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Home » Attualità » Odio contro la comunità Lgbtq+, insulti e offese in aumento durante il mese del Pride

Odio contro la comunità Lgbtq+, insulti e offese in aumento durante il mese del Pride

L’omofobia cresce del 25 per cento. La ricerca di dentsu Italia: “Quattro utenti su dieci che promuovono l'hate speech sono donne”

Arnaldo Liguori
19 Giugno 2022
Members and supporters of the lesbian, gay, bisexual and transgender (LGBT) community take part in the Pride parade in Rome, Italy, 11 June 2022. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Members and supporters of the lesbian, gay, bisexual and transgender (LGBT) community take part in the Pride parade in Rome, Italy, 11 June 2022. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Se prendiamo le 20 parole d’odio più frequenti rivolte alla comunità LGBTQ+ e analizziamo quante volte vengono pubblicate online, scopriamo che ogni mese, in Italia, vengono pubblicati online 5.300 contenuti con insulti omofobi. E durante il mese del Pride arrivano a 6.600, il 25 per cento in più. È quanto emerge dall’analisi “The Dark Side of Pride”, di dentsu Italia.

“La fotografia che ci viene mostrata – si legge nel rapporto – non parla solo di odio e omofobia, ma anche di omofobia interiorizzata, ovvero della accettazione passiva (consapevole, ma soprattutto inconsapevole) da parte di persone omosessuali di tutti i pregiudizi, i comportamenti e le opinioni discriminatorie tipici della cultura omofoba in cui siamo immersi”.

Membri e sostenitori della comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender (LGBT) partecipano alla parata del Pride a Roma

La ricerca

Gli analisti di dentsu hanno tracciato 20 tra gli insulti omofobi più diffusi nel parlato popolare italiano e successivamente mappato tutte le conversazioni online (su siti di news, blog, forum e social media). Hanno scoperto che “benché, nel corso di questi ultimi 4 anni, il trend dell’hate speech omofobo in Rete evidenzi un certo progressivo calo, d’altra parte i volumi assoluti rimangono ancora molto alti, sia rispetto all’evoluzione culturale che sarebbe lecito aspettarsi in Italia, sia rispetto alle attività di sensibilizzazione che aziende, associazioni, influencer e cittadini svolgono con sempre maggiore impegno online e offline”.

Sono emersi anche alcune tendenze curiose. “Contrariamente all’idea che l’omofobia nasca soprattutto da una rivendicazione di superiorità del cosiddetto maschio alfa, il 40 per cento degli utenti che promuovono l’hate speech contro persone LGBTQ+ è di genere femminile”. L’hate speech, inoltre, tende a concentrarsi in particolar modo nelle occasioni in cui la visibilità mediatica della comunità LGBTQ+ è più elevata (Pride Month, trasmissioni TV, proposte di legge ed episodi di cronaca).

Conseguenze e soluzioni

I discorsi d’odio e omofobi, come evidenzia la letteratura da anni a questa parte, contribuisce a creare un ambiente sistematicamente ostile all’inclusione sociale e può sfociare in atti di aggressione e violenza fisica.

Ma uno degli aspetti peggiori, si legge nel rapporto, è che “se, da una parte, la comunità LGBTQ+ è un bersaglio comune, dall’altra non è però un fronte comune. Frequenti, infatti, sono gli episodi di omofobia interiorizzata rivolti soprattutto ai gay (ritenuti) effeminati dai gay (autoproclamati) maschili. Questo non fa che alimentare il percepito che un certo tipo di immaginario – se viene utilizzato anche da coloro che, per primi, dovrebbero combatterlo dall’interno – sia impugnabile a maggior ragione all’esterno, contribuendo al suo radicamento”.

Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, partecipa alla parata del Pride a Roma

Questo genere di scenario “finisce con il fagocitare qualunque tipo di contro-narrazione, specialmente laddove venga confinata ai soli mesi del Pride”. E proprio per questo, la soluzione non può che essere socialmente diffusa: “Aziende, istituzioni e singoli cittadini – inclusi opinion leader e influencer – devono, pertanto, promuovere iniziative in modo continuativo durante l’intero arco di un anno, rivolgendosi a target diversi con obiettivi diversi”.

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Se prendiamo le 20 parole d’odio più frequenti rivolte alla comunità LGBTQ+ e analizziamo quante volte vengono pubblicate online, scopriamo che ogni mese, in Italia, vengono pubblicati online 5.300 contenuti con insulti omofobi. E durante il mese del Pride arrivano a 6.600, il 25 per cento in più. È quanto emerge dall’analisi “The Dark Side of Pride”, di dentsu Italia. “La fotografia che ci viene mostrata – si legge nel rapporto – non parla solo di odio e omofobia, ma anche di omofobia interiorizzata, ovvero della accettazione passiva (consapevole, ma soprattutto inconsapevole) da parte di persone omosessuali di tutti i pregiudizi, i comportamenti e le opinioni discriminatorie tipici della cultura omofoba in cui siamo immersi”.
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Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, partecipa alla parata del Pride a Roma
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