Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Evento 2022
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Evento 2022
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Attualità » Neonato morto a Roma: cos’è il rooming in, tra benefici e rischio stanchezza della madre

Neonato morto a Roma: cos’è il rooming in, tra benefici e rischio stanchezza della madre

Tra 60 giorni i risultati dell'autopsia sul bambino. Intanto si moltiplicano i messaggi di solidarietà verso la 29enne e le testimonianze di altre donne

Marianna Grazi
27 Gennaio 2023
Neonato morto a Roma: la madre si addormenta durante l'allattamento

Neonato morto a Roma: la madre si addormenta durante l'allattamento

Share on FacebookShare on Twitter

La vicenda del neonato morto all’ospedale Pertini di Roma è, prima di tutto, una tragedia familiare. Pensate a quella donna, la sua mamma, che da giorni si sente definire nei modi più disparati, vede i titoli dei giornali che quasi l’accusano di aver ucciso il suo bambino. Che la colpa è sua. Perché si è addormentata e così facendo avrebbe schiacciato suo figlio appena nato. Nessuno, nessuno può comprendere il suo dolore, quello di suo marito, quello della sua famiglia. Eppure, nel nostro Paese, la narrativa comune, anche e soprattutto dei mezzi di informazione, colpevolizza esclusivamente la madre. In questo caso una donna troppo stanca che si addormenta mentre allatta.

Eppure prima di puntare il dito bisognerebbe semplicemente prendersi un attimo di tempo e pensare a cosa ci sia dietro il mero fatto di cronaca. Intanto perché serviranno 60 giorni per stabilire con certezza i contorni del drammatico episodio avvenuto tra il 7 e l’8 gennaio, quando il neonato, tre giorni, è morto nella stanza d’ospedale in cui si trovava con la sua mamma. È questo il tempo necessario per avere i risultati dell’autopsia. E per ora c’è soltanto una certezza: la signora è risultata negativa a tutti i test tossicologici e quindi è stata accantonata l’ipotesi che quella notte avesse assunto dei farmaci o altre sostanze. Perché (al si là degli obblighi procedurali di giustizia), secondo il tribunale del popolo non poteva trattarsi di sola stanchezza. Una donna che ha affrontato il parto, che si trova catapultata in una dimensione nuova, dovendosi preoccupare non più solo di se stessa ma anche del figlio appena nato, non può essere “solo” esausta. Per non dire stremata. Non può sentirsi sola, senza aiuto. Non è contemplato.

La mamma abbraccia il figlio subito dopo il parto

Cos’è il rooming-in

E si è acceso il dibattito per la pratica del rooming-in, ossia la possibilità che dopo il parto il neonato stia nella stessa stanza della mamma. Una procedura non obbligatoria, che è “ormai consolidata nel contesto nazionale ed internazionale per sostenere il contatto tra neonato e mamma, sin dalle prime ore dopo la nascita”, spiegano dalla direzione strategica della Asl Roma 2. Nel 1989 Onu e Unicef, in una dichiarazione congiunta, avevano consigliato di “praticare il rooming-in, permettere cioè alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale”. Secondo queste linee guida, un neonato dovrebbe essere tenuto a contatto pelle a pelle con la propria madre subito dopo la nascita o comunque non appena possibile, salvo ovviamente complicazioni durante il parto. Questo perché la neomamma possa iniziare immediatamente ad occuparsi del figlio, in moda da creare un legame forte madre-figlio ed efficace e di favorire l’allattamento. Se questa procedura non viene adottata, invece, la madre può vedere il neonato soltanto negli orari di allattamento, con intervalli di circa di tre ore.

Il parere dei pediatri e dell’ostetrica

La pratica del rooming in, oltre a stabilire un solido legame madre-figlio, favorisce l’allattamento al seno

In Italia il rooming-in non è obbligatorio e le modalità dipendono dalla struttura sanitaria, anche se sono sempre di più quelle che la impiegano. Ogni madre può, però, decidere in autonomia se adottare questa strategia o farsi aiutare (e in che misura) dal personale sanitario. Se, in effetti non esiste una posizione ideale per allattare e le madri potrebbero trovarsi in difficoltà al primo approccio, i pediatri invitano ad “essere vigili sul fatto che il piccolo respiri bene e abbia un buon colorito” e favorire il rooming-in. “Tenere il neonato nella stessa stanza della mamma – dicono – permette di rafforzare il legame e incentivare l’allattamento al seno. È più sicuro che il bimbo dorma nella culletta, evitando materassi o cuscini molto morbidi. Va raccomandato che dorma a pancia sopra. Non aver timore di chiedere che il neonato venga portato nella nursery se si ha bisogno di riposare“. “Non è qualcosa di cui vergognarsi – sottolinea la presidente Sip Annamaria Staiano -: la stanchezza dopo il parto può colpire tutte le donne, in misura diversa”.
“La pratica del rooming in è positiva quando la madre non è sola – dichiara invece Alessandra Bellasio, ostetrica e divulgatrice sanitaria su Unimamma.it -. Il suo bisogno di riposare sembra percepito come un lusso“. In un’intervista infatti l’esperta precisa: “Risulta una buona pratica quando alla madre si affianca una figura di supporto, il partner o un’altra persona della famiglia, che possa alternarsi nella cura del piccolo e offrire sostegno e riposo. Viceversa può diventare controproducente – aggiunge – qualora la madre avesse necessità di riposare o riprendersi da un parto difficile o da un intervento chirurgico. In questi casi, infatti, il rooming in dovrebbe essere interrotto per garantire alla mamma gli adeguati tempi di recupero”.

La solidarietà femminile sulla tragedia di Roma

Se intorno all’allattamento al seno si è consolidata un’aura di “sacralità” difficile da scalfire, si è invece andata degradando, nel corso dei decenni, la rete sociale che invece in passato supportava le donne durante e soprattutto dopo la gravidanza. Che fosse una balia, una vicina, la nonna o una tata, prima ad affiancare le neomamme c’erano varie figure pronte a sostenerle nella vita quotidiana, fino a sostituirsi temporaneamente al momento del bisogno della madre. “Al Pertini l’hanno abbandonata, la mia compagna non si reggeva in piedi dopo 17 ore di travaglio”, ha raccontato il compagno, accusando lo staff dell’ospedale di non aver ascoltato le sue richieste. “Aveva chiesto di portare il bimbo al nido per poter riposare qualche ora, ma le hanno detto di no. […] E lei, anche se ha 29 anni, era stanchissima, il piccolo era irrequieto, non l’hai mai fatta dormire. Così ha passato le nottate senza chiudere occhio”.

Tante donne testimoniano la loro esperienza in ospedale dopo il parto: lasciate sole, stremate, senza support

Le sue parole ricalcano quelle sensazioni che, in questi ultimi giorni, centinaia di donne, di mamme, raccontano di aver provato durante le loro esperienze di parto, difendendo anch’esse la ragazza. La denuncia, comune, è quella di essere state lasciate sole, senza “manuale di istruzione” su come comportarsi, cosa fare con quel nuovo essere umano che era appena venuto al mondo. “A me a momenti mi prendevano per pazza quando dicevo che ero stanca” ci scrive ad esempio un’utente in risposta al post sulla pagina Instagram di Luce!. Durante i primi giorni la donna, che aveva appena partorito una bimba, dice che “per paura di schiacciarla o soffocarla” durante l’allattamento “sono rimasta sveglia seduta tutto il tempo, tre giorni, senza dormire”. “Povera mamma, io dovrò partorire tra qualche mese e ho una paura fottuta di rimanere sola con mia figlia, specie se avrò affrontato un lungo travaglio e sarò stremata – scrive un’altra -. Capisco le misure anticovid e tutto, ma i padri dovrebbero poter rimanere in ospedale con le compagne e i figli. Nessuno, a volte nemmeno il personale, capisce e recepisce la stanchezza di una partoriente. Per accudire un figlio appena nato servono riposo e forze”.
Ancora: “Dal Covid siamo tutte lasciate sole dopo il parto ad accudire il bambino h24. Io l’ho fatto dopo il cesareo e con il catetere. Ma ho avuto la fortuna di avere ostetriche d’oro. Non è scontato oggi”. E infine: “Si è passato da un estremo: custodire il bambino al nido e darlo alle mamme solo poche ore, a un altro: affidarlo totalmente alle mamme 24h su 24h”.

Potrebbe interessarti anche

Harpreet Chandi
Lifestyle

Fino al Polo Sud da sola: il nuovo record di Harpreet Chandi. “Credete sempre in voi stessi”

26 Gennaio 2023
L'imprenditore e attivista algerino Rachid Nekkaz
Attualità

Algeria, liberato Rachid Nekkaz, l’attivista imprenditore che difende “le donne velate”

23 Gennaio 2023
Tragedia a Roma: neomamma si addormenta mentre allatta
Attualità

Bimbo morto per soffocamento, l’esperta: “Fondamentale una rete di supporto attorno a chi accudisce”

23 Gennaio 2023

Instagram

  • Avete mai pensato a come fare quando siete in una foresta, in montagna o in una spiaggia solitaria, lontane da tutti, completamente immerse nella natura, ma avete il ciclo? 

🟪 A questa eventualità ha risposto una ragazza scozzese, che ha sviluppato un kit mestruale portatile da usare all’aperto quando non esistono i servizi igienici o non c’è accesso alle toilette. Erin Reid, 25 anni, ha concepito l’idea quando ha affrontato il cammino di 96 miglia (154 km) della West Highland Way da Milngavie, vicino a Glasgow, a Fort William. Ispirata dalle sue esperienze racconta: 

🗣“Ho avuto le mestruazioni per tutto il tempo ed è stata una vera seccatura Il mio obiettivo è quello di risolvere il problema e dare alle persone la possibilità di uscire all’aria aperta quando hanno le mestruazioni”. Secondo Erin, le donne che si trovano in luoghi isolati potrebbero correre il rischio di infezioni del tratto urinario, shock tossico o infertilità a causa della scarsa igiene, quando non c’è accesso a bagni, impianti per lavarsi le mani o luoghi per smaltire i prodotti sanitari usati.

La ragazza ha dichiarato che il suo kit è pensato per chi pratica l’escursionismo, il kayak e per il personale militare, ma ha spiegato che, grazie anche al design a forma di fiaschetta, potrebbe interessare persino il pubblico femminile dei festival all’aperto, preoccupati di utilizzare i bagni chimici. Il kit contiene: una coppetta mestruale riutilizzabile, salviette antibatteriche, che consentono di pulire la coppetta in viaggio e un semplice erogatore che può essere utilizzato anche senza avere le mani pulite, quindi in situazioni in cui non è possibile accedere a servizi igienici o all’acqua corrente. 

L’ex studentessa della Napier University, laureata in Design del Prodotto, spera ora di lanciare il prodotto nel 2024: appassionata escursionista e ciclista è ora alla ricerca di finanziamenti per portare sul mercato il suo kit per l’igiene mestruale LU Innovations. Che è stato sviluppato con il sostegno di Converge, società di supporto per le università e gli istituti di ricerca che lavorano su nuovi prototipi.

#lucenews #mestruazioni #kitmestruale #ciclomestruale #designdelprodotto
  • “Ho fatto un film artigianale, maldestramente ispirato a una lettera di Elsa Morante, e dedicato a tutte le ‘cattive ragazze’, che cattive non sono, e che lottano in tutto il mondo: dall’Iran all’Afghanistan, ma anche in Svezia e in Umbria”.

Il corto “Le Pupille” di Alice Rohrwcher ha ricevuto ieri, 24 gennaio, una nomination agli Oscar per il miglior Live Action Short. La cerimonia finale si terrà a Los Angeles il 12 marzo.

La reazione e la gioia delle piccole protagoniste, della troupe e della regista✨

#lucenews #lucelanazione #lepupille #oscar2023
  • C’è anche un film italiano in corsa per gli Oscar. 

È il cortometraggio "Le pupille" diretto da Alice Rohrwacher, regista quarantunenne nata in Toscana, cresciuta nella campagna umbra, regista "artigianale", autodidatta, i cui film hanno già ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali. Le pupille è prodotto dal regista premio Oscar Alfonso Cuarón, ed è entrato nella cinquina delle pellicole in corsa per l’Oscar del Miglior cortometraggio.

"Dedico questa nomination alle “bambine cattive“, che cattive non sono affatto, e che sono in lotta ovunque nel mondo: in Iran, in Afghanistan, ma anche in Svezia e in Umbria. Mi auguro che, come nel mio cortometraggio, possano rompere la torta e condividerla fra loro". 

Si parla, infatti, nel film, di una torta. E di costrizioni, divieti, imposizioni, rigide regole da sovvertire. Il film prende spunto, dice la regista, da una lettera che nel dicembre 1971 la scrittrice Elsa Morante inviò all’amico giornalista e critico cinematografico Goffredo Fofi.

Nella lettera, la Morante racconta una storia avvenuta in un collegio di preti, negli anni del fascismo. Una decina di ragazzi si preparano al pranzo di Natale, scoprendo che a chiudere il pasto c’è un’enorme zuppa inglese. Ma il priore li invita a "fare un fioretto" a Gesù Bambino, rinunciando alla loro fetta di dolce. Qualcuno si ribellerà: un "bimbo cattivo". La lettera è pubblicata, col titolo di Pranzo di Natale, per le edizioni milanesi Henry Beyle, nel 2014.

Invitata da Cuarón a prendere parte a un progetto di corti per Disney+, Alice Rohrwacher ha scelto questa storia. Ma con un radicale cambiamento: ha trasformato i ragazzi in ragazzine, in "pupille", piccole orfane ospitate dalle suore. L’intransigente priora è interpretata dalla sorella della regista, Alba Rohrwacher. A portare la torta in convento è una eccentrica nobildonna che chiede – in cambio del dono – di pregare per l’uomo che la ha tradita e abbandonata.

È la prima volta, invece, che la regista riceve una nomination agli Oscar, e lo fa con una fiaba anarchica, un Canto di Natale "in rosa", rivoluzionario e al femminile.

L
  • Messaggi osceni, allusioni, avances in ufficio e ricatti sessuali. La forma più classica del sopruso in azienda, unita ai nuovi strumenti tecnologici nelle mani dei molestatori. Il movimento Me Too, nel 2017, squarciò il velo di silenzio sulle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo del cinema e poi negli altri luoghi di lavoro. Cinque anni dopo, con in mezzo la pandemia che ha terremotato il mondo del lavoro, le donne continuano a subire abusi, che nella maggior parte dei casi restano nell’ombra.

«Sono pochissime le donne che denunciano – spiega Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – e nei casi più gravi preferiscono lasciare il lavoro. Il molestatore andrebbe allontanato dalla vittima ma nei contratti collettivi dei vari settori non è ancora prevista una sanzione disciplinare per chi si rende responsabile di molestie o di mobbing».

Un quadro sconfortante che emerge anche da una rilevazione realizzata dalla Cisl Lombardia, nel corso del 2022, su lavoratrici di diversi settori, attraverso un sondaggio distribuito in fabbriche, negozi e uffici della regione. Sono seimila le donne che hanno partecipato all’indagine, e il 44% ha dichiarato di aver subìto molestie o di «esserne stata testimone» nel corso della sua vita lavorativa.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime.

✍🏻di Andrea Gianni

#lucenews #istat #donne #molestie #lavoro #diritti
La vicenda del neonato morto all'ospedale Pertini di Roma è, prima di tutto, una tragedia familiare. Pensate a quella donna, la sua mamma, che da giorni si sente definire nei modi più disparati, vede i titoli dei giornali che quasi l'accusano di aver ucciso il suo bambino. Che la colpa è sua. Perché si è addormentata e così facendo avrebbe schiacciato suo figlio appena nato. Nessuno, nessuno può comprendere il suo dolore, quello di suo marito, quello della sua famiglia. Eppure, nel nostro Paese, la narrativa comune, anche e soprattutto dei mezzi di informazione, colpevolizza esclusivamente la madre. In questo caso una donna troppo stanca che si addormenta mentre allatta. Eppure prima di puntare il dito bisognerebbe semplicemente prendersi un attimo di tempo e pensare a cosa ci sia dietro il mero fatto di cronaca. Intanto perché serviranno 60 giorni per stabilire con certezza i contorni del drammatico episodio avvenuto tra il 7 e l'8 gennaio, quando il neonato, tre giorni, è morto nella stanza d'ospedale in cui si trovava con la sua mamma. È questo il tempo necessario per avere i risultati dell'autopsia. E per ora c'è soltanto una certezza: la signora è risultata negativa a tutti i test tossicologici e quindi è stata accantonata l'ipotesi che quella notte avesse assunto dei farmaci o altre sostanze. Perché (al si là degli obblighi procedurali di giustizia), secondo il tribunale del popolo non poteva trattarsi di sola stanchezza. Una donna che ha affrontato il parto, che si trova catapultata in una dimensione nuova, dovendosi preoccupare non più solo di se stessa ma anche del figlio appena nato, non può essere "solo" esausta. Per non dire stremata. Non può sentirsi sola, senza aiuto. Non è contemplato.
La mamma abbraccia il figlio subito dopo il parto

Cos'è il rooming-in

E si è acceso il dibattito per la pratica del rooming-in, ossia la possibilità che dopo il parto il neonato stia nella stessa stanza della mamma. Una procedura non obbligatoria, che è "ormai consolidata nel contesto nazionale ed internazionale per sostenere il contatto tra neonato e mamma, sin dalle prime ore dopo la nascita", spiegano dalla direzione strategica della Asl Roma 2. Nel 1989 Onu e Unicef, in una dichiarazione congiunta, avevano consigliato di "praticare il rooming-in, permettere cioè alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale". Secondo queste linee guida, un neonato dovrebbe essere tenuto a contatto pelle a pelle con la propria madre subito dopo la nascita o comunque non appena possibile, salvo ovviamente complicazioni durante il parto. Questo perché la neomamma possa iniziare immediatamente ad occuparsi del figlio, in moda da creare un legame forte madre-figlio ed efficace e di favorire l’allattamento. Se questa procedura non viene adottata, invece, la madre può vedere il neonato soltanto negli orari di allattamento, con intervalli di circa di tre ore.

Il parere dei pediatri e dell'ostetrica

La pratica del rooming in, oltre a stabilire un solido legame madre-figlio, favorisce l'allattamento al seno
In Italia il rooming-in non è obbligatorio e le modalità dipendono dalla struttura sanitaria, anche se sono sempre di più quelle che la impiegano. Ogni madre può, però, decidere in autonomia se adottare questa strategia o farsi aiutare (e in che misura) dal personale sanitario. Se, in effetti non esiste una posizione ideale per allattare e le madri potrebbero trovarsi in difficoltà al primo approccio, i pediatri invitano ad "essere vigili sul fatto che il piccolo respiri bene e abbia un buon colorito" e favorire il rooming-in. "Tenere il neonato nella stessa stanza della mamma - dicono - permette di rafforzare il legame e incentivare l'allattamento al seno. È più sicuro che il bimbo dorma nella culletta, evitando materassi o cuscini molto morbidi. Va raccomandato che dorma a pancia sopra. Non aver timore di chiedere che il neonato venga portato nella nursery se si ha bisogno di riposare". "Non è qualcosa di cui vergognarsi - sottolinea la presidente Sip Annamaria Staiano -: la stanchezza dopo il parto può colpire tutte le donne, in misura diversa". "La pratica del rooming in è positiva quando la madre non è sola - dichiara invece Alessandra Bellasio, ostetrica e divulgatrice sanitaria su Unimamma.it -. Il suo bisogno di riposare sembra percepito come un lusso". In un'intervista infatti l'esperta precisa: "Risulta una buona pratica quando alla madre si affianca una figura di supporto, il partner o un’altra persona della famiglia, che possa alternarsi nella cura del piccolo e offrire sostegno e riposo. Viceversa può diventare controproducente - aggiunge - qualora la madre avesse necessità di riposare o riprendersi da un parto difficile o da un intervento chirurgico. In questi casi, infatti, il rooming in dovrebbe essere interrotto per garantire alla mamma gli adeguati tempi di recupero".

La solidarietà femminile sulla tragedia di Roma

Se intorno all'allattamento al seno si è consolidata un'aura di "sacralità" difficile da scalfire, si è invece andata degradando, nel corso dei decenni, la rete sociale che invece in passato supportava le donne durante e soprattutto dopo la gravidanza. Che fosse una balia, una vicina, la nonna o una tata, prima ad affiancare le neomamme c'erano varie figure pronte a sostenerle nella vita quotidiana, fino a sostituirsi temporaneamente al momento del bisogno della madre. "Al Pertini l’hanno abbandonata, la mia compagna non si reggeva in piedi dopo 17 ore di travaglio", ha raccontato il compagno, accusando lo staff dell'ospedale di non aver ascoltato le sue richieste. "Aveva chiesto di portare il bimbo al nido per poter riposare qualche ora, ma le hanno detto di no. [...] E lei, anche se ha 29 anni, era stanchissima, il piccolo era irrequieto, non l’hai mai fatta dormire. Così ha passato le nottate senza chiudere occhio".
Tante donne testimoniano la loro esperienza in ospedale dopo il parto: lasciate sole, stremate, senza support
Le sue parole ricalcano quelle sensazioni che, in questi ultimi giorni, centinaia di donne, di mamme, raccontano di aver provato durante le loro esperienze di parto, difendendo anch'esse la ragazza. La denuncia, comune, è quella di essere state lasciate sole, senza "manuale di istruzione" su come comportarsi, cosa fare con quel nuovo essere umano che era appena venuto al mondo. "A me a momenti mi prendevano per pazza quando dicevo che ero stanca" ci scrive ad esempio un'utente in risposta al post sulla pagina Instagram di Luce!. Durante i primi giorni la donna, che aveva appena partorito una bimba, dice che "per paura di schiacciarla o soffocarla" durante l'allattamento "sono rimasta sveglia seduta tutto il tempo, tre giorni, senza dormire". "Povera mamma, io dovrò partorire tra qualche mese e ho una paura fottuta di rimanere sola con mia figlia, specie se avrò affrontato un lungo travaglio e sarò stremata - scrive un'altra -. Capisco le misure anticovid e tutto, ma i padri dovrebbero poter rimanere in ospedale con le compagne e i figli. Nessuno, a volte nemmeno il personale, capisce e recepisce la stanchezza di una partoriente. Per accudire un figlio appena nato servono riposo e forze". Ancora: "Dal Covid siamo tutte lasciate sole dopo il parto ad accudire il bambino h24. Io l'ho fatto dopo il cesareo e con il catetere. Ma ho avuto la fortuna di avere ostetriche d'oro. Non è scontato oggi". E infine: "Si è passato da un estremo: custodire il bambino al nido e darlo alle mamme solo poche ore, a un altro: affidarlo totalmente alle mamme 24h su 24h".
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • Evento 2022

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2021 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto