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Home » Attualità » Post pandemia: alle donne è andata, come sempre, peggio. I dati del gender gap

Post pandemia: alle donne è andata, come sempre, peggio. I dati del gender gap

Paura per il futuro, incertezza, stanchezza, depressione, perdita del lavoro e scarso accesso alla digitalizzazione. Il Covid19 ha ampliato il solco delle differenze tra i generi

Geraldina Fiechter
15 Marzo 2022
Per le donne le conseguenze del post pandemia sono nettamente maggiori rispetto agli uomini

Per le donne le conseguenze del post pandemia sono nettamente maggiori rispetto agli uomini

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Paura del futuro, ansia, depressione, burnout, stanchezza estrema. Se i sintomi post pandemia rilevati dalla ultime ricerche riguardano gran parte della popolazione colpita dal Covid-19, per le donne è andata peggio. Immaginate di avere un bimbo piccolo o addirittura da partorire, o figli adolescenti in Dad, un lavoro precario o una disoccupazione improvvisa, un marito in crisi, genitori anziani che non possono essere più di aiuto ma anzi ne hanno bisogno a loro volta; immaginate di dover reggere l’urto di un evento eccezionale, come è stato il coronavirus, tenendo insieme tutti i pezzi senza neanche sapere se e quando tutto questo finirà: può stupire che la pandemia abbia scavato un altro solco fra uomini e donne?

Le conseguenze della pandemia hanno colpito in particolare le donne

Le ricerche parlano chiaro. Secondo il sondaggio di Ipsos fra i paesi del G7, l’85% delle donne italiane ha riferito di avere paura del futuro (rispetto al 73% degli uomini italiani), il 59% ha provato ansia, depressione o burnout (rispetto al 50% degli uomini) il 32% delle donne ha dichiarato di soffrire di estrema stanchezza e stress, rispetto al 22% degli uomini.
Differenze che aumentano fra chi ha figli. Il 47% delle donne con almeno un figlio sotto i 18 anni si è sentita costantemente esausta (rispetto al 34% dei padri); gap che cresce dove ci sono bambini sotto i 6 anni: il 56% delle madri di bambini piccoli si è sentita sopraffatta, rispetto al 34% dei padri di bambini della stessa età: 22 punti in meno!

Sfiducia e stanchezza

Come una guerra, quindi, il Covid ha avuto un impatto maggiore sulle donne, contribuendo a scavare disuguaglianze e a produrre conseguenze sulla vita e sulla carriera che le stesse intervistate considerano durature: il 74% delle donne dei Paesi del G7 afferma che la propria salute mentale sia stata compromessa, e tra loro il 42% pensa che sarà difficile recuperare (rispetto al 33% degli uomini). Sono soprattutto le giovani donne o quelle con figli piccoli, che si trovano in momenti cruciali della loro vita per le scelte di lavoro, ad aver pensato che la loro carriera fosse definitivamente colpita dal periodo di pandemia. Per non parlare delle donne che hanno vissuto una gravidanza nel lungo periodo di pandemia: uno studio italiano coordinato dall’Istituto superiore di sanità e condotto nei consultori di 9 regioni italiane, riferisce che il 32% delle neomamme si è sentita abbandonata, non supportata dalla propria rete di riferimento, e quasi 1 donna su 8 ha riferito sintomi di stress psicologico che ha dovuto affrontare da sola per paura di perdere il bambino o di farlo soffrire.

Le mamme hanno dovuto affrontare un carico di lavoro ulteriore a causa delle restrizioni ai servizi per i figli

Divario digitale

Ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione dopo due anni di pandemia: la crescita esponenziale della digitalizzazione ha creato un ulteriore gap fra uomini e donne. Rispetto al 30 per cento di uomini che hanno sviluppato in questo periodo le competenze necessarie per stare al passo, le donne, in Italia, si fermano al 21 per cento. Un divario che diventa una voragine se circoscriviamo il campo al mondo tecnologico e informatico, dove la presenza femminile è al 15% rispetto all’85% di quella maschile. Senza dimenticare che, a parità di ruoli, in questo settore (ICT) c’è anche un pay gap (differenza di salario) del 15% (rispetto al 6% nelle altre posizioni).

Dunque, anche se cominciamo a vedere una luce in fondo al tunnel e rinascere dalle ceneri è una pratica a cui le donne sono abituate, è urgente intervenire per riportare il livello di parità almeno al periodo pre-covid. Bisogna aiutarle, aiutarci. Per il bene di tutti noi, uomini, donne, grandi e piccini.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

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  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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Paura del futuro, ansia, depressione, burnout, stanchezza estrema. Se i sintomi post pandemia rilevati dalla ultime ricerche riguardano gran parte della popolazione colpita dal Covid-19, per le donne è andata peggio. Immaginate di avere un bimbo piccolo o addirittura da partorire, o figli adolescenti in Dad, un lavoro precario o una disoccupazione improvvisa, un marito in crisi, genitori anziani che non possono essere più di aiuto ma anzi ne hanno bisogno a loro volta; immaginate di dover reggere l’urto di un evento eccezionale, come è stato il coronavirus, tenendo insieme tutti i pezzi senza neanche sapere se e quando tutto questo finirà: può stupire che la pandemia abbia scavato un altro solco fra uomini e donne?
Le conseguenze della pandemia hanno colpito in particolare le donne
Le ricerche parlano chiaro. Secondo il sondaggio di Ipsos fra i paesi del G7, l'85% delle donne italiane ha riferito di avere paura del futuro (rispetto al 73% degli uomini italiani), il 59% ha provato ansia, depressione o burnout (rispetto al 50% degli uomini) il 32% delle donne ha dichiarato di soffrire di estrema stanchezza e stress, rispetto al 22% degli uomini. Differenze che aumentano fra chi ha figli. Il 47% delle donne con almeno un figlio sotto i 18 anni si è sentita costantemente esausta (rispetto al 34% dei padri); gap che cresce dove ci sono bambini sotto i 6 anni: il 56% delle madri di bambini piccoli si è sentita sopraffatta, rispetto al 34% dei padri di bambini della stessa età: 22 punti in meno!

Sfiducia e stanchezza

Come una guerra, quindi, il Covid ha avuto un impatto maggiore sulle donne, contribuendo a scavare disuguaglianze e a produrre conseguenze sulla vita e sulla carriera che le stesse intervistate considerano durature: il 74% delle donne dei Paesi del G7 afferma che la propria salute mentale sia stata compromessa, e tra loro il 42% pensa che sarà difficile recuperare (rispetto al 33% degli uomini). Sono soprattutto le giovani donne o quelle con figli piccoli, che si trovano in momenti cruciali della loro vita per le scelte di lavoro, ad aver pensato che la loro carriera fosse definitivamente colpita dal periodo di pandemia. Per non parlare delle donne che hanno vissuto una gravidanza nel lungo periodo di pandemia: uno studio italiano coordinato dall’Istituto superiore di sanità e condotto nei consultori di 9 regioni italiane, riferisce che il 32% delle neomamme si è sentita abbandonata, non supportata dalla propria rete di riferimento, e quasi 1 donna su 8 ha riferito sintomi di stress psicologico che ha dovuto affrontare da sola per paura di perdere il bambino o di farlo soffrire.
Le mamme hanno dovuto affrontare un carico di lavoro ulteriore a causa delle restrizioni ai servizi per i figli

Divario digitale

Ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione dopo due anni di pandemia: la crescita esponenziale della digitalizzazione ha creato un ulteriore gap fra uomini e donne. Rispetto al 30 per cento di uomini che hanno sviluppato in questo periodo le competenze necessarie per stare al passo, le donne, in Italia, si fermano al 21 per cento. Un divario che diventa una voragine se circoscriviamo il campo al mondo tecnologico e informatico, dove la presenza femminile è al 15% rispetto all’85% di quella maschile. Senza dimenticare che, a parità di ruoli, in questo settore (ICT) c’è anche un pay gap (differenza di salario) del 15% (rispetto al 6% nelle altre posizioni). Dunque, anche se cominciamo a vedere una luce in fondo al tunnel e rinascere dalle ceneri è una pratica a cui le donne sono abituate, è urgente intervenire per riportare il livello di parità almeno al periodo pre-covid. Bisogna aiutarle, aiutarci. Per il bene di tutti noi, uomini, donne, grandi e piccini.
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