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Home » Attualità » Migranti al confine Bielorussia-Polonia, la lettera delle scrittrici a Bruxelles: “Riconoscete loro il diritto d’asilo”

Migranti al confine Bielorussia-Polonia, la lettera delle scrittrici a Bruxelles: “Riconoscete loro il diritto d’asilo”

Mentre i premier Morawiecki e Lukashensko trattatano la crisi umanitaria dei 2mila migranti intrappolati tra il filo spinato e la violenza come una mera operazione militare, le quattro scrittrici premi nobel si rivolgono all'Unione Europea: "Mancano cibo, assistenza medica: queste persone muoiono senza poter essere salvate. Non possiamo ignorarle"

Sofia Francioni
11 Novembre 2021
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“Nessun aiuto medico è concesso ai malati e a chi muore e la stampa non può entrare”. Al confine tra Polonia e Bielorussia, vicino alla città di Kuznica a meno di tre ore in auto dalla città europea di Varsavia, ci sono almeno 2mila migranti intrappolati. Sotto qualche tenda, dove l’aria è già sottozero, si ritrovano schiacciati tra due realtà: non possono tornare indietro e non possono andare avanti. Da parte dei due stati che li tengono ostaggio, però, la loro tragedia viene vissuta come una mera operazione militare. Il premier polacco Mateusz Morawiecki parla dei migranti come un “nuovo tipo di offensiva”, trattandoli come armi, tanto che il portavoce della commissione di Bruxelles denuncia nei suoi confronti “metodi da gangaster”, da “guerra ibrida”. Mentre in Bielorussia Lukashensko non si distanzia: “Non voglio lo scontro armato ma non mi piegherò”.

Su questa tragedia quattro scrittici scrivono una lettera indirizzata a Bruxelles, rivolgendosi in particolare al presidente del consiglio europe Charles Michel, del parlamento europeo David Sassoli e a tutti i parlamentari europei. La bielorussa Svetlana Aleksievich, l’austriaca Elfriede Jelinek, la tedesca Herta Müller e la polacca Olga Tokarczuk partono “da quello che sappiamo”. Nonostante “le informazione incomplete e frammentarie che stanno arrivando […] sappiamo che tra Bielorussia e Polonia le persone sono sottoposte a una spietata procedura di respingimento, condannandole all’ipotermia, alla fame e alla morte nelle foreste e nelle paludi”. Guardando al ventesimo secolo “sappiamo che esistono verità scomode e noiose […]. Siamo stati ciechi, sordi e muti” ma oggi “la storia si ripete e dobbiamo prenderne atto”. Le scrittrici premettono di rendersi conto che non sia facile, ma dicono anche che se l’Unione europea è la rete di solidarietà interpersonale che dichiara di essere, non può permettere che su quei confini avvengano cose che “non sono in linea con i nostri valori europei fondamentali”. Pertanto chiedono di trovare una soluzione più rapida ed efficace possibile, partendo prima di tutto dal rispetto delle regole di Ginevra e dall’avvio di una procedura di asilo per tutti coloro che ne fanno richiesta e che “sono detenuti nella parte del confine orientale dell’Unione Europea”. Le richieste delle quattro premio nobel, oltre a tamponare l’emergenza umanitaria, vogliono interromperne anche la catena: “Chiediamo un’iniziativa diplomatica di ampio respiro all’interno dei paesi del Medio Oriente volta a contrastare la falsa narrativa del regime bielorusso, il cui scopo è quello di attirare il maggior numero possibile di rifugiati disperati al confine tra Polonia e Bielorussia, esacerbando e destabilizzando così la situazione politica in Polonia e in tutta l’Unione europea”, scrivono, ribadendo infine la necessità di dare accesso a stampa e media perché monitorino il confine. “Conoscere i fatti ci rende consapevoli”. Ma, concludono “alla conoscenza deve seguire l’azione“.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
"Nessun aiuto medico è concesso ai malati e a chi muore e la stampa non può entrare". Al confine tra Polonia e Bielorussia, vicino alla città di Kuznica a meno di tre ore in auto dalla città europea di Varsavia, ci sono almeno 2mila migranti intrappolati. Sotto qualche tenda, dove l’aria è già sottozero, si ritrovano schiacciati tra due realtà: non possono tornare indietro e non possono andare avanti. Da parte dei due stati che li tengono ostaggio, però, la loro tragedia viene vissuta come una mera operazione militare. Il premier polacco Mateusz Morawiecki parla dei migranti come un “nuovo tipo di offensiva”, trattandoli come armi, tanto che il portavoce della commissione di Bruxelles denuncia nei suoi confronti "metodi da gangaster", da "guerra ibrida". Mentre in Bielorussia Lukashensko non si distanzia: "Non voglio lo scontro armato ma non mi piegherò". Su questa tragedia quattro scrittici scrivono una lettera indirizzata a Bruxelles, rivolgendosi in particolare al presidente del consiglio europe Charles Michel, del parlamento europeo David Sassoli e a tutti i parlamentari europei. La bielorussa Svetlana Aleksievich, l’austriaca Elfriede Jelinek, la tedesca Herta Müller e la polacca Olga Tokarczuk partono "da quello che sappiamo". Nonostante "le informazione incomplete e frammentarie che stanno arrivando […] sappiamo che tra Bielorussia e Polonia le persone sono sottoposte a una spietata procedura di respingimento, condannandole all'ipotermia, alla fame e alla morte nelle foreste e nelle paludi”. Guardando al ventesimo secolo "sappiamo che esistono verità scomode e noiose [...]. Siamo stati ciechi, sordi e muti" ma oggi "la storia si ripete e dobbiamo prenderne atto". Le scrittrici premettono di rendersi conto che non sia facile, ma dicono anche che se l’Unione europea è la rete di solidarietà interpersonale che dichiara di essere, non può permettere che su quei confini avvengano cose che "non sono in linea con i nostri valori europei fondamentali". Pertanto chiedono di trovare una soluzione più rapida ed efficace possibile, partendo prima di tutto dal rispetto delle regole di Ginevra e dall’avvio di una procedura di asilo per tutti coloro che ne fanno richiesta e che "sono detenuti nella parte del confine orientale dell’Unione Europea". Le richieste delle quattro premio nobel, oltre a tamponare l’emergenza umanitaria, vogliono interromperne anche la catena: "Chiediamo un'iniziativa diplomatica di ampio respiro all'interno dei paesi del Medio Oriente volta a contrastare la falsa narrativa del regime bielorusso, il cui scopo è quello di attirare il maggior numero possibile di rifugiati disperati al confine tra Polonia e Bielorussia, esacerbando e destabilizzando così la situazione politica in Polonia e in tutta l'Unione europea", scrivono, ribadendo infine la necessità di dare accesso a stampa e media perché monitorino il confine. "Conoscere i fatti ci rende consapevoli". Ma, concludono "alla conoscenza deve seguire l’azione".
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