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Donne ad arte, Monica Preti: "Non ho mai patito il mio esser donna in questo mondo"

Direttrice scientifica di Pistoia Musei, vanta una lunga esperienza al Louvre: "Avessi proseguito la mia carriera in Francia probabilmente sarebbe accaduto"

di LINDA MEONI -
4 dicembre 2022
La direttrice scientifica di Pistoia Musei, Monica Preti. Foto di Rachele Salvioli

La direttrice scientifica di Pistoia Musei, Monica Preti. Foto di Rachele Salvioli

Opportunità, curiosità e, anche se non è lei a riconoscerselo per evidente umiltà, una buona dose di capacità e tenacia, quella che ancora oggi serve quando si è donne e, in mezzo a tanti uomini, si ha voglia di scalare la montagna. Monica Preti è una delle "signore dell’arte" che hanno conquistato la leadership, forte di un’esperienza maturata nel tempio dei circuiti museali, il Louvre, dove dal 2006 al 2021 è stata responsabile della programmazione culturale dell’Auditorium. Quindici anni che senza dubbio l’hanno fortificata, finiti i quali si è come chiuso un cerchio ed è nata l’esigenza di cambiare, tornare a casa. Il suo "anno zero" in Italia, a Pistoia, è il 2021, quando in seguito a una selezione tra diverse candidature è stata scelta quale direttrice scientifica di Pistoia Musei, ente strumentale della Fondazione Caript, nel cui circuito rientrano le sedi espositive di Palazzo de’ Rossi, Palazzo Buontalenti, Antico Palazzo dei Vescovi e, da quest’anno, anche il Museo di San Salvatore. Una sfida nuova e decisamente tutta da scrivere se si pensa alla giovane età dell’ente museale (nato appena nel 2019, sotto la direzione di un big qual è Philip Rylands) alla quale Preti sta regalando un entusiasmo contagioso, oltre che un’impronta di grande vivacità. Vale la pena ricordare che da qui in poco più di due anni sono passati Sebastião Salgado, Aurelio Amendola, Michelangelo Pistoletto, che sono nate collaborazioni prestigiose che hanno consentito di portare l’Arazzo Millefiori al Palais des Beaux-Arts di Parigi in una mostra eccezionale dedicata al mondo vegetale nella natura e nell’arte presentata dalla storica Maison Chaumet, istituzione della gioielleria di lusso nel mondo, di dialogare con realtà culturali di assoluto prestigio quali la Fondazione Prada di Milano o la Fondazione Fausto Melotti.

Monica, dal 2006 al 2021, è stata responsabile della programmazione culturale dell’Auditorium al Louvre. Foto di Nicolò Begliomini

Com’è la donna Monica Preti prima ancora della direttrice? "Se mi volto indietro posso dire che la mia vita è stata condotta dalle opportunità e dalla mia curiosità. Le prime perché motivi familiari mi hanno permesso di viaggiare molto. Le mie stesse radici sono alquanto incerte: sono nata a Milano, dove ho vissuto fino all’età di cinque anni, poi il trasferimento a Verona, a Colognola ai Colli. Qui ho trascorso buona parte della mia infanzia e adolescenza. Per una serie di strane coincidenze una famiglia di ebrei emigrati in America ci concesse di abitare in quella che era la loro abitazione, Villa Fano, una dimora sette-ottocentesca di straordinaria bellezza. Forse la mia sensibilità all’arte nacque proprio lì. Tanto più che io frequentavo il liceo scientifico". Quando è arrivata a Firenze? "Nell’imminenza dell’iscrizione all’università. Frequentai la facoltà di lettere e filosofia, inizialmente incuriosita dall’archeologia, poi la storia dell’arte è diventata il mio indirizzo. Qui ho trovato grandi maestri quali Enrico Paribeni, colonna dell’archeologia, Mina Gregori, Carlo Del Bravo. Qui si è sviluppato forte in me il desiderio di conciliare e allargare gli orizzonti della storia dell’arte ad altri metodi. È nata così la mia tesi di laurea sul pittore napoletano preromantico Salvator Rosa e sulla sua fortuna in Inghilterra, che poi mi ha condotta a Londra, al Courtauld Institute, dov’è iniziata la mia carriera. Con un occhio attento a quel che succedeva fuori dall’Italia. Poi l’esperienza universitaria nel Michigan come lettrice di italiano che mi ha formata tantissimo e, oggi mi dico, ha disegnato la mia carriera. Infine lo European University Institute di Firenze, dove mi sono orientata sul tema del collezionismo. Lì ho incontrato quello che sarebbe diventato mio marito. Non sono un caso di fuga di cervelli: lui è francese, io non ho fatto altro che seguirlo. La vita mi ha poi offerto altre prospettive personali e professionali". Lei viene da un’istituzione culturale che è tra le maggiori al mondo, il Louvre. Ha avuto carta bianca in tema decisionale? "Mi piace ricordare che prima del Louvre è venuto l’Institut national d’histoire de l’art (Inha), centro di ricerca allora nascente, ma certamente una delle colonne del settore, in una città di grandi stimoli qual è Parigi. Carta bianca all’auditorium del Louvre? Difficile che ciò accada in grandi istituzioni come quella rette da un sistema estremamente strutturato in diverse direzioni. Essere personalmente creativi non è semplice quando si ha a che fare con otto diversi dipartimenti. Dunque un limite in questo senso, ma al contempo una ricchezza straordinaria per la varietà e qualità di collaborazioni interne realizzabili". Essere donna ha mai costituito un problema nel suo settore? "Personalmente non ho mai patito il mio esser donna in questo lavoro. Avessi proseguito la mia carriera in Francia probabilmente sarebbe accaduto. Ma non posso non constatare che poco dopo la mia partenza dal Louvre è stata nominata la prima direttrice donna, Laurence des Cars. Di lei già prima, ai tempi dell’Orsay, avevo grande stima. La stampa francese nei giorni della nomina pose l’accento su questa novità, a sottolineare quanto insolito fosse. Sono felice del suo arrivo, ma non si può non ammettere che ci siano voluti troppi anni prima che una donna potesse insediarsi".

"Posso solo dire che occorre avere qualità e talenti superiori o comunque più alti della media per potersi affermare in quanto dirigente rispetto a un uomo", così la direttrice sulla parità di ruolo. Foto di Rachele Salvioli

Anche le stesse donne nutrono diffidenza nei confronti delle donne al comando? "Effettivamente ho riscontrato una forte forma di competizione, ancora in Francia, dove ho avuto antagonismi principalmente da donne anziché da uomini". E gli uomini? Come si rapportano a una donna, a parità di ruolo? "Posso solo dire che occorre avere qualità e talenti superiori o comunque più alti della media per potersi affermare in quanto dirigente rispetto a un uomo. Una donna riesce ma con più fatica, mentre un uomo di qualsiasi levatura al momento in cui raggiunge un posto apicale ogni merito gli è riconosciuto. Una donna deve chiaramente provare con più tenacia". Il suo incarico a Pistoia è triennale: cosa vede nel futuro di Pistoia Musei, cosa nel suo di futuro? "Per l’ente vedo un cammino ancora da fare che spero di condurre ancora un po’. Come obiettivo mi sono data il 2025 per riuscire ad aprire il museo dell’Antico Palazzo dei Vescovi e portare a compimento questo progetto di identità museale. Punto a un’affermazione del polo sia a livello nazionale sia internazionale. Le potenzialità ci sono. Oggi il mondo dei musei sta cambiando, ciò che conta è la validità delle proposte da portare anche grazie alle nuove tecnologie e alle nuove forme di fare cultura. Con me o senza di me questo è lo slancio che propongo a Pistoia Musei, assieme al ritrovamento di un radicamento e una consapevolezza maggiore nel territorio di questa realtà museale. Serve una educazione delle comunità e questo credo sia un lavoro che spetta a me costruire".