Procreazione assistita post mortem: l'Ucraina verso l'ok, in Italia è vietata

Le vedove dei militari in Ucraina vogliono avere figli dal seme congelato dai mariti e il parlamento si è mosso per modificare la legge. Come funziona, invece, nel nostro Paese?

di TERESA SCARCELLA
3 febbraio 2024

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Novità all'orizzonte in Ucraina per la procreazione assistita, un altro Paese che potrebbe lasciare indietro l'Italia. E' notizia di oggi, riportata dal quotidiano spagnolo El Mundo, che il Parlamento dell'Ucraina (Verkhovna Rada) ha avviato questa settimana le procedure per modificare una legge che attualmente impedisce alle vedove dei soldati caduti al fronte di rimanere incinte con il seme che i loro mariti hanno congelato per non rimanere senza figli in caso di morte o ferita invalidante in battaglia. procreazione-assistita-pma

Procreazione assistita  post mortem

Un risultato importante per le tante donne che hanno lottato per questa concessione. La battaglia è stata portata avanti a suon di social, petizioni e interviste. Rimaste vedove, dopo aver perso i mariti in guerra, ora chiedono ai politici di adottare misure urgenti per soddisfare il loro desiderio di avere figli dai loro partner deceduti attraverso la fecondazione assistita. Una di loro è Nadine Lytovchenko, 39 anni, che prestò servizio insieme al marito come operatrice sanitaria durante la guerra che l'Ucraina ha combattuto contro i separatisti filo-russi nella regione orientale del Donbass (2014-2022). Nel bel mezzo di quella guerra, la coppia decise di congelare lo sperma del marito per assicurarsi di poter avere figli, nel caso in cui morisse o subisse lesioni che compromettessero le sue capacità riproduttive. Il marito di Lytovchenko è rientrato nell'esercito ucraino come volontario dopo l'inizio dell'invasione russa nel febbraio 2022 ed è stato ucciso in combattimento nell'agosto 2022. La coppia ha avuto un figlio un anno prima della guerra: "Per me è importante sostenere altre donne in questa situazione - dice, citata dal giornale spagnolo - perché so che il primo anno dopo la perdita è molto difficile organizzare il proprio spazio, la propria vita". procreazione-assistita-pma

La lotta delle donne ucraine

La legge che le donne chiedono di modificare è stata approvata a novembre per regolamentare il finanziamento statale delle procedure di congelamento del materiale genetico e di riproduzione assistita per i militari interessati di entrambi i sessi. Il testo, destinato ai soldati che perdono la capacità riproduttiva a causa delle ferite riportate al fronte, non riconosce però il diritto alla paternità dopo la morte dei soldati caduti. Inoltre, una delle sue disposizioni, che dovrebbe entrare in vigore a marzo, prevede la distruzione del materiale genetico dopo la morte della persona che lo ha congelato, cosa che priverà le vedove della possibilità di utilizzare lo sperma dei loro mariti defunti. Le modifiche proposte, che ora dovranno essere approvate dalla sessione plenaria della Rada, eliminano l'obbligo di distruggere lo sperma congelato dopo la morte della persona che lo ha conservato e riconoscono espressamente il diritto alla paternità dopo la morte dei soldati caduti.

Come funziona in Italia

In Italia la procreazione assistita dopo la morte è illegale. La legge a cui si fa riferimento è la 40/2004 che vieta, appunto, la procedura in caso di morte di uno dei due. I gameti crioconservati vengono a quel punto distrutti. Diverso se si parla di embrioni (che per motivi etici non si possono distruggere) perché vuol dire che la fecondazione assistita è stata avviata in precedenza alla morte. Fino al 2014 era vietata la fecondazione con l'utilizzo di gameti esterni alla coppia (quella eterologa). Divieto poi fatto cadere dieci anni fa dalla Corte Costituzionale. Un passo minimo, in avanti, al quale ne dovrebbero far seguito altri. Vediamo infatti quali sono i requisiti richiesti. La legge permette di ricorrere alla pma nei casi di infertilità o sterilità, o comunque laddove non sia possibile fare un figlio alla vecchia maniera. Entrambi devono essere maggiorenni (e va bene), di sesso opposto (già qui vediamo le prime crepe di una legge evidentemente da aggiornare), sposati o conviventi (per la serie, due amici non lo possono fare; figuriamoci un single. Giammai) e in età potenzialmente fertile. Più si va avanti in là con gli anni e meno possibilità ci sono di riuscire nell'obiettivo finale. Soprattutto per le donne che per natura, ahinoi, sono condannate a tempi decisamente più ristretti (il famoso orologio biologico). Anche se, come sappiamo, la fertilità è soggettiva. E poi gli ovuli si possono sempre congelare preventivamente. Ad oggi, il nostro Paese, sul limite non ha le idee chiare. Nel senso che ogni regione fa come gli pare. procreazione-assistita-pma

I limiti di età e di tentativi

Si va dai 42 anni imposti dall'Umbria ai 50 del Veneto (per ora l'unica regione più di manica larga). Alcune, poi, fanno differenze tra la fecondazione omologa e quella eterologa (come Toscana, Lombardia, Lazio). Anche nel numero dei tentativi c'è autonomia: la maggior parte dà tre possibilità, alcune 4, poche (tra cui il progressista Veneto) ne dà 6. Non tutte, tra l'altro, fino a poco tempo fa considerava la pma nei Lea (livelli essenziali di assistenza). Proprio sull'Umbria è di pochi giorni fa la proposta della consigliera regionale del Pd, Simona Meloni di "Innalzare i limiti di età per l'accesso alla procreazione medicalmente assistita a 46 anni, come avviene in gran parte delle regioni italiane ed è stabilito anche dai nuovi Livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario". "Nei Lea si prevede anche l'aumento del limite dell'età delle donne a 46 anni per l'accesso ai trattamenti e l'aumento del numero massimo di cicli che possono essere effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche, che passano a sei - spiega Meloni - Si tratta di un grande traguardo e di un grande risultato considerando l'aumento delle applicazioni che, nel 2021 segna un +36% rispetto al 2020, più 50% di gravidanze e più 49% di bambini nati vivi. Certo, gli ostacoli restano troppi".

Le nuove tariffe nel pubblico

Tra questi, oltre ad alcuni requisiti che a nostro avviso andrebbero aggiornati, ci sono: la carenza di strutture, le lunghe liste d'attesa nel pubblico e i costi nel privato. La prima alimenta la seconda che alimenta la terza. Le coppie, stanche di aspettare, finiscono per rivolgersi al privato dove i costi vanno dai 3.500 ai 7mila euro per una fecondazione omologa e dai 5mila ai 9mila per una eterologa. Nel pubblico, invece, da gennaio sono entrate in vigore le nuove tariffe: non si paga più l'omologa, mentre il costo del ticket per l'eterologa è di circa 1.500 euro.