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Home » Attualità » “Ogni periferia è a sé, ma a tutte servono biblioteche, impianti sportivi, scuole e case popolari”

“Ogni periferia è a sé, ma a tutte servono biblioteche, impianti sportivi, scuole e case popolari”

Quanto mai vittime di stereotipi, le periferie italiane da decenni subiscono il processo di gentricazione, che ne ridisegna lo spazio urbano ma solo per utenti in grado di spendere. "E invece per risolvere il disagio sociale che abbiamo visto abbattersi in certi luoghi è necessario investire in servizi locali"

Nicolò Guelfi
16 Dicembre 2021
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Degrado sociale, mancanza di infrastrutture e servizi, migranti, poveri e delinquenza. Questo è lo stereotipo attaccato ai quartieri periferici delle grandi città. Come spesso accade, però, i luoghi comuni non corrispondono ai luoghi reali e, anche in caso di somiglianza: quali sono le cause?

In Italia, secondo Giovanni Semi, professore di Sociologia e di Culture urbane all’Università di Torino e autore del libro Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, abbiamo assistito nell’arco degli ultimi trent’anni a un processo di trasformazione che ha cambiato il volto delle città: “Nel nostro Paese ci sono due dinamiche: l’aumento costante del consumo di suolo per l’edilizia e la diminuzione della popolazione. In Italia oggi ci sono meno abitanti di quanti ce ne fossero dieci anni fa. Questo fenomeno si chiama ‘periferizzazione’ e comporta la crescita fisica delle aree ai bordi della città. Gli andamenti dei valori immobiliari sono impressionanti”.

In sostanza, le periferie si allargano. Tutto ciò sembra inspiegabile se si considera che in Italia, secondo gli ultimi dati Istat (del 2011) riguardo alle case vuote, su un totale di 31 milioni di abitazioni, 7 milioni risultano inabitate. Quasi una casa su quattro è vuota e i picchi di questa situazione si riscontrano maggiormente in Calabria, con un 40%, e in Valle da Aosta, con il 50%.

Come mai quindi allargare le città? Le risposte sono molteplici. Una è che buona parte degli immobili vuoti si trova al di fuori dei grandi centri, in zone da cui la popolazione si sposta per motivi di studio o in cerca di lavoro. Dall’altro, come spiega Semi, “l’80% delle famiglie ha una casa di proprietà. Poi si aggiunge una quota piccolissima, circa il 3%, protetta dagli alloggi popolari. Il restante 17% paga affitti che sono mediamente piuttosto alti rispetto alla qualità dell’immobile. Proprio in periodi di crisi di reddito, come quello che stiamo vivendo, i proprietari di casa preferiscono togliere dal mercato le abitazioni che avere degli inquilini insolventi. Questo genera un enorme stock abitativo vuoto, cui corrisponde una sempre maggiore quantità di poveri senzatetto. Gli homeless aumentano, infatti, proporzionalmente alle case sfitte”.

Alle periferie servono scuole, impianti sportivi, case popolari e biblioteche

Lo Stato non ha saputo, nelle ultime decadi, fare fronte alle necessità abitative delle persone. Le periferie sono diventate oggetto della “gentrification”, la tendenza a ridisegnare uno spazio urbano ma solo per utenti in grado di spendere. Questo fenomeno, citato per la prima volta nel Regno Unito dalla sociologa tedesca Ruth Glass nel 1964, si concretizza nel momento in cui nasce un interesse della parte più abbiente della popolazione per andare a vivere nelle zone periferiche, dove tendenzialmente la vita costa meno. Spike Lee, regista americano attento alla questione razziale, ha parlato di “Sindrome di Cristoforo Colombo“, in riferimento ai ricchi (bianchi) che si trasferivano a Brooklyn e la vedevano come una terra inesplorata ed esotica, senza rendersi conto che i poveri (neri) abitavano stabilmente lì già da tempo e ne costituivano la storia e il tessuto sociale. Tutto ciò svilisce queste realtà, ognuna diversa dall’altra: “Ogni area ha una sua storia – afferma il professor Semi –. Se prendiamo la città di Torino, vediamo che la periferia di Mirafiori non è come Barriera di Milano, che a sua volta non è come Vallette per storia, conformazione, persone che ci vivono. Trovare un unico filo rosso che colleghi tutte le periferie, anche solo in una grande città, è impossibile. Ci vuole finezza e specificità. Per risolvere il disagio sociale che abbiamo visto abbattersi in certi luoghi, invece di dare soldi in maniera indecente dalle casse dello Stato ai proprietari privati, sarebbe stato necessario investire in servizi locali: scuole, impianti sportivi, case popolari, biblioteche. Questa è una operazione che non avviene dagli anni Novanta e sarebbe davvero utile per integrare le persone, perché darebbe loro l’idea che non sono state abbandonate”.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
Degrado sociale, mancanza di infrastrutture e servizi, migranti, poveri e delinquenza. Questo è lo stereotipo attaccato ai quartieri periferici delle grandi città. Come spesso accade, però, i luoghi comuni non corrispondono ai luoghi reali e, anche in caso di somiglianza: quali sono le cause? In Italia, secondo Giovanni Semi, professore di Sociologia e di Culture urbane all’Università di Torino e autore del libro Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, abbiamo assistito nell’arco degli ultimi trent’anni a un processo di trasformazione che ha cambiato il volto delle città: "Nel nostro Paese ci sono due dinamiche: l’aumento costante del consumo di suolo per l’edilizia e la diminuzione della popolazione. In Italia oggi ci sono meno abitanti di quanti ce ne fossero dieci anni fa. Questo fenomeno si chiama ‘periferizzazione’ e comporta la crescita fisica delle aree ai bordi della città. Gli andamenti dei valori immobiliari sono impressionanti". In sostanza, le periferie si allargano. Tutto ciò sembra inspiegabile se si considera che in Italia, secondo gli ultimi dati Istat (del 2011) riguardo alle case vuote, su un totale di 31 milioni di abitazioni, 7 milioni risultano inabitate. Quasi una casa su quattro è vuota e i picchi di questa situazione si riscontrano maggiormente in Calabria, con un 40%, e in Valle da Aosta, con il 50%. Come mai quindi allargare le città? Le risposte sono molteplici. Una è che buona parte degli immobili vuoti si trova al di fuori dei grandi centri, in zone da cui la popolazione si sposta per motivi di studio o in cerca di lavoro. Dall’altro, come spiega Semi, "l’80% delle famiglie ha una casa di proprietà. Poi si aggiunge una quota piccolissima, circa il 3%, protetta dagli alloggi popolari. Il restante 17% paga affitti che sono mediamente piuttosto alti rispetto alla qualità dell’immobile. Proprio in periodi di crisi di reddito, come quello che stiamo vivendo, i proprietari di casa preferiscono togliere dal mercato le abitazioni che avere degli inquilini insolventi. Questo genera un enorme stock abitativo vuoto, cui corrisponde una sempre maggiore quantità di poveri senzatetto. Gli homeless aumentano, infatti, proporzionalmente alle case sfitte".

Alle periferie servono scuole, impianti sportivi, case popolari e biblioteche

Lo Stato non ha saputo, nelle ultime decadi, fare fronte alle necessità abitative delle persone. Le periferie sono diventate oggetto della “gentrification”, la tendenza a ridisegnare uno spazio urbano ma solo per utenti in grado di spendere. Questo fenomeno, citato per la prima volta nel Regno Unito dalla sociologa tedesca Ruth Glass nel 1964, si concretizza nel momento in cui nasce un interesse della parte più abbiente della popolazione per andare a vivere nelle zone periferiche, dove tendenzialmente la vita costa meno. Spike Lee, regista americano attento alla questione razziale, ha parlato di "Sindrome di Cristoforo Colombo", in riferimento ai ricchi (bianchi) che si trasferivano a Brooklyn e la vedevano come una terra inesplorata ed esotica, senza rendersi conto che i poveri (neri) abitavano stabilmente lì già da tempo e ne costituivano la storia e il tessuto sociale. Tutto ciò svilisce queste realtà, ognuna diversa dall’altra: "Ogni area ha una sua storia – afferma il professor Semi –. Se prendiamo la città di Torino, vediamo che la periferia di Mirafiori non è come Barriera di Milano, che a sua volta non è come Vallette per storia, conformazione, persone che ci vivono. Trovare un unico filo rosso che colleghi tutte le periferie, anche solo in una grande città, è impossibile. Ci vuole finezza e specificità. Per risolvere il disagio sociale che abbiamo visto abbattersi in certi luoghi, invece di dare soldi in maniera indecente dalle casse dello Stato ai proprietari privati, sarebbe stato necessario investire in servizi locali: scuole, impianti sportivi, case popolari, biblioteche. Questa è una operazione che non avviene dagli anni Novanta e sarebbe davvero utile per integrare le persone, perché darebbe loro l’idea che non sono state abbandonate".
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