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Home » Attualità » Mustafa, il bambino siriano esce dalla quarantena a Siena: “Mi piace stare in Italia”

Mustafa, il bambino siriano esce dalla quarantena a Siena: “Mi piace stare in Italia”

La famiglia siriana del piccolo divenuto famoso per la foto-simbolo con il padre Munzir esce per la prima volta di casa. La mamma Zeynep: "L'Italia è il primo Stato che ci ha chiamato per aiutarci"

Remy Morandi
4 Febbraio 2022
Mustafa operato Siena

Mustafa operato Siena

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https://luce.lanazione.it/wp-content/uploads/2022/02/Siena-il-saluto-del-piccolo-Mustafa-allItalia-VIDEO-Cronaca-lanazioneit.mp4

 

“Sì, mi piace stare in Italia”. Sono queste le prime parole di Mustafa, il bambino siriano di 6 anni nato senza arti, uscito oggi dalla quarantena trascorsa con la famiglia nella nuova casa a Siena. Il piccolo sorride, il padre Munzir è felice. “L’Italia è il primo Stato che ci ha chiamato per aiutarci“, ha detto la madre Zeynep nell’incontro con la stampa tenutosi questa mattina a Siena. Le prime parole del papà, divenuto anche lui famoso per la foto-simbolo grazie alla quale l’Italia è riuscita a portare in salvo questa famiglia dalle bombe e dalla guerra in Siria, sono per ringraziare “la Chiesa, l’Arcidiocesi di Siena, l’Arcivescovo Lojudice e soprattutto l’Italia” per averli accolti e aver dato la possibilità a tutti loro, e a Mustafa, di crearsi una nuova vita, lontana dalla Siria, dalle bombe, dalla guerra. La madre di Mustafa, Zeynep, ha voluto aggiungere: “Da tanto tempo chiediamo aiuto per la cura di Mustafa, ma il primo Stato che ci ha chiamati è stata l’Italia. Abbiamo sentito la gentilezza e la bontà di questo popolo”, ha aggiunto la madre.

Munzir e Mustafa, la foto-simbolo “Hardship of Life” / Credit Mehmet Aslan

Munzir, il papà di Mustafa: “Quella foto ha cambiato la nostra vita”

“Quella foto ha veramente cambiato la nostra vita”, dice il padre nell’incontro con la stampa. “Il mondo ha sentito la nostra voce – ha aggiunto Munzir – e adesso Mustafa avrà la sua cura e un futuro”. Tutto grazie a una fotografia, allo scatto del turco Memhet Aslan, la cui storia viene raccontata proprio da Munzir: “Mehmet ci ha visti – spiega il padre – mentre stavo giocando con mio figlio. Noi non sapevamo niente. Dopo che Aslan ha fatto la foto è sceso dalla macchina e ci ha chiesto di fare un’intervista”. Poi commenta: “Non ho mai smesso di sognare di aiutare Mustafa e dopo la foto sono stato sicuro che il suo futuro sarebbe stato migliore”, rivela Munzir. Anche Zeynep spiega di non aver “mai smesso di cercare una soluzione per Mustafa”.

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L’arcivescovo Lojudice: “Mustafa è un simbolo contro la guerra”

Nella nuova casa messa a disposizione dalla Caritas di Siena, è arrivato anche il sindaco Luigi De Mossi che ha portato un pelouche in regalo a Mustafa e altri dolci tipici di Siena. Presente all’incontro con la stampa anche il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena. “Mustafa – dichiara il cardinale – può essere l’emblema di una battaglia contro la guerra e di una maggiore attenzione verso i minori. A lui chiedo di essere il simbolo di questo cammino di tutela verso i più piccoli per cui la Chiesa di Siena e questa città toscana si impegnano continuamente”, ha sottolineato l’arcivescovo Lojudice.

Mustafa, la mamma Zeynep e il papà Munzir nel loro primo giorno fuori da casa a Siena

Quando riceveranno le protesi Mustafa e Munzir?

Adesso la famiglia di Mustafa si trova in una casa a Siena, messa a disposizione dalla Caritas. Tra qualche settimana inizieranno le prime visite di Mustafa e Munzir al Centro Protesi Vigorso di Budrio, a Bologna. Qui un team di medici, dottori e specialisti assisterà i due e poi avrà inizio il percorso per la produzione delle protesi. Nessuno al momento è in grado di fare delle previsioni su quando Mustafa e il padre riceveranno le loro protesi. “Sarà un cammino lungo – spiega il cardinale Lojudice – quello per donare una vita normale a Mustafa. Ancora non possiamo dare risposte rispetto al loro futuro, procederemo passo passo”. La situazione del padre – spiega la Caritas – “è risolvibile in breve tempo, trattandosi di una menomazione derivante da trauma”. Quella di Mustafa, invece, “è più complessa perché il bambino non ha mai avuto gli arti e dovrà sperimentare il senso dell’equilibrio. Sarà un cammino lungo”, conclude la Caritas.

Il padre Munzir e il piccolo Mustafa / Foto di Mehmet Aslan

Dalla bomba in Siria alla foto-simbolo. La storia di Mustafa e della sua famiglia

Mustafa e la sua famiglia sono diventati famosi in Italia grazie alla fotografia di Mehmet Aslan “Hardship of Life“. Tutto ebbe inizio nel 2016, quando Munzir e la moglie Zeynep vennero colpiti da una bomba lanciata da un caccia del regime di Bashar al-Assad in un mercato a Idlib, città della Siria nord-occidentale. A causa di quella bomba Munzir perse la gamba destra. La moglie Zeynep, in quel momento incinta di Mustafa, si salvò ma il feto subì danni irreversibili. Il piccolo, infatti, nacque poco tempo dopo senza arti, affetto da una grave forma di tetra amelia. Tre anni dopo la bomba, Zeynep e Munzir decisero di scappare dalla Siria, rifugiandosi nella provincia turca di Hatay. Fu proprio qui che il fotografo turco Mehmet Aslan scattò la foto “Hardship of Life”. Quella foto simbolo vinse il Siena International Photo Awards (SIPA) 2021. Il moto di solidarietà nei confronti della storia di Mustafa si diffuse presto in tutta Italia. L’ambasciata italiana ad Ankara e la Farnesina si attivarono per trovare la famiglia El Nezzel. L’operazione ebbe successo e parallelamente il Siena Awards attivò una raccolta fondi per sostenere l’arrivo di Mustafa in Italia. In pochissimo tempo la raccolta fondi raggiunse la cifra record di 150mila euro. E così, venerdì 21 gennaio 2022, alle ore 17 e 32, il volo TK1663, partito da Istanbul, è atterrato a Roma. A bordo c’era tutta la famiglia del piccolo Mustafa, lui compreso. La famiglia fu subito trasferita nella casa a Siena messa a disposizione dalla Caritas. Qui gli El Nezzel hanno passato i primi dieci giorni in quarantena, per le norme anti-Covid. Oggi sono usciti di casa. Siena e una nuova vita li aspetta.

Il piccolo Mustafa / Foto di Mehmet Aslan

 

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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  "Sì, mi piace stare in Italia". Sono queste le prime parole di Mustafa, il bambino siriano di 6 anni nato senza arti, uscito oggi dalla quarantena trascorsa con la famiglia nella nuova casa a Siena. Il piccolo sorride, il padre Munzir è felice. "L'Italia è il primo Stato che ci ha chiamato per aiutarci", ha detto la madre Zeynep nell'incontro con la stampa tenutosi questa mattina a Siena. Le prime parole del papà, divenuto anche lui famoso per la foto-simbolo grazie alla quale l'Italia è riuscita a portare in salvo questa famiglia dalle bombe e dalla guerra in Siria, sono per ringraziare "la Chiesa, l'Arcidiocesi di Siena, l'Arcivescovo Lojudice e soprattutto l'Italia" per averli accolti e aver dato la possibilità a tutti loro, e a Mustafa, di crearsi una nuova vita, lontana dalla Siria, dalle bombe, dalla guerra. La madre di Mustafa, Zeynep, ha voluto aggiungere: "Da tanto tempo chiediamo aiuto per la cura di Mustafa, ma il primo Stato che ci ha chiamati è stata l'Italia. Abbiamo sentito la gentilezza e la bontà di questo popolo", ha aggiunto la madre.
Munzir e Mustafa, la foto-simbolo "Hardship of Life" / Credit Mehmet Aslan

Munzir, il papà di Mustafa: "Quella foto ha cambiato la nostra vita"

"Quella foto ha veramente cambiato la nostra vita", dice il padre nell'incontro con la stampa. "Il mondo ha sentito la nostra voce - ha aggiunto Munzir - e adesso Mustafa avrà la sua cura e un futuro". Tutto grazie a una fotografia, allo scatto del turco Memhet Aslan, la cui storia viene raccontata proprio da Munzir: "Mehmet ci ha visti - spiega il padre - mentre stavo giocando con mio figlio. Noi non sapevamo niente. Dopo che Aslan ha fatto la foto è sceso dalla macchina e ci ha chiesto di fare un'intervista". Poi commenta: "Non ho mai smesso di sognare di aiutare Mustafa e dopo la foto sono stato sicuro che il suo futuro sarebbe stato migliore", rivela Munzir. Anche Zeynep spiega di non aver "mai smesso di cercare una soluzione per Mustafa".
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L'arcivescovo Lojudice: "Mustafa è un simbolo contro la guerra"

Nella nuova casa messa a disposizione dalla Caritas di Siena, è arrivato anche il sindaco Luigi De Mossi che ha portato un pelouche in regalo a Mustafa e altri dolci tipici di Siena. Presente all'incontro con la stampa anche il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena. "Mustafa - dichiara il cardinale - può essere l'emblema di una battaglia contro la guerra e di una maggiore attenzione verso i minori. A lui chiedo di essere il simbolo di questo cammino di tutela verso i più piccoli per cui la Chiesa di Siena e questa città toscana si impegnano continuamente", ha sottolineato l'arcivescovo Lojudice.
Mustafa, la mamma Zeynep e il papà Munzir nel loro primo giorno fuori da casa a Siena

Quando riceveranno le protesi Mustafa e Munzir?

Adesso la famiglia di Mustafa si trova in una casa a Siena, messa a disposizione dalla Caritas. Tra qualche settimana inizieranno le prime visite di Mustafa e Munzir al Centro Protesi Vigorso di Budrio, a Bologna. Qui un team di medici, dottori e specialisti assisterà i due e poi avrà inizio il percorso per la produzione delle protesi. Nessuno al momento è in grado di fare delle previsioni su quando Mustafa e il padre riceveranno le loro protesi. "Sarà un cammino lungo - spiega il cardinale Lojudice - quello per donare una vita normale a Mustafa. Ancora non possiamo dare risposte rispetto al loro futuro, procederemo passo passo". La situazione del padre - spiega la Caritas - "è risolvibile in breve tempo, trattandosi di una menomazione derivante da trauma". Quella di Mustafa, invece, "è più complessa perché il bambino non ha mai avuto gli arti e dovrà sperimentare il senso dell'equilibrio. Sarà un cammino lungo", conclude la Caritas.
Il padre Munzir e il piccolo Mustafa / Foto di Mehmet Aslan

Dalla bomba in Siria alla foto-simbolo. La storia di Mustafa e della sua famiglia

Mustafa e la sua famiglia sono diventati famosi in Italia grazie alla fotografia di Mehmet Aslan "Hardship of Life". Tutto ebbe inizio nel 2016, quando Munzir e la moglie Zeynep vennero colpiti da una bomba lanciata da un caccia del regime di Bashar al-Assad in un mercato a Idlib, città della Siria nord-occidentale. A causa di quella bomba Munzir perse la gamba destra. La moglie Zeynep, in quel momento incinta di Mustafa, si salvò ma il feto subì danni irreversibili. Il piccolo, infatti, nacque poco tempo dopo senza arti, affetto da una grave forma di tetra amelia. Tre anni dopo la bomba, Zeynep e Munzir decisero di scappare dalla Siria, rifugiandosi nella provincia turca di Hatay. Fu proprio qui che il fotografo turco Mehmet Aslan scattò la foto “Hardship of Life”. Quella foto simbolo vinse il Siena International Photo Awards (SIPA) 2021. Il moto di solidarietà nei confronti della storia di Mustafa si diffuse presto in tutta Italia. L’ambasciata italiana ad Ankara e la Farnesina si attivarono per trovare la famiglia El Nezzel. L’operazione ebbe successo e parallelamente il Siena Awards attivò una raccolta fondi per sostenere l’arrivo di Mustafa in Italia. In pochissimo tempo la raccolta fondi raggiunse la cifra record di 150mila euro. E così, venerdì 21 gennaio 2022, alle ore 17 e 32, il volo TK1663, partito da Istanbul, è atterrato a Roma. A bordo c’era tutta la famiglia del piccolo Mustafa, lui compreso. La famiglia fu subito trasferita nella casa a Siena messa a disposizione dalla Caritas. Qui gli El Nezzel hanno passato i primi dieci giorni in quarantena, per le norme anti-Covid. Oggi sono usciti di casa. Siena e una nuova vita li aspetta.
Il piccolo Mustafa / Foto di Mehmet Aslan
   
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