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Home » Attualità » “Per guarire devi fare sesso con me”: Anna Maria, una delle vittime del ginecologo “bonificatore”

“Per guarire devi fare sesso con me”: Anna Maria, una delle vittime del ginecologo “bonificatore”

La vergogna, lo schifo: resta agli arresti il ginecologo arrestato il 30 novembre scorso per violenza sessuale aggravata. Rapporti sessuali come cura

Letizia Cini
27 Dicembre 2021
Anche Anna Maria ha rotto il muro del silenzio

Anche Anna Maria ha rotto il muro del silenzio

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La storia di Anna Maria

“Mi disse che potevo guarire dal papilloma virus facendo sesso con lui”. Anna Maria è la donna di 33 anni ha rotto il muro del silenzio. Il suo racconto ha fatto scattare l’inchiesta, che ha portato all’arresto del ginecologo barese le aveva diagnosticato il papilloma virus nonostante il suo Pap test fosse risultato negativo. Stando alla donna, le disse che solo lui e “un’altra persona di Roma“ avrebbero potuto guarirla e solo “con un rapporto sessuale.

“Per stare bene – diceva – serve la ’bonifica’ di uomini vaccinati“, diceva Giovanni Miniello, che si definica con lei il “bonificatore”. Poi, sempre secondo la testimonianza di Anna Maria, lui le avrebbe dato un appuntamento. È a quel punto che la donna si spaventa e decide di chiamare Le Iene “per non rimanere sola“ in quella storia. Un timore legato alla figura del ginecologo, il quale, nonostante l’abitudine a questi ricatti, rimaneva un dottore stimato e una personalità rispettata nella città.

Dopo l’apertura del fascicolo da parte della Procura e dell’ordine dei medici, sono arrivate decine di segnalazioni. E la giustizia sta facendo il suo corso: resta infatti detenuto agli arresti domiciliari il ginecologo barese Giovanni Miniello, arrestato il 30 novembre scorso per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti.

Il Tribunale del Riesame di Bari ha rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare presentata dalla difesa di Miniello, confermando gli arresti domiciliari. I giudici, hanno rigettato l’istanza di riesame riservandosi 45 giorni per depositare le motivazioni. Nell’inchiesta il professionista è accusato di aver proposto ad alcune pazienti rapporti sessuali con lui come cura per il papilloma virus e come prevenzione per il tumore dell’utero e di aver poi abusato di loro durante le visite ginecologiche.

È infatti così il ginecologo raggirava le pazienti: attirava le donne nel suo studio forte della sua reputazione in città. Ma dopo l’apertura dell’inchiesta sono decine le segnalazioni arrivate alla procura e all’ordine dei medici, Giovanni Miniello resta detenuto agli arresti domiciliari per degli abusi sessuali che avrebbe messo in pratica contro alcune delle sue pazienti. Donne come Anna Maria, che hanno raccontato il loro dolore.

La storia di Maria

“A vent’anni ero una canna al vento. Solo 5 anni di analisi freudiana mi hanno poi riportato alla realtà”. Inizia così il racconto di Maria, una delle centinaia, migliaia di vittime di violenza che si contano ogni anno nel nostro Paese. Con la campagna lanciata da Eva Dal Canto a cui Luce! ha subito aderito ci facciamo testimoni e specchio delle loro voci e testimonianze. Perché riuscire a parlare di un abuso subito è doloroso, richiede tempo, a volte non ci si riesce mai. Non è una colpa, non sminuisce quello che queste donne hanno subito. Così come non è una loro colpa quello che hanno subìto. La storia di Maria è accaduta a Milano, “Una sera d’estate chiesi un passaggio dal centro a casa. Ancora c’era luce, era giugno. Non so perché mi fidassi così della gente”. Una ragazza che cerca un passaggio, innocente. Ma quello che le è successo, di innocente, non ha nulla. “Questo diceva di essere un avvocato, avrà avuto 50 anni. Io abitavo, in linea d’aria, vicino a Linate. Anziché voltare per il mio quartiere andò nelle campagne vicine. Si fermò vicino ad un canale. Se avessi aperto la portiera sarei caduta in acqua, così alla fine feci un ragionamento: era meglio essere consenziente e magari non morire”.

Aveva capito quello che stava per accadere, nella sua testa i pensieri si affollavano. “Io ero sola, lui era un uomo, aveva la macchina e non lo conoscevo. Mi violentò e glielo lasciai fare anzi, cercai di farmelo piacere ma non fu così. Poi mi riportò a casa. Il giorno dopo lo trovai sotto casa perché mi voleva dare una catenina che avevo perso nella sua auto, ma io andai dritta. Non lo dissi mai a nessuno. In fondo ero salita io in auto. Non solo, non mi ero nemmeno tanto ribellata”. Un senso di colpa che la attanaglia fin da subito, impedendole di parlare, impedendole di affrontare anche le emozioni provate, il dolore, la paura, la rabbia… “Io poi ero quella che ero in quel periodo, anche se non ho mai veramente toccato il fondo perché volevo vivere. Mi rendo conto che mi sto giustificando anche con te (Letizia Cini ndr, che aveva raccontato qui la sua esperienza e che qualche settimana fa ha rilanciato l’appello alle donne durante il programma di RaiUno “Storie Italiane”) eppure proprio con te non lo dovrei fare!”. “Non ricordo nemmeno cosa feci il giorno dopo. Probabilmente le stesse cose senza senso che facevo in quel periodo. Nessuno mi avrebbe creduta. Mi vergogno terribilmente di quella che sono stata in quel brevissimo periodo. Non me lo perdono e in fondo mi dico, ben ti sta”.

La vicenda di Marina

Anche Marina, milanese di 60 anni, ci scrive. Era una bimba quando ha incontrato l’orco fra le pareti domestiche: il giorno dopo averlo finalmente raccontato a sua madre, ha preso il treno per Milano. Avevo 12 anni ed ero una vera bambina. Sarei poi sviluppata a 14 anni. Ogni estate la trascorrevo nel Veneto, da mio nonno, in una casa colonica. Dopo pranzo tutti facevano un riposino e io salivo in camera anche se poi non dormivo. In quei giorni era venuta da Milano anche la sorella di mia mamma col marito. Quel pomeriggio anche lui era salito in camera per riposarsi. Io ero nel mio letto e lui mi invitò a sedermi accanto a lui. Mi chiese se mi ricordavo quando da piccola mi portava a giocare sotto gli alberi. Io (fortunatamente) non ricordavo nulla. Mi guardava in modo strano e mentre parlava mi infilava la sua mano tra il braccio e il petto, sotto l’ascella. Proprio lì dove mi sarebbe poi cresciuto il seno. Capivo che non doveva fare così e cercavo ogni scusa per scappare. Ad un certo punto mia mamma salì in camera e io le dissi: “Mamma , è vero che devo scendere per fare gli impacchi all’occhio?” Avevo un orzaiolo. Lei mi disse però che potevo aspettare. Presi allora una gonnellina verde, tanto per prendere tempo. Era di sua figlia , mia cugina ed era passata a me visto che ero più piccola. Gli chiesi se si ricordasse quella gonna. Volevo che pensasse che anche lui aveva avuto una bambina. Mio papà era morto da due anni e mi sentivo debole. Di sicuro lo zio non avrebbe mai fatto questo a me se mio padre fosse stato in vita perché lo avrebbe temuto. Almeno… questo io allora pensavo. Riuscii a scappare. Il giorno dopo voleva darci un passaggio a Milano in auto. Mia madre forse capì qualcosa quando dissi che io in macchina con lo zio non ci volevo andare. Non avevo il coraggio di parlare. Ogni volta che accadeva qualcosa del genere sentivo che gli adulti incolpavano sempre le femmine. Quando mia madre ormai stava per morire (io avevo 46 anni) glielo raccontai e lei mi disse che se sua sorella lo avesse saputo, lo avrebbe ucciso. Una “palpatina” così banale così ferma nella mia mente: ho provato tanto schifo e paura. Il giorno dopo presi il treno per Milano.

La campagna #ilgiornodopo: scriveteci a redazione@luce.news.it

Rigraziamo Maria e Marina per aver condiviso con Luce! le loro storie terribili, ingiuste, strazienti. Parlarne, fa sentire tutti meno soli. Storie che anche oggi ci danno l’occasione per ribadire forte e chiaro che NON è colpa della vittima se viene molestata, violentata, abusata in qualsiasi modo. Rilanciamo forte il nostro messaggio di vicinanza, di solidarietà e di ascolto verso tutte queste persone, e le invitiamo, se vogliono, a condividere con i nostri lettori le loro storie, per uscire dal silenzio e scoprire che la loro forza può dare speranza e coraggio a tante altre vittime. Come Eva Dal Canto, la prima a lanciare la campagna, come reazione al video di Beppe Grillo  in cui questi cercava di scagionare il figlio Ciro indagato per stupro, come Letizia, come Valentina, Claudia, Francesca e tante altre. Se volete condividere la vostra testimonianza, e partecipare alla campagna #ilgiornodopo, scriveteci a redazione@luce.news.it

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia

La storia di Anna Maria

“Mi disse che potevo guarire dal papilloma virus facendo sesso con lui". Anna Maria è la donna di 33 anni ha rotto il muro del silenzio. Il suo racconto ha fatto scattare l’inchiesta, che ha portato all’arresto del ginecologo barese le aveva diagnosticato il papilloma virus nonostante il suo Pap test fosse risultato negativo. Stando alla donna, le disse che solo lui e “un’altra persona di Roma“ avrebbero potuto guarirla e solo “con un rapporto sessuale. "Per stare bene - diceva - serve la ’bonifica’ di uomini vaccinati", diceva Giovanni Miniello, che si definica con lei il "bonificatore". Poi, sempre secondo la testimonianza di Anna Maria, lui le avrebbe dato un appuntamento. È a quel punto che la donna si spaventa e decide di chiamare Le Iene “per non rimanere sola“ in quella storia. Un timore legato alla figura del ginecologo, il quale, nonostante l’abitudine a questi ricatti, rimaneva un dottore stimato e una personalità rispettata nella città. Dopo l’apertura del fascicolo da parte della Procura e dell’ordine dei medici, sono arrivate decine di segnalazioni. E la giustizia sta facendo il suo corso: resta infatti detenuto agli arresti domiciliari il ginecologo barese Giovanni Miniello, arrestato il 30 novembre scorso per violenza sessuale aggravata nei confronti di due pazienti. Il Tribunale del Riesame di Bari ha rigettato l’istanza di revoca della misura cautelare presentata dalla difesa di Miniello, confermando gli arresti domiciliari. I giudici, hanno rigettato l’istanza di riesame riservandosi 45 giorni per depositare le motivazioni. Nell’inchiesta il professionista è accusato di aver proposto ad alcune pazienti rapporti sessuali con lui come cura per il papilloma virus e come prevenzione per il tumore dell’utero e di aver poi abusato di loro durante le visite ginecologiche. È infatti così il ginecologo raggirava le pazienti: attirava le donne nel suo studio forte della sua reputazione in città. Ma dopo l’apertura dell’inchiesta sono decine le segnalazioni arrivate alla procura e all’ordine dei medici, Giovanni Miniello resta detenuto agli arresti domiciliari per degli abusi sessuali che avrebbe messo in pratica contro alcune delle sue pazienti. Donne come Anna Maria, che hanno raccontato il loro dolore.

La storia di Maria

"A vent'anni ero una canna al vento. Solo 5 anni di analisi freudiana mi hanno poi riportato alla realtà". Inizia così il racconto di Maria, una delle centinaia, migliaia di vittime di violenza che si contano ogni anno nel nostro Paese. Con la campagna lanciata da Eva Dal Canto a cui Luce! ha subito aderito ci facciamo testimoni e specchio delle loro voci e testimonianze. Perché riuscire a parlare di un abuso subito è doloroso, richiede tempo, a volte non ci si riesce mai. Non è una colpa, non sminuisce quello che queste donne hanno subito. Così come non è una loro colpa quello che hanno subìto. La storia di Maria è accaduta a Milano, "Una sera d'estate chiesi un passaggio dal centro a casa. Ancora c'era luce, era giugno. Non so perché mi fidassi così della gente". Una ragazza che cerca un passaggio, innocente. Ma quello che le è successo, di innocente, non ha nulla. "Questo diceva di essere un avvocato, avrà avuto 50 anni. Io abitavo, in linea d'aria, vicino a Linate. Anziché voltare per il mio quartiere andò nelle campagne vicine. Si fermò vicino ad un canale. Se avessi aperto la portiera sarei caduta in acqua, così alla fine feci un ragionamento: era meglio essere consenziente e magari non morire". Aveva capito quello che stava per accadere, nella sua testa i pensieri si affollavano. "Io ero sola, lui era un uomo, aveva la macchina e non lo conoscevo. Mi violentò e glielo lasciai fare anzi, cercai di farmelo piacere ma non fu così. Poi mi riportò a casa. Il giorno dopo lo trovai sotto casa perché mi voleva dare una catenina che avevo perso nella sua auto, ma io andai dritta. Non lo dissi mai a nessuno. In fondo ero salita io in auto. Non solo, non mi ero nemmeno tanto ribellata". Un senso di colpa che la attanaglia fin da subito, impedendole di parlare, impedendole di affrontare anche le emozioni provate, il dolore, la paura, la rabbia... "Io poi ero quella che ero in quel periodo, anche se non ho mai veramente toccato il fondo perché volevo vivere. Mi rendo conto che mi sto giustificando anche con te (Letizia Cini ndr, che aveva raccontato qui la sua esperienza e che qualche settimana fa ha rilanciato l'appello alle donne durante il programma di RaiUno "Storie Italiane") eppure proprio con te non lo dovrei fare!". "Non ricordo nemmeno cosa feci il giorno dopo. Probabilmente le stesse cose senza senso che facevo in quel periodo. Nessuno mi avrebbe creduta. Mi vergogno terribilmente di quella che sono stata in quel brevissimo periodo. Non me lo perdono e in fondo mi dico, ben ti sta".

La vicenda di Marina

Anche Marina, milanese di 60 anni, ci scrive. Era una bimba quando ha incontrato l'orco fra le pareti domestiche: il giorno dopo averlo finalmente raccontato a sua madre, ha preso il treno per Milano. Avevo 12 anni ed ero una vera bambina. Sarei poi sviluppata a 14 anni. Ogni estate la trascorrevo nel Veneto, da mio nonno, in una casa colonica. Dopo pranzo tutti facevano un riposino e io salivo in camera anche se poi non dormivo. In quei giorni era venuta da Milano anche la sorella di mia mamma col marito. Quel pomeriggio anche lui era salito in camera per riposarsi. Io ero nel mio letto e lui mi invitò a sedermi accanto a lui. Mi chiese se mi ricordavo quando da piccola mi portava a giocare sotto gli alberi. Io (fortunatamente) non ricordavo nulla. Mi guardava in modo strano e mentre parlava mi infilava la sua mano tra il braccio e il petto, sotto l’ascella. Proprio lì dove mi sarebbe poi cresciuto il seno. Capivo che non doveva fare così e cercavo ogni scusa per scappare. Ad un certo punto mia mamma salì in camera e io le dissi: "Mamma , è vero che devo scendere per fare gli impacchi all'occhio?" Avevo un orzaiolo. Lei mi disse però che potevo aspettare. Presi allora una gonnellina verde, tanto per prendere tempo. Era di sua figlia , mia cugina ed era passata a me visto che ero più piccola. Gli chiesi se si ricordasse quella gonna. Volevo che pensasse che anche lui aveva avuto una bambina. Mio papà era morto da due anni e mi sentivo debole. Di sicuro lo zio non avrebbe mai fatto questo a me se mio padre fosse stato in vita perché lo avrebbe temuto. Almeno… questo io allora pensavo. Riuscii a scappare. Il giorno dopo voleva darci un passaggio a Milano in auto. Mia madre forse capì qualcosa quando dissi che io in macchina con lo zio non ci volevo andare. Non avevo il coraggio di parlare. Ogni volta che accadeva qualcosa del genere sentivo che gli adulti incolpavano sempre le femmine. Quando mia madre ormai stava per morire (io avevo 46 anni) glielo raccontai e lei mi disse che se sua sorella lo avesse saputo, lo avrebbe ucciso. Una "palpatina" così banale così ferma nella mia mente: ho provato tanto schifo e paura. Il giorno dopo presi il treno per Milano.

La campagna #ilgiornodopo: scriveteci a redazione@luce.news.it

Rigraziamo Maria e Marina per aver condiviso con Luce! le loro storie terribili, ingiuste, strazienti. Parlarne, fa sentire tutti meno soli. Storie che anche oggi ci danno l'occasione per ribadire forte e chiaro che NON è colpa della vittima se viene molestata, violentata, abusata in qualsiasi modo. Rilanciamo forte il nostro messaggio di vicinanza, di solidarietà e di ascolto verso tutte queste persone, e le invitiamo, se vogliono, a condividere con i nostri lettori le loro storie, per uscire dal silenzio e scoprire che la loro forza può dare speranza e coraggio a tante altre vittime. Come Eva Dal Canto, la prima a lanciare la campagna, come reazione al video di Beppe Grillo  in cui questi cercava di scagionare il figlio Ciro indagato per stupro, come Letizia, come Valentina, Claudia, Francesca e tante altre. Se volete condividere la vostra testimonianza, e partecipare alla campagna #ilgiornodopo, scriveteci a redazione@luce.news.it

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