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Home » Attualità » Roma, le parole del prof alla studentessa del liceo: “Questa zoccoletta avrà quel che si merita”

Roma, le parole del prof alla studentessa del liceo: “Questa zoccoletta avrà quel che si merita”

La storia, raccontata da una docente sui social, si riferisce ad uno scambio tra una professoressa e un'alunna del liceo Albertelli di Roma, ripresa per il suo abbigliamento non conforme al regolamento. Ma sotto il post arriva l'offesa sessista di un insegnante di Genova

Marianna Grazi
23 Maggio 2022
offesa sessista studentessa roma

Offesa sessista da parte di un insegnante del liceo Albertinelli di Roma verso una studentessa

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Che esista un ‘dresscode’ considerato decoroso per gli studenti e le studentesse è cosa risaputa. Anche senza divise o grembiulini, per i più piccoli, e fin qui siamo tutti d’accordo, più o meno. Ma se di rispetto si deve parlare questo deve esserci da entrambe le parti, alunni e docenti. E  purtroppo sono sempre di più i casi in cui questo, invece manca, e proprio da parte di chi dovrebbe essere l’educatore. Perché quando si leggono commenti del tipo: “Sta zoccoletta avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa”, scritto da un insegnante sotto un post sui social, allora viene da chiedersi cosa sia andato storto e chi possa ancora considerare questa persona degna del ruolo di cui porta il nome. Cosa mai avrà da insegnare questo individuo?

Il caso del liceo Albertelli di Roma

liceo-albertelli-roma
Sotto un post di una docente del Liceo Pilo Albertelli di Roma è apparso il commento di un professore di Genova su una studentessa: “Sta zoccoletta avrà quel che si merita”

La vicenda, raccontata da Repubblica Roma, riguarda una studentessa che, secondo il racconto fatto da un’altra insegnante del liceo classico Pilo Albertelli della Capitale, si sarebbe presentata a scuola vestita in modo inadeguato rispetto a quanto imposto dal regolamento d’istituto. Tutto comincia con questo post: “Una docente, non io, fa notare a un’alunna che non ha un abbigliamento adeguato, anche in base al regolamento. L’alunna, come se rispondesse a una bambina, risponde ‘E chi lo dice? Come si permette? Vogliamo andare a continuare questa discussione dal preside?‘. La docente va in vicepresidenza, dove l’alunna era già andata a denunciare l’ardire dell’insegnante insieme a mezza classe accorsa per sostenere la compagna. Poi, alla fine, tutto si conclude con un nulla di fatto”. Uno scambio acceso tra insegnante e alunna che, all’apparenza, si sarebbe concluso lì. Poi però, sotto il post, è apparso un commento che ha scatenato l’ira degli studenti e non solo. Anche perché scritto da un completo estraneo alla vicenda, arrogatosi il diritto di commentare, in modo volgare e sessista, un caso con il quale non aveva niente a che fare. Non che, se fosse accaduto nella scuola dove lavora sarebbe stato giustificato, ma così diventa ancora più grave.

L’offesa del professore di Genova

“Sta ‘zoccoletta’ avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa“, scrive un professore di Genova sotto il post della docente dell’Albertelli in cui si raccontava della lite tra un’insegnante e alcuni studenti sul dresscode scolatico. E non si tratta certo di uno scherzo, anche se l’uomo in questione ha prodigiosamente utilizzato la citazione dal film “Un sacco bello” di Verdone. Ma questo insegnante di latino e greco avrebbe potuto piuttosto risparmiarsi il commento, ennesimo caso di sessismo rivolto a una ragazza. “L’episodio raccontato sui social dalla nostra docente risale a pochi giorni fa – ha spiegato a Repubblica la rappresentante d’istituto Valeria Cigliana –. Poi abbiamo saputo di quel commento. È assurdo che una frase simile parta da un professore. I docenti dovrebbero essere i nostri formatori, non esprimersi con parole e offese”. “Se un ragazzo va a scuola in pantaloncini corti gli viene chiesto se stia andando al mare. Se una ragazza indossa una canottiera non sta andando in spiaggia, ma è “una zoccoletta”: un ragionamento maschilista e retrogrado“, continua Cigliana sottolineando il diverso ‘trattamento a cui vengono sottoposti alunni e alunne. 

Purtroppo però di casi simili, in questi ultimi mesi, abbiamo già parlato anche qui su Luce!, a dimostrazione del fatto che il sessismo, anche in un’istituzione come quella scolastica che per prima dovrebbe invece mirare all’educazione delle persone, sia un ‘male’ endemico che pervade ancora la nostra società. E se un docente si permette di dire ad una giovane ragazza: “copriti la pancia, che stai sulla Salaria“, oppure “Oggi facciamo una preghiera per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come tr**e” o ancora “Questa zoccoletta avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa” allora c’è da chiedersi davvero cosa mai, questi ‘educatori’ possano  insegnare ai suoi alunni e alunne. Sicuramente non il rispetto.

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Sul suo profilo Instagram pubblica una foto delle protesi lasciate sul lettino, prima di fare un tuffo in mare. Libera. 🏊‍♀️

#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

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Che esista un 'dresscode' considerato decoroso per gli studenti e le studentesse è cosa risaputa. Anche senza divise o grembiulini, per i più piccoli, e fin qui siamo tutti d'accordo, più o meno. Ma se di rispetto si deve parlare questo deve esserci da entrambe le parti, alunni e docenti. E  purtroppo sono sempre di più i casi in cui questo, invece manca, e proprio da parte di chi dovrebbe essere l'educatore. Perché quando si leggono commenti del tipo: "Sta zoccoletta avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa", scritto da un insegnante sotto un post sui social, allora viene da chiedersi cosa sia andato storto e chi possa ancora considerare questa persona degna del ruolo di cui porta il nome. Cosa mai avrà da insegnare questo individuo?

Il caso del liceo Albertelli di Roma

liceo-albertelli-roma
Sotto un post di una docente del Liceo Pilo Albertelli di Roma è apparso il commento di un professore di Genova su una studentessa: "Sta zoccoletta avrà quel che si merita"

La vicenda, raccontata da Repubblica Roma, riguarda una studentessa che, secondo il racconto fatto da un'altra insegnante del liceo classico Pilo Albertelli della Capitale, si sarebbe presentata a scuola vestita in modo inadeguato rispetto a quanto imposto dal regolamento d'istituto. Tutto comincia con questo post: "Una docente, non io, fa notare a un'alunna che non ha un abbigliamento adeguato, anche in base al regolamento. L'alunna, come se rispondesse a una bambina, risponde 'E chi lo dice? Come si permette? Vogliamo andare a continuare questa discussione dal preside?'. La docente va in vicepresidenza, dove l'alunna era già andata a denunciare l'ardire dell'insegnante insieme a mezza classe accorsa per sostenere la compagna. Poi, alla fine, tutto si conclude con un nulla di fatto". Uno scambio acceso tra insegnante e alunna che, all'apparenza, si sarebbe concluso lì. Poi però, sotto il post, è apparso un commento che ha scatenato l'ira degli studenti e non solo. Anche perché scritto da un completo estraneo alla vicenda, arrogatosi il diritto di commentare, in modo volgare e sessista, un caso con il quale non aveva niente a che fare. Non che, se fosse accaduto nella scuola dove lavora sarebbe stato giustificato, ma così diventa ancora più grave.

L'offesa del professore di Genova

"Sta 'zoccoletta' avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa", scrive un professore di Genova sotto il post della docente dell'Albertelli in cui si raccontava della lite tra un'insegnante e alcuni studenti sul dresscode scolatico. E non si tratta certo di uno scherzo, anche se l'uomo in questione ha prodigiosamente utilizzato la citazione dal film "Un sacco bello" di Verdone. Ma questo insegnante di latino e greco avrebbe potuto piuttosto risparmiarsi il commento, ennesimo caso di sessismo rivolto a una ragazza. "L'episodio raccontato sui social dalla nostra docente risale a pochi giorni fa – ha spiegato a Repubblica la rappresentante d'istituto Valeria Cigliana –. Poi abbiamo saputo di quel commento. È assurdo che una frase simile parta da un professore. I docenti dovrebbero essere i nostri formatori, non esprimersi con parole e offese". "Se un ragazzo va a scuola in pantaloncini corti gli viene chiesto se stia andando al mare. Se una ragazza indossa una canottiera non sta andando in spiaggia, ma è "una zoccoletta": un ragionamento maschilista e retrogrado", continua Cigliana sottolineando il diverso 'trattamento a cui vengono sottoposti alunni e alunne. 

Purtroppo però di casi simili, in questi ultimi mesi, abbiamo già parlato anche qui su Luce!, a dimostrazione del fatto che il sessismo, anche in un'istituzione come quella scolastica che per prima dovrebbe invece mirare all'educazione delle persone, sia un 'male' endemico che pervade ancora la nostra società. E se un docente si permette di dire ad una giovane ragazza: "copriti la pancia, che stai sulla Salaria", oppure "Oggi facciamo una preghiera per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come tr**e" o ancora "Questa zoccoletta avrà quel che si merita non appena troverà un superiore nella sua vita lavorativa" allora c'è da chiedersi davvero cosa mai, questi 'educatori' possano  insegnare ai suoi alunni e alunne. Sicuramente non il rispetto.

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