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Michela Murgia, la malattia e le nozze: "Il cancro è una cosa che sono"

La scrittrice ha un tumore al quarto stadio, con metastasi "nei polmoni, nelle ossa, al cervello". Nei mesi che le restano da vivere ha deciso di sposarsi "perché lo Stato chiede un ruolo"

di MARIANNA GRAZI -
6 maggio 2023
Ostia Antica, Festival del canto libero (in foto: Michela Mu

Ostia Antica, Festival del canto libero (in foto: Michela Mu

"Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono". Cara Michela Murgia, questa proprio non ce l'aspettavamo. Ci hai spiazzati tutti. Non con uno scritto, per un tuo intervento puntuale e pungente nel dibattito pubblico, ma per una rivelazione che lascia senza fiato: il tumore e i pochi mesi di vita che ti restano da vivere. Per chi, come me, è cresciuta leggendo i tuoi libri, da "Accabadora" (2009) a "Stai Zitta" (2021), si è impersonata o ha ammirato, invidiato quelle figure femminili, in quelle donne che hai raccontato con voce appassionata in "Morgana", questa è l'ultima notizia che volevamo sentire. Ma non è ancora tempo di piangerti, non è ancora tempo di ricordarti. Questi mesi che restano sappiamo, so - da ragazza che ammira un suo modello ispiratore - che li passerai facendo semplicemente quello che hai sempre fatto, essendo genuinamente la donna che sei sempre stata: femminista, antifascista, profondamente attaccata alla tua terra d'origine, la Sardegna.

Il cancro al quarto stadio

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La scrittrice di origine sarda ha un carcinoma renale al quarto stadio con metastasi nei polmoni, nelle ossa, al cervello

Michela Murgia ha un carcinoma renale al quarto stadio, per la precisione, come il personaggio principale del nuovo libro, "Tre ciotole" (Mondadori), in uscita il prossimo 16 maggio. "Dal quarto stadio non si torna indietro", spiega la scrittrice nata a Cabras (Oristano) nel 1972, in una lunga ed emozionante intervista ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Un male incurabile contro cui, però, non "lotta". Non vuole riferirsi al tumore con termini bellici, no alla "guerra", alla "battaglia", alla "trincea". "Il cancro è una malattia molto gentile - dice ancora la scrittrice - Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno". Non "combattere" non significa non curarsi: la 50enne si sta sottoponendo a una "immunoterapia a base di biofarmaci" per rallentare la malattia e "guadagnare tempo. Mesi, forse molti". Operarsi, infatti, non avrebbe senso: "Le metastasi sono già nei polmoni, nelle ossa, al cervello".

Il tumore "è uno dei prezzi che puoi pagare non un alieno"

"Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere - prosegue, serena, nel racconto della malattia -. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l'alieno (termine usato in passato da Oriana Fallaci)" perché "definirlo così sarebbe come sentirsi posseduta da un demone. E allora non servirebbe una cura, ma un esorcismo".

Murgia non vuole utilizzare un lessico bellico per parlare della malattia e definisce il cancro "una malattia gentile"

Perché Murgia, invece, conosce bene quello con cui ha a che fare, la sua concretezza, la realtà. Ci è già passata nel 2014, quando era candidata alla presidenza della Sardegna, e le venne diagnosticato un tumore al polmone. "Era a uno stadio precocissimo, lo riconoscemmo subito" ma, essendo in campagna elettorale, "dovetti nascondere il male", precisa. Oggi purtroppo la situazione è ben diversa e non c'è più una via d'uscita. Quindi, "meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente. La guerra vera è quella in Ucraina. Non posso avere Putin e Zelensky dentro di me. Non avrei mai trovato le energie per scrivere questo libro in tre mesi".

Il rapporto con la morte

Michela Murgia in un post su Instagram scrive: "Grazie per i vostri messaggi. Non ce la faccio a rispondere a tuttə, ma tutto ho letto e ricorderò. Grazie davvero. 💜"

Alla domanda, coraggiosa, di Cazzullo "La morte non le pare un’ingiustizia?" Murgia risponde altrettanto impavidamente: "No. Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi". E quindi non ha paura di morire? Nemmeno quella, "No. Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio" dichiara. Non ha mai nascosto, né lo fa ora, la sua 'antipatia' per la premier, ma soprattutto la sua posizione di assoluto antifascismo. La stessa presidente che replica sui social: "Spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo. Forza Michela!".

I "figli dell'anima", la "queer family" e il matrimonio

Per il tempo che le resta, Murgia spiega che ha già progetti ben chiari. Ha pianificato, organizzato, studiato tutto. Come fa una mamma per i suoi bambini e lei  afferma in effetti di averne, "sono figli d'anima. Il più grande ha 35 anni, il più piccolo venti". "È insensato dire che di madre ce n'è una sola, la maternità ha tante forme", aggiunge, in un'altra chiara frecciata al governo Meloni e alle politiche repressive nei confronti delle famiglie arcobaleno. Un po' come la sua. Quegli affetti che vuole preparare a quello che accadrà: "Il dolore non si può cancellare; il trauma sì. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito". In questo cammino, infatti, la scrittrice non è sola: Ho dieci persone. La mia queer family". Ovvero un "nucleo familiare atipico in cui le relazioni contano più dei ruoli".
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Michela Murgia nell'ultimo libro dichiara di odiare i bambini, ma ha quattro "figli dell'anima"

Proprio per queste persone "Ho comprato casa con dieci posti letto dove stare tutti insieme - racconta ancora -. Ho fatto tutto quello che volevo. E ora mi sposo". Michela Murgia si unirà in matrimonio con "un uomo, ma poteva essere una donna", ci tiene a specificare. Era già stata sposata in passato, con Manuel Persico, per quattro anni. Quindi comprende la necessità - ancora oggi, in Italia - di dare un riconoscimento ufficiale a quel rapporto che la lega al suo compagno attuale. "Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me", precisa. "Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato". Una dichiarazioni d'intenti che fa apparire chiara la sua posizione sul fine vita e sulla possibilità, se e quando sarà necessario, di dire basta. Per mettere fine a un viaggio che, in realtà, spera finisca tra le acque dell'oceano, dove vorrebbe venissero sparse le sue ceneri, a Busan, in Corea. Paese che avrebbe voluto visitare, di cui sta studiando la lingua. Perché "nel coreano cerco parole che nessuno ha mai usato contro di me e che io non ho mai usato contro nessuno". Ci mancheranno, le parole di Michela Murgia. A noi donne, alle giovani ragazze che non le potranno più ascoltare direttamente, ma si affideranno a quelle scritte nei tuoi libri. Alle bambine, che forse, sentendole pronunciare da altri, potranno essere ispirate a lottare - loro sì - per i propri diritti e per il loro futuro, per essere libere.