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Home » Attualità » “Mosaico Ucraina”, il viaggio di Olesja Jaremčuk dentro la storia delle minoranze

“Mosaico Ucraina”, il viaggio di Olesja Jaremčuk dentro la storia delle minoranze

La giornalista nel suo reportage: "La Russia di Putin è una minaccia all'integrità della cultura e dell'identità dei popoli"

Ilaria Vallerini
19 Ottobre 2022
La giornalista ucraina Olesja Jaremčuk, autrice del libro "Mosaico Ucraina"

La giornalista ucraina Olesja Jaremčuk, autrice del libro "Mosaico Ucraina"

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“Nella casa di Leopoli dove sono cresciuta vivevano persone di origini diverse: armeni, ebrei, russi e ucraini. Da bambina, questo mosaico si è fissato nella mia memoria e più avanti, quando sono diventata una giornalista, ho deciso di sbrogliare questo intrico di storie”. Inizia così il viaggio della giornalista ucraina Olesja Jaremčuk alla scoperta della storia di 14 minoranze etniche che vivono in Ucraina. Nel suo reportage, che poi è diventato un libro dal titolo “Mosaico Ucraina” (Bottega Errante Edizioni, 2022), riporta i racconti di confine e di migrazione, viaggiando tra la storia di ieri e di oggi. Il libro è stato presentato di recente, in anteprima nazionale, al Pisa Book Festival.

Com’è nato questo libro?

“Dall’esigenza di documentare la diversità culturale in Ucraina sopravvissuta all’omologazione sovietica.  Ho raccolto le storie degli ucraini, intervistando fra il 2016 e il 2018 alcuni testimoni che oggi sono il mio filo diretto con il mio Paese che sono stata costretta a lasciare con lo scoppio della guerra. Per realizzare “Mosaico Ucraina” ho percorso 11mila chilometri in lungo e largo per il Paese con lo scopo di riportare la cronaca della miriade di migrazioni volontarie e forzate che hanno attraversato l’Ucraina per secoli, e che l’hanno resa il Paese dalle molteplici sfaccettature che è oggi. Allo stesso tempo, è un racconto commovente e lucido delle diversità che sono sopravvissute (o meno) al rullo compressore sovietico dell’unificazione linguistica, culturale e religiosa che oggi si sta riaffacciando spaventosamente”.

E’ ancora in contatto con gli intervistati? Com’è cambiata la loro vita dallo scoppio della guerra dello scorso 24 febbraio?

“Le voci che compaiono nel mio libro, oggi sono costrette a lasciare la propria casa a causa dell’occupazione russa. Alcuni resistono tenacemente, perché non possono fare altrimenti per vari motivi, altri vengono arrestati solo perché parlano ucraino e condotti in colonie militari dai russi. Nella regione di Donetsk vivono 75.000 greci, tra rumeici e urum. Parlano la lingua greca che si è salvata e mantenuta nel corso del tempo. Le protagoniste del mio reportage sono due giovani donne Olimpiada e Afina. Dopo il 24 febbraio, sono riuscita a mettermi in contatto con loro. Hanno vissuto per diverse settimane nel bunker mentre il cielo era costellato di esplosioni. I bombardamenti hanno distrutto la biblioteca casalinga dove erano conservati alcuni testi antichi di grande valore per la cultura greca (specifici di queste minoranze), spazzando via un pezzo fondamentale della loro storia, cultura e quindi identità. Un motivo di riflessione, visto anche il loro passato di persecuzione. Oggi la loro cultura è di nuovo sotto assedio“.

Anche alla luce degli ultimi eventi, qual è il messaggio di “Mosaico Ucraina”?

“Mosaico Ucraina è un manifesto di riscatto per tutte le minoranze del mio Paese che lottano per mantenere la propria integrità culturale e identitaria, ma non solo. E’ un inno alla bellezza della diversità in netto contrasto con l’omologazione linguistica e culturale dettata dalla Russia”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
"Nella casa di Leopoli dove sono cresciuta vivevano persone di origini diverse: armeni, ebrei, russi e ucraini. Da bambina, questo mosaico si è fissato nella mia memoria e più avanti, quando sono diventata una giornalista, ho deciso di sbrogliare questo intrico di storie". Inizia così il viaggio della giornalista ucraina Olesja Jaremčuk alla scoperta della storia di 14 minoranze etniche che vivono in Ucraina. Nel suo reportage, che poi è diventato un libro dal titolo "Mosaico Ucraina" (Bottega Errante Edizioni, 2022), riporta i racconti di confine e di migrazione, viaggiando tra la storia di ieri e di oggi. Il libro è stato presentato di recente, in anteprima nazionale, al Pisa Book Festival. Com'è nato questo libro? "Dall'esigenza di documentare la diversità culturale in Ucraina sopravvissuta all'omologazione sovietica.  Ho raccolto le storie degli ucraini, intervistando fra il 2016 e il 2018 alcuni testimoni che oggi sono il mio filo diretto con il mio Paese che sono stata costretta a lasciare con lo scoppio della guerra. Per realizzare "Mosaico Ucraina" ho percorso 11mila chilometri in lungo e largo per il Paese con lo scopo di riportare la cronaca della miriade di migrazioni volontarie e forzate che hanno attraversato l’Ucraina per secoli, e che l’hanno resa il Paese dalle molteplici sfaccettature che è oggi. Allo stesso tempo, è un racconto commovente e lucido delle diversità che sono sopravvissute (o meno) al rullo compressore sovietico dell’unificazione linguistica, culturale e religiosa che oggi si sta riaffacciando spaventosamente". E' ancora in contatto con gli intervistati? Com'è cambiata la loro vita dallo scoppio della guerra dello scorso 24 febbraio? "Le voci che compaiono nel mio libro, oggi sono costrette a lasciare la propria casa a causa dell'occupazione russa. Alcuni resistono tenacemente, perché non possono fare altrimenti per vari motivi, altri vengono arrestati solo perché parlano ucraino e condotti in colonie militari dai russi. Nella regione di Donetsk vivono 75.000 greci, tra rumeici e urum. Parlano la lingua greca che si è salvata e mantenuta nel corso del tempo. Le protagoniste del mio reportage sono due giovani donne Olimpiada e Afina. Dopo il 24 febbraio, sono riuscita a mettermi in contatto con loro. Hanno vissuto per diverse settimane nel bunker mentre il cielo era costellato di esplosioni. I bombardamenti hanno distrutto la biblioteca casalinga dove erano conservati alcuni testi antichi di grande valore per la cultura greca (specifici di queste minoranze), spazzando via un pezzo fondamentale della loro storia, cultura e quindi identità. Un motivo di riflessione, visto anche il loro passato di persecuzione. Oggi la loro cultura è di nuovo sotto assedio". Anche alla luce degli ultimi eventi, qual è il messaggio di "Mosaico Ucraina"? "Mosaico Ucraina è un manifesto di riscatto per tutte le minoranze del mio Paese che lottano per mantenere la propria integrità culturale e identitaria, ma non solo. E' un inno alla bellezza della diversità in netto contrasto con l'omologazione linguistica e culturale dettata dalla Russia".
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