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Home » Attualità » Patrizia Cavalli, cinque poesie scelte dall’esordio nel 1974 ai versi di “Vita meravigliosa”

Patrizia Cavalli, cinque poesie scelte dall’esordio nel 1974 ai versi di “Vita meravigliosa”

Un omaggio al poeta del Cielo e Datura che rifiutava il nome di poetessa

Sofia Francioni
22 Giugno 2022
Patrizia Cavalli
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La poetessa Patrizia Cavalli, nata a Todi nel 1947 e morta a Roma il 21 giugno, dal suo esordio con Le mie poesie non cambieranno il mondo nel 1974 ha scritto le seguenti raccolte: Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992), riunite poi nel medesimo anno in Poesie (1974-1992) e ancora Sempre aperto teatro (1999), La guardiana (2005), Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013) e Vita meravigliosa (2020)

Patrizia Cavalli, il poeta come si faceva chiamare lei, morta a 75 anni per un cancro

Adesso che il tempo è tutto mio

da Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974)

“Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.

Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.

Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall’alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.
E’ tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.

Essere testimoni di se stessi

da Il cielo (1981)

Essere testimoni di se stessi
sempre in propria compagnia
mai lasciati soli in leggerezza
doversi ascoltare sempre
in ogni avvenimento fisico chimico
mentale, è questa la grande prova
l’espiazione, è questo il male.

L’io singolare proprio mio 

da L’io singolare proprio mio (1999)

Quasi sempre chi è contento è anche volgare;
c’è nella contentezza un pensiero
che ha fretta e non ha tempo per guardare
ma passa via compatto e maniacale
e reca oltraggio volgendosi a chi muore
Avanti con la vita, su, coraggio!

Chi è fermo nel dolore non frequenti
gli allegri e disinvolti corridori
ma solo i passi lenti dei suoi uguali.
Se una ruota s’inceppa e l’altra gira
quella che gira non smette di girare
ma avanza quanto può e trascina l’altra
in una corsa povera e sghimbescia
finché il carretto o si ferma o si rovescia.

Datura

da Datura (2013)

Ma io non voglio andarmene così,
lasciando tutto come ho trovato
in questa scialba geografia che assegna
l’effetto alla sua causa e tutti e due consegna
all’umile solerzia dell’interpretazione.
Un altro è il mio progetto, la mia ambizione
è accogliere la lingua che mi è data
e, oltre il dolore muto, oltre il loquace
suo significato,   giocare alle parole
immaginando, senza un’identità,
una visione. Come di fronte a un fiore
di datura, a quel suo giallo
non propriamente giallo, crema piuttosto,
la stessa crema che ha la pesca bianca,
con brividi di verde trasparente,
ma delicati, piccoli,
il modo di morire al terzo giorno
o meglio, di seccarsi plissettandosi,
pelle di daino, straccetto, guanto,
ala di pipistrello acciaccato, riccioli, rostri,
questa bellezza propriamente sua,
che tutto ciò in se stesso non ci pensi
neppure alla lontana a poter essere
una soltanto di tutte queste cose
che dipenda da me la sua apparenza,
che ne sia io la sola responsabile,
questa è la gioia fiera del mio compito,
qui è il mio valore. Io valgo più del fiore.

Cosa non devo fare

da Vita meravigliosa (2020)

Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.

 

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  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
La poetessa Patrizia Cavalli, nata a Todi nel 1947 e morta a Roma il 21 giugno, dal suo esordio con Le mie poesie non cambieranno il mondo nel 1974 ha scritto le seguenti raccolte: Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992), riunite poi nel medesimo anno in Poesie (1974-1992) e ancora Sempre aperto teatro (1999), La guardiana (2005), Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013) e Vita meravigliosa (2020)
Patrizia Cavalli, il poeta come si faceva chiamare lei, morta a 75 anni per un cancro

Adesso che il tempo è tutto mio

da Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974) "Adesso che il tempo sembra tutto mio e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena, adesso che posso rimanere a guardare come si scioglie una nuvola e come si scolora, come cammina un gatto per il tetto nel lusso immenso di una esplorazione, adesso che ogni giorno mi aspetta la sconfinata lunghezza di una notte dove non c’è richiamo e non c’è più ragione di spogliarsi in fretta per riposare dentro l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta, adesso che il mattino non ha mai principio e silenzioso mi lascia ai miei progetti a tutte le cadenze della voce, adesso vorrei improvvisamente la prigione. Quante tentazioni attraverso nel percorso tra la camera e la cucina, tra la cucina e il cesso. Una macchia sul muro, un pezzo di carta caduto in terra, un bicchiere d’acqua, un guardar dalla finestra, ciao alla vicina, una carezza alla gattina. Così dimentico sempre l’idea principale, mi perdo per strada, mi scompongo giorno per giorno ed è vano tentare qualsiasi ritorno. Addosso al viso mi cadono le notti e anche i giorni mi cadono sul viso. Io li vedo come si accavallano formando geografie disordinate: il loro peso non è sempre uguale, a volte cadono dall’alto e fanno buche, altre volte si appoggiano soltanto lasciando un ricordo un po’ in penombra. Geometra perito io li misuro li conto e li divido in anni e stagioni, in mesi e settimane. Ma veramente aspetto in segretezza di distrarmi nella confusione perdere i calcoli, uscire di prigione ricevere la grazia di una nuova faccia. E’ tutto così semplice, sì, era così semplice, è tale l’evidenza che quasi non ci credo. A questo serve il corpo: mi tocchi o non mi tocchi, mi abbracci o mi allontani. Il resto è per i pazzi.

Essere testimoni di se stessi

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L'io singolare proprio mio 

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Datura

da Datura (2013) Ma io non voglio andarmene così, lasciando tutto come ho trovato in questa scialba geografia che assegna l’effetto alla sua causa e tutti e due consegna all’umile solerzia dell’interpretazione. Un altro è il mio progetto, la mia ambizione è accogliere la lingua che mi è data e, oltre il dolore muto, oltre il loquace suo significato,   giocare alle parole immaginando, senza un’identità, una visione. Come di fronte a un fiore di datura, a quel suo giallo non propriamente giallo, crema piuttosto, la stessa crema che ha la pesca bianca, con brividi di verde trasparente, ma delicati, piccoli, il modo di morire al terzo giorno o meglio, di seccarsi plissettandosi, pelle di daino, straccetto, guanto, ala di pipistrello acciaccato, riccioli, rostri, questa bellezza propriamente sua, che tutto ciò in se stesso non ci pensi neppure alla lontana a poter essere una soltanto di tutte queste cose che dipenda da me la sua apparenza, che ne sia io la sola responsabile, questa è la gioia fiera del mio compito, qui è il mio valore. Io valgo più del fiore.

Cosa non devo fare

da Vita meravigliosa (2020) Cosa non devo fare per togliermi di torno la mia nemica mente: ostilità perenne alla felice colpa di esser quel che sono, il mio felice niente.  
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