini, non si è neppure stati in grado di immaginarlo prima. Lo capisci solo quando lo provi, quando lo sperimenti. Vedi il tuo compagno che continua a fare la sua vita, e anche se è affettuoso, anche se adesso i papà cambiano i pannolini, continuano a lavorare, a incontrare persone, ad avere una vita sociale. Loro escono mentre la mamma rimane lì, da sola. Oggi è cambiato tutto, non esiste più la famiglia allargata: un tempo ti stavano magari anche troppo addosso, ti davano anche troppi consigli, però c’erano. Ora invece le famiglie di origine spesso abitano lontano, dunque non ci sono. Tutte le donne che ho sentito mi hanno confermato di aver ricevuto varie visite, di colleghe, sorelle, ma non basta. Viene l’amica a trovarti, ti porta la tutina, fa due chiacchiere da salotto, ma neanche lei capisce che vorresti solo andare a farti una doccia”.

Da sinistra, Brenda Barnini, Mariagrazia Contini, Elisa Bertelli
‘Empoli città delle bambine e dei bambini’: da sinistra, Brenda Barnini, Mariagrazia Contini, Elisa Bertelli

Dove viene proiettato il docufilm?

“È stato acquistato anche dalla Rai, dunque sarà trasmesso sulle reti pubbliche, anche se non so ancora quando. Siamo stati selezionati in Emilia dalla commissione mista composta dalla Cineteca di Bologna, la Regione e gli esercenti dei cinema, per la rassegna che si chiama ‘Doc in tour’. In base a tale iniziativa sono stata in tanti luoghi dell’Emilia dove gli esercenti mi hanno invitata per la proiezione del documentario. Recentemente il Comune di Empoli, nell’ambito del programma ‘Empoli città delle bambine e dei bambini’, ha promosso un incontro in collaborazione con il Centro Bruno Ciari, aperto al pubblico con la proiezione del mio documentario. Sono impegnata nel presentarlo in tante regioni d’Italia, sono stata in Toscana appunto, a Roma. E tra le prossime tappe ci sono Napoli e Milano”.

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  • Aumentano, purtroppo, gli episodi di bullismo e cyberbullismo. 

I minori vittime di prepotenze nella vita reale, o che le abbiano subite qualche volta sono il 54%, contro il 44% del 2020. Un incremento significativo, di ben 10 punti, che deve spingerci a riflettere. 

Per quanto riguarda il cyber bullismo, il 31% dei minori ne è stato vittima almeno una volta, contro il 23% del 2020. Il fenomeno sembra interessare più i ragazzi delle ragazze sia nella vita reale (il 57% dei maschi è stato vittima di prepotenze, contro il 50% delle femmine) sia in quella virtuale (32% contro 29%). Nel 42% si tratta di offese verbali, ma sono frequenti anche violenze fisiche (26%) e psicologiche (26%).

Il 52% è pienamente consapevole dei reati che commette se intraprende un’azione di bullismo usando internet o lo smartphone, il 14% lo è abbastanza, ma questo non sembra un deterrente. Un 26%, invece, dichiara di non saperne nulla della gravità del reato. Intervistati, con risposte multiple, sui motivi che spingono ad avere comportamenti di prepotenza o di bullismo nei confronti degli altri, il 54% indica il body shaming. 

Mentre tra i motivi che spingono i bulli ad agire in questo modo, il 50% afferma che così dimostra di essere più forte degli altri, il 47% si diverte a mettere in ridicolo gli altri, per il 37% il bullo si comporta in questo modo perché gli piace che gli altri lo temano.

Ma come si comportano se assistono a episodi di bullismo? Alla domanda su come si comportano i compagni quando assistono a queste situazioni, solo il 34% risponde “aiutano la vittima”, un dato che nel 2020 era il 44%. 

Un calo drastico, che forse potrebbe essere spiegato con una minore empatia sociale dovuta al distanziamento sociale e al lockdown, che ha impedito ai minori di intessere relazioni profonde. Migliora, invece, la percentuale degli insegnanti che, rendendosi conto di quanto accaduto, intervengono prontamente (46% contro il 40% del 2020). Un 7%, però, dichiara che i docenti, sebbene si rendano conto di quanto succede, non fanno nulla per fermare le prepotenze.

I giovanissimi sono sempre più iperconessi, ma sono ancora in grado di legarsi?

#lucenews #giornatacontroilbullismo
  • “Non sono giorni facilissimi, il dolore va e viene: è molto difficile non pensare a qualcosa che ti fa male”. Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, una delle influencer più amate del web si mette ancora una volta a nudo raccontando le sue insicurezze e fragilità. In un post su Instagram parla della tricodinia. 

“Se fosse tutto ok, per questa tricodinia rimarrebbe solo lo stress come unica causa e allora dovrò modificare qualcosa nella mia vita. Forse il mio corpo mi sta parlando e devo dargli ascolto."

La tricodinia è una sensazione dolorosa al cuoio capelluto, accompagnata da un bruciore o prurito profondo che, in termini medici, si chiama disestesia. Può essere transitoria o diventare cronica, a volte perfino un gesto quotidiano come pettinarsi o toccarsi i capelli può diventare molto doloroso. Molte persone – due pazienti su tre sono donne – lamentano formicolii avvertiti alla radice, tra i follicoli e il cuoio capelluto. Tra le complicazioni, la tricodinia può portare al diradamento e perfino alla caduta dei capelli. 

#lucenews #lucelanazione #camihawke #tricodinia
  • Dai record alle prime volte all’attualità, la 65esima edizione dei Grammy Awards non delude quanto a sorprese. 

Domenica 5 febbraio, in una serata sfavillante a Los Angeles, la cerimonia dell’Oscare della musica della Recording Academy ha fatto entusiasmare sia per i big presenti sia per i riconoscimenti assegnati. 

Intanto ad essere simbolicamente premiate sono state le donne e i manifestanti contro la dittatura della Repubblica Islamica: “Baraye“, l’inno delle proteste in Iran, ha vinto infatti il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo dal palco è stata nientemeno che  la first lady americana Jill Biden.

L’autore, il 25enne Shervin Hajipour, era praticamente sconosciuto quando è stato eliminato dalla versione iraniana di American Idol, ma la sua canzone è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran evocando sentimenti di dolore, rabbia, speranza e desiderio di cambiamento. Hajipour vive nel Paese in rivolta ed è stato arrestato dopo che proprio questo brano, a settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

#lucenews #grammyawards2023 #shervinhajipour #iran
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Che vuole scardinare il pregiudizio sociale secondo cui: “Se sei diventata mamma, allora devi essere felice per forza”. Perfino Kate Middleton in occasione della festa della mamma pubblicò su Instagram un video per denunciare il fatto che molte neo-mamme “soffrono di ansia e depressione in silenzio". E per questo vanno aiutate. Mariagrazia Contini, possiamo dire che questo suo docufilm abbatte un tabù? “Nei miei lavori cerco sempre di andare contro gli stereotipi, talmente radicati in noi che ci condizionano senza che ce ne rendiamo conto. In questo caso lo stereotipo nasce da lontano: la donna si realizza sposandosi; la donna sposata di realizza diventando madre; la donna diventata madre deve dunque essere per forza felice. Occorre invece distinguere, perché ogni soggetto ha le proprie caratteristiche, le condizioni sono diverse e cambiano da mamma a mamma. Quello che mi preme dire è che sono contro lo stereotipo della prescrizione sociale della felicità obbligata. È chiaro che ci sono delle mamme che sono molto felici, ma non devono sentirsi obbligate a esserlo”. Da cosa nasce l’idea di questo documentario? “Sono stata professoressa universitaria per quarant’anni, poi, quando sono andata in pensione, siccome amo più l’inizio che la fine delle cose, ho iniziato questo nuovo percorso, che è quello dei docufilm, e ‘I nove mesi dopo’ è il terzo. È un’attività che mi appassiona moltissimo perché mi consente di proseguire nella ricerca con connotati etico-sociali che ho sempre fatto, con un codice espressivo diverso rispetto ai libri. Questo documentario nasce come denuncia della prescrizione sociale della felicità obbligata per le neomamme. Voglio però spiegare bene: non è che io pensi che le neomamme siano infelici, come qualcuno ha travisato. Io dico che diventare mamma è un’esperienza importante, significativa e complessa, e come tutte le esperienze significative e complesse ha molte sfaccettature, dunque luci e zone d’ombra”. Quante testimonianze e storie di questo tipo ha raccolto? “Ho incontrato tante neomamme che accanto alla gioia di avere un bambino, proprio perché nella loro vita da un momento all’altro cambiano molti aspetti, si ritrovano a provare dei sentimenti di inadeguatezza, di paura, anche di disorientamento rispetto a se stesse, rispetto al rapporto col partner, più in generale rispetto al proprio posto nel mondo. Le neomamme sanno bene che c’è un’aspettativa di felicità, dunque, se sono un po’ tristi, questo è concesso loro per il breve tempo di due settimane (il baby blues). Se invece vanno oltre, vengono a quel punto consegnate alla medicina, perchè in quel caso di parla di depressione post-partum. Questo lo trovo molto ingiusto, nel senso che porta molte neomamme a vergognarsi dei loro sentimenti di fragilità, a non esprimerli, a nasconderli, quindi a soffrire maggiormente. Col mio documentario ho pensato di fornire un contributo affinché tutte le donne possano sentirsi libere di esprimere la loro felicità intrecciata alla loro paura, le loro emozioni positive intrecciate a quelle più problematiche”.
La pedagogista Mariagrazia Contini
La pedagogista Mariagrazia Contini: "C’è un copione per le neo-mamme che devono essere solo felici, invece c’è un intreccio di emozioni"
Le neomamme che vivono una condizione d’infelicità, a chi possono rivolgersi? “È questo il problema. Si parla tanto di famiglia, spesso anche con molta retorica. Ritengo invece che dare alla famiglia la giusta importanza, significa attivare su tutto il territorio delle politiche sociali e di accompagnamento. In Emilia abbiamo la fortuna di avere capillarmente, su tutta la regione, centri-nascita, centri-famiglia e centri di accompagnamento alla natalità. Portando in giro il documentario ho incontrato molte mamme che mi dicevano quanto fosse stato importante per loro ricevere il sostegno di persone competenti con cui confrontarsi. In altre situazioni invece ho trovato molta solitudine. E quando c’è solitudine, e non c’è non c’è nessuno con cui potersi confrontare, è chiaro che la problematicità si accentua”. Quali storie, tra le tante, ha scelto di raccontare nel docufilm? “Ho scelto mamme diverse tra loro e non a caso. Ho deciso di fare quest’operazione per mostrare che le condizioni delle neomamme dipendono da molti fattori. Alcuni hanno a che fare con la propria storia personale, altri con le differenti caratteristiche di personalità, altri ancora col rapporto di coppia e col rapporto con la famiglia. Altri fattori hanno poi a che fare con le condizioni economiche: ad esempio tra le storie riporto quella di una mamma che ha attraversato il disagio della precarietà. Lei e il suo compagno avevano perso il lavoro, la casa e sono finiti per strada. È chiaro che quando le condizioni della materialità sono così dure, così difficili, come si fa a dire “è bello essere mamma”? Se così deve essere, allora diamoci da fare perché ci sia un accompagnamento, un aiuto”. Qual è la situazione di accompagnamento alla natalità in Italia? “In alcune regioni manca. Nel corso di una presentazione di questo documentario avvenuta alla presenza di tutte le responsabili dei centri nascita emiliani, ho fatto presente che bisogna darsi da fare affinché queste non restino esperienze legate solo al territorio emiliano, dove siamo più avvantaggiati da questo punto di vista. E da parte loro mi hanno fatto presente che stanno realizzando incontri e attivando dei protocolli per lavorare insieme alle altre regioni, assicurandomi che è stato avviato il processo, sul piano dei servizi, per l’accompagnamento della neo-genitorialità”. Le neomamme che vivono queste problematiche sono quelle che vivono la gravidanza in giovane età? “Non sono solo loro, anzi. Infatti racconto la storia di una ‘primipara attempata’ che ha avuto il primo figlio a 45 anni. L’ho inserita perché è un aspetto e un’esperienza significativa di questa nostra epoca. Anche un tempo le donne avevano un bimbo a 45 anni, ma la differenza sta nel fatto che per loro era il decimo figlio. Adesso invece è il primo figlio, cercato, voluto, che ha portato, insieme a tanta gioia, anche tanta ansia di non essere all’altezza, di non essere capaci di fare tutte quelle cose che fanno le altre mamme più giovani. Una storia che esprime molto bene l’intreccio tra la gioia infinita di essere diventata finalmente mamma e le paure connesse a questa nuova condizione”.
’I nove mesi dopo’, il documentario dà voce alla sofferenza che tante mamme vivono nei nove mesi del dopo parto, quando sembra che non ci siano motivi per provarla
’I nove mesi dopo’, il documentario dà voce alla sofferenza che tante mamme vivono nei nove mesi del dopo parto, quando sembra che non ci siano motivi per provarla
E nel caso di un figlio che nasce in una coppia composta da due donne? “Parlo anche di questo nel mio documentario, dove riporto la testimonianza di una famiglia composta da due donne sposate. Un’esperienza significativa della società dei nostri giorni. Mi interessava vedere come due mamme vivevano e affrontavano la maternità. Essendo due donne che hanno potuto prendere un periodo di distacco dal lavoro, non solo la mamma biologica ma entrambe – per il fatto che la compagna aveva un impiego che le ha permesso di gestire liberamente gli orari - il fatto di essere sempre insieme e di fare tutto in due, ha reso non solo più facile ma anche più serena la loro esperienza di maternità. Di contro ci sono i permessi concessi ai padri, il congedo parentale. Se avessero anche loro un po’ più di tempo, se potessero stare un po’ più accanto alla loro compagna, questo sarebbe di grande aiuto per la donna”. L’infelicità nelle neomamme fa rima con solitudine? “La solitudine è molto negativa in quel periodo. Alla donna vengono pensieri strani. Tutte le donne che ho contattato, non solo coloro che racconto nel documentario, mi hanno confermato che si vive un cambiamento talmente profondo dovuto a un senso di smarrimento, a un certo disorientamento. Si tratta di un cambiamento che, in questi termini, non si è neppure stati in grado di immaginarlo prima. Lo capisci solo quando lo provi, quando lo sperimenti. Vedi il tuo compagno che continua a fare la sua vita, e anche se è affettuoso, anche se adesso i papà cambiano i pannolini, continuano a lavorare, a incontrare persone, ad avere una vita sociale. Loro escono mentre la mamma rimane lì, da sola. Oggi è cambiato tutto, non esiste più la famiglia allargata: un tempo ti stavano magari anche troppo addosso, ti davano anche troppi consigli, però c’erano. Ora invece le famiglie di origine spesso abitano lontano, dunque non ci sono. Tutte le donne che ho sentito mi hanno confermato di aver ricevuto varie visite, di colleghe, sorelle, ma non basta. Viene l’amica a trovarti, ti porta la tutina, fa due chiacchiere da salotto, ma neanche lei capisce che vorresti solo andare a farti una doccia”.
Da sinistra, Brenda Barnini, Mariagrazia Contini, Elisa Bertelli
‘Empoli città delle bambine e dei bambini’: da sinistra, Brenda Barnini, Mariagrazia Contini, Elisa Bertelli
Dove viene proiettato il docufilm? “È stato acquistato anche dalla Rai, dunque sarà trasmesso sulle reti pubbliche, anche se non so ancora quando. Siamo stati selezionati in Emilia dalla commissione mista composta dalla Cineteca di Bologna, la Regione e gli esercenti dei cinema, per la rassegna che si chiama ‘Doc in tour’. In base a tale iniziativa sono stata in tanti luoghi dell’Emilia dove gli esercenti mi hanno invitata per la proiezione del documentario. Recentemente il Comune di Empoli, nell’ambito del programma ‘Empoli città delle bambine e dei bambini’, ha promosso un incontro in collaborazione con il Centro Bruno Ciari, aperto al pubblico con la proiezione del mio documentario. Sono impegnata nel presentarlo in tante regioni d’Italia, sono stata in Toscana appunto, a Roma. E tra le prossime tappe ci sono Napoli e Milano”.
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