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Home » Attualità » La scrittrice e attivista Opal Lee: “Nessuno di noi è libero finché non lo siamo tutti”

La scrittrice e attivista Opal Lee: “Nessuno di noi è libero finché non lo siamo tutti”

Quasi un secolo di vita dedicato alla lotta per i diritti dei neri: la "nonna di Juneteenth" era tra i candidati per il Nobel per la Pace

Nicolò Guelfi
9 Ottobre 2022
Opal Lee, da sempre si batte per i diritti civili (Instagram)

Opal Lee, da sempre si batte per i diritti civili (Instagram)

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Quasi un secolo di vita dedicato alla lotta per i diritti. Opal Lee, la “nonna di Juneteenth” ha attraversato gli anni della segregazione, ha ascoltato le parole di Martin Luther King e di Malcolm X, ha visto almeno quattro generazioni di attivisti battersi per per i diritti dei neri.

Opal Lee, consulente e attivista americana (Instagram)
Opal Lee, consulente e attivista americana (Instagram)

Negli ultimi anni la sua vita è stata legata a una festa e all’idea che potesse essere celebrata da tutti: il Juneteenth. La ricorrenza è poco nota qui da noi in Italia, ma riveste un’importanza centrale per la comunità afroamericana, e le cui radici affondano fino nella Guerra di Secessione. L’impegno civile di Opal l’ha resa un’istituzione oltreoceano, al punto da inserirla nella rosa dei papabili per il premio Nobel per la Pace, assegnato a Oslo il 7 ottobre all’attivista bielorusso Ales Bialiatski e a due organizzazioni umanitarie, una russa e una ucraina, il Russiàs Memorial e l’Ukrainès Center for civil Liberties.

 

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Un post condiviso da Opal Lee (@therealopallee)

 

Il Juneteenth in apparenza è una festa come le altre: si mangia si beve, si sta in famiglia, ma il suo valore simbolico e l’esercizio del ricordo sono elementi chiave. Cade il 19 giugno – il nome deriva letteralmente dall’unione delle parole “June” e “nineteenth” – e ricorda il giorno in cui la notizia dell’abolizione della schiavitù negli Usa arrivò in Texas. Il presidente Abraham Lincoln aveva già firmato il Proclama di Emancipazione nel 1863, ma in un mondo senza internet o telefoni le notizie giravano a passo di marcia. A causa della guerra tra l’Unione dei nordisti e la Confederazione dei sudisti, della lontananza geografica e dei cattivi collegamenti, la nuova legge impiegò molto tempo per arrivare in ogni propaggine del Paese. A giugno del 1865 il generale Gordon Granger entrò a Galveston, città dello Stato dalla stella solitaria, e lesse l’Ordine generale numero 3, proclamando la libertà di tutti i neri. Nessuno, in quei due anni e mezzo, aveva saputo la notizia. Migliaia di schiavi scoprirono in un solo giorno di non essere più merce, ma persone.

“Opal Lee e il significato della Libertà”

Quel giorno resta nella memoria di tutti gli afroamericani, i quali cominciarono a festeggiarlo già dell’anno successivo. Prima si diffuse in Texas, poi negli Stati limitrofi e dopo in tutto il sud. Il 1° gennaio 1980 venne riconosciuto ufficialmente come giorno di festa proprio in Texas da dove tutto ebbe inizio. 40 anni dopo, la stessa decisione era stata adottata da 47 Stati su 50. Opal Lee ha fatto un grande lavoro per raccontare la storia della sua gente, ricevendo spesso attacchi e insulti da parte dell’America più intransigente. Quando era solo una bambina, vide la sua casa data alle fiamme. Gli autori del gesto erano tutti bianchi e nessuno di loro venne mai punito. Il 15 giugno 2021 il Senato e il Congresso degli Stati uniti hanno votato una proposta di legge per far diventare il Juneteenth una festa nazionale in ricordo della fine della schiavitù. Il presidente Joe Biden ha firmato la proposta trasformandola in legge mentre la nonna Opal Lee è al suo fianco.

Nata a Marshall nel 1926, Lee non custodisce solo ciò che i suoi occhi hanno visto nell’arco di un secolo, ma anche ciò che i suoi avi le hanno raccontato. Suo nonno, Zachrah Broadous Senior, era proprio il figlio di una schiava. Opal imparò grazie a lui la storia del presidente Lincoln e quella del generale Granger. La sua missione per far riconoscere la festa in tutti gli Stati è cominciata nel 2016, conferendole il soprannome di “nonna del Juneteenth”. A 96 anni, la frase che ama spesso ripetere è un monito che spiega la peculiarità e al contempo l’universalità della sua battaglia: “Nessuno di noi è libero finché non lo siamo tutti, e ancora non lo siamo”.

Opal Lee (Instagram)
Opal Lee (Instagram)

La storia della festa e quella di Nonna Opal sono contenute nel libro illustrato “Opal Lee e il significato della libertà”, tradotto in italiano da Angelica Perrini per la collana Figli di Papà di Eternity (Gruppo Alise Editore). L’autrice. Alice Faye Duncan scrive libri illustrati dedicati alle biografie di artisti neri e momenti della storia americana poco raccontati. Il suo volume Memphis, Martin and the Mountaintop nel 2019 ha vinto una medaglia d’onore per la categoria Illustratori al Premio Coretta Scott King, assegnato annualmente per onorare autori e illustratori afroamericani eccellenti che nei loro libri per bambini e ragazzi dimostrano di apprezzare la cultura afroamericana e i valori umani universali. I disegni invece sono di Keturah A. Bobo, illustratrice bestseller del New York Times.

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Instagram

  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
  • La tolleranza, l’inclusione e il rispetto svaniscono nel momento in cui ci si mette davanti alla tastiera di un computer. Gli haters non sono spariti né accennano a diminuire. Esistono, sono molti più di prima, attaccano e anzi rilanciano. Oltre lo schermo, sono le donne soprattutto, e poi le persone con disabilità e le persone omosessuali, a essere i destinatari di insulti e offese di ogni tipo.

È questo il triste podio che ci consegna la ricerca condotta da Vox, Osservatorio italiano sui diritti, che ha fotografato l’odio via social, in particolare attraverso l’esame dei tweet. E le cose non vanno meglio rispetto all’anno precedente, anzi. Dalla settima edizione di questa ricerca è emerso infatti che nel 2022, da gennaio a ottobre, sono stati estratti quasi 630mila tweet, 583mila dei quali negativi, pari al 93% del totale, mentre invece l’anno prima i tweet presi in esame erano stati poco più di 797mila, 550mila dei quali erano negativi, cioè il 69% del totale.

Le donne si confermano essere il bersaglio numero uno, seguite appunto dalle persone con disabilità e dalle persone omosessuali, tornate nuovamente al centro del mirino, e non solo di quello che fa riferimento all’hate speech.

Oltre agli onnipresenti atteggiamenti di body shaming, molti attacchi hanno avuto come contenuto la competenza e la professionalità delle donne stesse. E, dunque, è il lavoro delle donne a emergere anche quest’anno quale co-fattore scatenante lo hate speech misogino, a conferma di una tendenza già rilevata lo scorso anno. Quanto alle persone con disabilità, risultata la seconda categoria più colpita.

Per quanto concerne invece gli stranieri e i migranti, la categoria sociale con una percentuale più alta di incremento di tweet negativi all’interno del cluster rispetto al 2021. Anche qui, va sottolineata la forte attenzione mediatica che si accende sugli sbarchi dei migranti e sulla situazione dei profughi provenienti dall’Ucraina, nonché dal contesto politico italiano e dalla sua relazione con l’Unione europea circa la gestione della situazione migratoria.

📲Come difendersi? Qual è la cura contro l
  • “Sesso. Libertà. Uguaglianza. Amore in tutti i sensi. E tutti a tavola!”. È il messaggio che Rosa Chemical, all’anagrafe Manuel Franco Rocati, porta a Sanremo 2023 per quello che sarà il suo esordio al festival con il brano “Made in Italy”.

Il rapper classe 1998, arriva da debuttante, ma con una storia già ben definita alle spalle. Poliedrico, eclettico, difficilmente etichettabile, ha dato sfogo alla sua creatività non solo a livello musicale – con influenze che spaziano dall’hiphop alla trap all’elettronica -, ma lavorando anche come modello per Gucci, come art and creative director e dedicandosi anche alla scrittura di videoclip. 

Nel 2019 ha pubblicato “Forever”, il suo primo album, che è stato certificato disco d’oro, da lì una serie di collaborazioni che lo hanno portato anche ad affiancare Tananai l’anno scorso nella serata cover del Festival.

“Molto spesso sono giudicato perché diverso, ma dal diverso bisogna imparare, assorbire. In Italia invece ciò che è diverso è giudicato. E io da diverso in passato mi sono sentito sbagliato” racconta Rosa Chemical. 

Non a caso, a Sanremo, il 25enne paladino della libertà di essere se stessi senza farsi condizionare dalle norme della società, arriva con il brano “Made in Italy” e un obiettivo ben preciso: “portare un messaggio di libertà contro ogni tipo di discriminazione, per promuovere l’uguaglianza e il rispetto. Cerco di creare dibattito: sono sempre pronto a spiegare il mio punto di vista, ma se non c’è apertura mentale non mi sento di dover dire nulla”.

Il brano “È piedi, con cui calpestare ciò che è generalista e che chiude tutto dentro una gabbia fatta di tabù. ‘Made in Italy vuole’ liberarci dalle censure, dagli stereotipi e dal politicamente corretto”. 

Come il titolo e la copertina, anche il testo è provocatorio e racchiude al suo interno tutta l’essenza e l’irriverenza prorompente di Rosa Chemical perché parla in maniera sfrontata di temi ancora oggi considerati tabù come il sesso, la fluidità e il poliamore. 

“Non c’è cosa più ‘Made in Italy’ del Festival di Sanremo. Non vedo l’ora di salire su quel palco”.

#lucenews #sanremo2023 #rosachemical
Quasi un secolo di vita dedicato alla lotta per i diritti. Opal Lee, la "nonna di Juneteenth" ha attraversato gli anni della segregazione, ha ascoltato le parole di Martin Luther King e di Malcolm X, ha visto almeno quattro generazioni di attivisti battersi per per i diritti dei neri.
Opal Lee, consulente e attivista americana (Instagram)
Opal Lee, consulente e attivista americana (Instagram)
Negli ultimi anni la sua vita è stata legata a una festa e all’idea che potesse essere celebrata da tutti: il Juneteenth. La ricorrenza è poco nota qui da noi in Italia, ma riveste un’importanza centrale per la comunità afroamericana, e le cui radici affondano fino nella Guerra di Secessione. L’impegno civile di Opal l’ha resa un’istituzione oltreoceano, al punto da inserirla nella rosa dei papabili per il premio Nobel per la Pace, assegnato a Oslo il 7 ottobre all'attivista bielorusso Ales Bialiatski e a due organizzazioni umanitarie, una russa e una ucraina, il Russiàs Memorial e l’Ukrainès Center for civil Liberties.
 
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Un post condiviso da Opal Lee (@therealopallee)

  Il Juneteenth in apparenza è una festa come le altre: si mangia si beve, si sta in famiglia, ma il suo valore simbolico e l’esercizio del ricordo sono elementi chiave. Cade il 19 giugno – il nome deriva letteralmente dall’unione delle parole "June" e "nineteenth" – e ricorda il giorno in cui la notizia dell’abolizione della schiavitù negli Usa arrivò in Texas. Il presidente Abraham Lincoln aveva già firmato il Proclama di Emancipazione nel 1863, ma in un mondo senza internet o telefoni le notizie giravano a passo di marcia. A causa della guerra tra l’Unione dei nordisti e la Confederazione dei sudisti, della lontananza geografica e dei cattivi collegamenti, la nuova legge impiegò molto tempo per arrivare in ogni propaggine del Paese. A giugno del 1865 il generale Gordon Granger entrò a Galveston, città dello Stato dalla stella solitaria, e lesse l’Ordine generale numero 3, proclamando la libertà di tutti i neri. Nessuno, in quei due anni e mezzo, aveva saputo la notizia. Migliaia di schiavi scoprirono in un solo giorno di non essere più merce, ma persone.
"Opal Lee e il significato della Libertà"
Quel giorno resta nella memoria di tutti gli afroamericani, i quali cominciarono a festeggiarlo già dell’anno successivo. Prima si diffuse in Texas, poi negli Stati limitrofi e dopo in tutto il sud. Il 1° gennaio 1980 venne riconosciuto ufficialmente come giorno di festa proprio in Texas da dove tutto ebbe inizio. 40 anni dopo, la stessa decisione era stata adottata da 47 Stati su 50. Opal Lee ha fatto un grande lavoro per raccontare la storia della sua gente, ricevendo spesso attacchi e insulti da parte dell’America più intransigente. Quando era solo una bambina, vide la sua casa data alle fiamme. Gli autori del gesto erano tutti bianchi e nessuno di loro venne mai punito. Il 15 giugno 2021 il Senato e il Congresso degli Stati uniti hanno votato una proposta di legge per far diventare il Juneteenth una festa nazionale in ricordo della fine della schiavitù. Il presidente Joe Biden ha firmato la proposta trasformandola in legge mentre la nonna Opal Lee è al suo fianco. Nata a Marshall nel 1926, Lee non custodisce solo ciò che i suoi occhi hanno visto nell’arco di un secolo, ma anche ciò che i suoi avi le hanno raccontato. Suo nonno, Zachrah Broadous Senior, era proprio il figlio di una schiava. Opal imparò grazie a lui la storia del presidente Lincoln e quella del generale Granger. La sua missione per far riconoscere la festa in tutti gli Stati è cominciata nel 2016, conferendole il soprannome di “nonna del Juneteenth”. A 96 anni, la frase che ama spesso ripetere è un monito che spiega la peculiarità e al contempo l’universalità della sua battaglia: “Nessuno di noi è libero finché non lo siamo tutti, e ancora non lo siamo”.
Opal Lee (Instagram)
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La storia della festa e quella di Nonna Opal sono contenute nel libro illustrato “Opal Lee e il significato della libertà”, tradotto in italiano da Angelica Perrini per la collana Figli di Papà di Eternity (Gruppo Alise Editore). L'autrice. Alice Faye Duncan scrive libri illustrati dedicati alle biografie di artisti neri e momenti della storia americana poco raccontati. Il suo volume Memphis, Martin and the Mountaintop nel 2019 ha vinto una medaglia d'onore per la categoria Illustratori al Premio Coretta Scott King, assegnato annualmente per onorare autori e illustratori afroamericani eccellenti che nei loro libri per bambini e ragazzi dimostrano di apprezzare la cultura afroamericana e i valori umani universali. I disegni invece sono di Keturah A. Bobo, illustratrice bestseller del New York Times.
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