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Da sinistra, Beatrice Lorenzin, Marianna Madia e Maria Stella Gelmini
“Sei incinta? Sei malata? Dimettiti dal consiglio comunale”. Le parole della consigliera di Fratelli d’Italia Silvia Colombo, pronunciate nella sala consigliare del Comune di Treviglio, hanno accesso le polemiche. La consigliera – che poi si è dimessa – rispondeva a Matilde Tura, capogruppo del Partito democratico, che aveva chiesto sedute da remoto per le “consigliere con gravidanza a rischio” e per “i neogenitori”. La notizia – inizialmente locale – ha messo in luce come la maternità possa essere ancora vista come un limite nel contesto della carriera politica. E invita a riflettere sul fatto che la gestione della maternità in politica non debba essere un ostacolo alla partecipazione attiva delle donne nelle istituzioni, ma che possa essere anzi una risorsa.
In un’epoca in cui la parità di genere è un tema centrale, questo episodio si inserisce in un dibattito più ampio: come conciliare impegni istituzionali e vita familiare senza penalizzare chi, per scelta o per circostanze, diventa madre? Nel panorama internazionale, esempi da paesi esteri, ad esempio quelli scandinavi, mostrano che è possibile adottare politiche flessibili e inclusive, capaci di trasformare la maternità in una risorsa e non in una barriera. Qual è invece la situazione italiana?
Ma qual è la situazione italiana?
Le statistiche mostrano che, sebbene la presenza delle donne in politica stia crescendo, le madri che occupano cariche istituzionali continuano a dover fronteggiare notevoli ostacoli. Secondo i dati Istat, se da un lato la rappresentanza femminile nelle istituzioni italiane è in aumento, dall’altro persistono ancora barriere culturali e normative che penalizzano chi deve conciliare impegni politici e responsabilità familiari. Dati che evidenziano come il contesto italiano richieda ancora un profondo ripensamento sul ruolo delle madri in politica.
Perché è importante che le madri entrino in politica?
La presenza nelle istituzioni politiche di donne che sono o stanno per diventare madri garantisce una rappresentanza in grado di far emergere temi spesso trascurati, come il welfare familiare, l’educazione e il supporto alle dinamiche di cura. Si legge nel Global Gender Gap Report del World Economic Forum che un maggiore coinvolgimento femminile nei vertici decisionali porta a politiche più inclusive e sensibili alle esigenze quotidiane della società.
La diversità di esperienze e background è cruciale per un sistema politico veramente rappresentativo. Recludere le madri nello spazio domestico e nel luogo di cura toglierebbe alle istituzioni un’esperienza di fondamentale importanza e precluderebbe la possibilità di proporre e attuare politiche relative alla maternità pensate e sviluppate da chi, di maternità, se ne intende più di tutti: le madri. Investire in politiche a sostegno della maternità non solo promuove l’equità di genere, ma arricchisce anche il dibattito politico con nuove idee e prospettive.
Gli esempi virtuosi all’estero
In molti paesi nord-europei politiche di congedo parentale esteso, lavoro flessibile e sistemi di sostituzione temporanea permettono alle donne di conciliare impegni istituzionali e responsabilità familiari, senza dover rinunciare a una carriera politica. In Svezia il sistema garantisce alle coppie fino a 480 giorni di congedo parentale, di cui almeno 90 giorni sono riservati esclusivamente a ciascun genitore, incentivando così sia la partecipazione della madre che quella del padre.
In Norvegia, invece, i genitori possono scegliere tra 49 settimane di congedo retribuito al 100% o 59 settimane a un tasso dell’80%. Una quota specifica, nota come "pappakvote", prevede circa 15 settimane riservate esclusivamente al padre, con l’obiettivo di stimolare un coinvolgimento attivo dei padri nella cura dei figli.
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Tra i grandi Paesi europei, l’esempio più virtuoso è la Spagna, dove il congedo parentale permette a entrambi i genitori fino a 16 settimane retribuite (sei obbligatorie dopo il parto). Può essere preso interamente o frazionato. Esiste anche un congedo non retribuito fino a otto settimane per cura dei figli fino agli otto anni. I diritti valgono per lavoratori dipendenti.
Si legge nel Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum che queste misure hanno contribuito a una maggiore rappresentanza femminile nei vertici decisionali. Un esempio molto discusso viene dalla Nuova Zelanda, dove la prima ministra Jacinda Ardern ha fatto notizia quando, durante il suo mandato, ha dato alla luce la sua bambina prendendosi il congedo di maternità previsto per legge e dimostrando di poter gestire sia le sue responsabilità politiche, sia quelle familiari. Questo episodio ha evidenziato come la leadership politica possa convivere con la maternità, sfidando stereotipi e aprendo la strada a un nuovo modo di intendere il ruolo delle donne in politica.
Anche gli uomini possono fare la loro parte
Il dibattito non dovrebbe riguardare solo le donne. E anche su questo esistono degli esempi virtuosi dall'estero: in Canada, il primo ministro Justin Trudeau ha mostrato concretamente come la leadership possa sposarsi con la vita familiare. Padre di tre figli, ha fatto della sua esperienza genitoriale un motore per riforme che ridefiniscono il congedo parentale. Il suo governo ha introdotto misure volte a garantire un equilibrio più giusto tra impegni istituzionali e vita privata.
La maternità come risorsa
La maternità in politica non dovrebbe essere una barriera, ma una risorsa che arricchisce il panorama politico e prende spunto dall’esperienza diretta delle madri. Come evidenziato negli esempi internazionali, la leadership politica, quando supportata con politiche inclusive e flessibili, come il congedo parentale esteso o il lavoro flessibile, non solo aiuta a garantire un’equilibrata partecipazione, ma favorisce anche una rappresentanza più autentica e completa della società.
La Nuova Zelanda, la Svezia, la Norvegia, e altri paesi scandinavi dimostrano come l’adozione di politiche incisive possa contribuire a una maggiore equità di genere, per un miglior sviluppo delle politiche pubbliche e della vita sociale. anche l’Italia potrebbe fare significativi passi avanti, permettendo alle donne madri di contribuire pienamente alla vita politica, rivitalizzando il dibattito legislativo e dando vita a politiche più vicine alle esigenze reali delle famiglie.
L’inclusività in politica non è solo una questione di parità di genere, ma anche di giustizia sociale e di ottimizzazione del potenziale umano, che, come abbiamo visto, non ha confini né di genere né di genitorialità.