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Qatar, un calcio ai diritti umani. La denuncia: "E' il Mondiale dello sfruttamento"

Il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury: "Morti migliaia di lavoratori sfruttati durante la fase di preparazione al grande evento"

di DOMENICO GUARINO -
18 settembre 2022
Il tabellone dei Mondiali di calcio in Qatar: dietro il pallone l'assenza (o quasi) di diritti

Il tabellone dei Mondiali di calcio in Qatar: dietro il pallone l'assenza (o quasi) di diritti

Quante vite umane sono state sacrificate sull’altare dei Mondiali di calcio? E a quali limiti estremi è arrivato lo sfruttamento del lavoro migrante? Sono queste le domande da cui muove l’inchiesta “Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento” condotta da Riccardo Noury, scrittore, giornalista e portavoce di Amnesty International Italia. In sole 84 pagine il libro offre uno spaccato drammatico sulle condizioni di lavoro e sulla morte di migliaia di persone durante la fase di preparazione al grande evento, da quando cioè la Fifa ha deciso di affidare al Paese Arabo l'organizzazione dei Mondiali di calcio 2022. Secondo i dati pubblicati dall’Autorità per la pianificazione e le statistiche, dal 2010 al 2019 sono morti 15.021 lavoratori stranieri di ogni età e occupazione. Di questi, 9.405 (il 63 per cento) erano di origine asiatica, in gran parte (l’87 per cento) uomini. “Ma il numero reale non  lo sapremo mai” dice Noury, in quanto “erano persone che non avevano tantissimi legami sociali in Qatar, dove vige il divieto di costituirsi in sindacati. E con una rete di legami molto labile è difficile recuperare un’anagrafe completa di chi è rimasto ucciso in questi anni”. Stando a quanto ha ricostruito recentemente il quotidiano "The Guardian" siamo comunque di fronte a circa 6.500 vittime accertate, causate dalle condizioni di sfruttamento estremo e  dai colpi di caldo. Per il Qatar la massima parte di loro sarebbe deceduta per problemi “cardio-circolatori, quindi una causa naturale per cui non si è ritenuto di dover effettuare nessun approfondimento, e non è stato stanziato alcun risarcimento.
Il logo del Campionato mondiale di calcio 2022 in Qatar

Il logo del Campionato mondiale di calcio 2022 in Qatar

"Il problema - dice Noury - è che in realtà i mondiali i Calcio del 2022 sono figli di una logica prettamente economica, ancor più che le altre edizioni di una kermesse globale che muove enormi interessi e dunque enormi capitali. Peccato che a fronte della prospettiva di enormi guadagni, la questione dei diritti umani, notoriamente precaria in Qatar, sia stata totalmente sottaciuta". Una responsabilità che, secondo il portavoce di Amnesty International, “chiama direttamente in causa la Fifa, visto che è lei ad avergli assegnato i mondiali. Quello che accade dopo è anche una sua ben precisa responsabilità”. Ma chiama direttamente in causa anche la stampa internazionale che, per non urtare la sensibilità dei tifosi, e per veicolare un’immagine positiva del Paese ospitante e dell’evento, hanno preferito girarsi in gran parte dell’altra parte, ignorando o banalizzando i problemi.
L'ex calciatore del Bayern Monaco, Philipp Lahm

L'ex calciatore del Bayern Monaco, Philipp Lahm

“Si vuole costruire l’immagine della 'prima volta' in un paese del mondo arabo, un’idea affascinante, orientalista. Ma non ci troviamo di fronte a un’intenzione genuina, questi mondiali non si giocano in Qatar per dimostrare che anche i Paesi Arabi sono in grado di poterli organizzare” prosegue Noury. E aggiunge: "In realtà si tratta soltanto di un’operazione di sport washing, dove la polvere viene messa sotto al tappeto”. Ora però tutti gli attori dei media e della politica sportiva hanno una grande opportunità. “Quella - dice ancora Noury - di raccontare il Paese attraverso gli inviati sul posto, cogliere l’occasione per parlare di diritti umani, non solo legati allo sfruttamento del lavoro, con un occhio attento a quello che può succedere in quel mese e mezzo rispetto al diritto di protesta, alle manifestazioni pubbliche da parte di minoranze quotidianamente e da troppo tempo discriminate”. Comprese le 32 Nazionali di calcio che parteciperanno alla competizione - dal 20 novembre al 18 dicembre -, le cui prese di posizione sono state assolutamente nulle. Tranne rarissime eccezioni, come quella dell’ex capitano del Bayern Monaco e della Germania campione del mondo nel 2014 Philipp Lahm, che ha deciso di non far parte della delegazione tedesca in Qatar motivando così la sua scelta: “I diritti umani devono avere un ruolo maggiore nell’assegnazione delle manifestazioni. Non dovrebbe succedere di nuovo in futuro. I diritti umani, le dimensioni del Paese: tutto questo, a quanto pare, non è stato preso in considerazione. E i giocatori non possono far finta di non saperlo”.