
Un mauritano sui binari del treno del ferro
Un treno, una notte, e la fiducia come unica bussola. Ci sono luoghi nel mondo in cui non esistono alternative. Dove l’unico modo per attraversare il deserto è salire, clandestinamente, su un treno lungo tre chilometri, senza biglietto, senza garanzie. In Mauritania, quel treno esiste davvero. È il Treno del Ferro, e ogni giorno trasporta tonnellate di minerale dalle miniere di Zouérat al porto di Nouadhibou. Ma sopra quei vagoni, tra sabbia, ferro e cielo, viaggiano anche altre storie. Storie di uomini che si fidano l’uno dell’altro senza conoscersi. Storie che ci ricordano quanto possa essere umano affidarsi.
L’inizio di un viaggio che sa di polvere e stelle

Quando siamo arrivati al punto di partenza non ci è rimasto che attendere fiduciosi. Non esiste orario. Il treno arriva e parte quando vuole lui. La regola è solo una: aspettare. Abbiamo dormito accampati sul ciglio delle rotaie, mangiato per strada, parlato con chiunque volesse raccontarsi. Poi, finalmente, l’enorme serpente di ferro ha fatto la sua comparsa, lento, fischiante, imponente. E quando abbiamo sentito il primo vagone muoversi, non c’era più tempo per pensare: ci siamo arrampicati, lanciati zaini, bottiglie, e siamo saliti anche noi, clandestinamente, su quel treno. Sopra, non c’era niente. Solo ferro, polvere e cielo. Ma dopo poche ore, è arrivata una delle sorprese più inaspettate dell’intero viaggio.
L’insegnamento più semplice (e più potente)

Nel cuore della notte, un uomo si è avvicinato al nostro vagone. Non ci conosceva. Ci ha guardati con naturalezza e ci ha chiesto: “Posso lasciarvi le mie capre? Le riprenderò domani, all’arrivo”. Nessun contratto, nessuna domanda in più. Solo fiducia. Senza pensarci troppo, abbiamo accettato. E mentre legava le corde e ci spiegava come comportarci, ho sentito qualcosa dentro di me che si muoveva. In un mondo in cui si controlla tutto, si firma tutto, si fotografa tutto, qualcuno era pronto ad affidarci ciò che aveva di più prezioso.
E l’ha fatto perché – come ci ha spiegato con disarmante semplicità – "un mauritano può sempre fidarsi di un altro mauritano". Anche se non lo conosce.
Cosa ci resta quando restiamo umani?

Viaggiare su quel treno non è stato comodo. Non c’erano sedili, né ripari. Solo ferro e cielo. Abbiamo passato ore distesi su una montagna di polvere nera, cercando di dormire mentre il treno lanciava frustate improvvise e la sabbia – o meglio, il ferro – ci entrava negli occhi, nella bocca, ovunque. Abbiamo mangiato datteri e banane sbriciolandoli con le mani sporche. Abbiamo tremato per il freddo della notte e ci siamo scaldati ridendo, raccontandoci storie, condividendo silenzi. Eppure, in mezzo a quella fatica, è successo qualcosa. Abbiamo imparato.
Abbiamo imparato che la fiducia è un linguaggio antico, che non ha bisogno di traduzioni o garanzie. Ti basta uno sguardo, un gesto, una stretta di mano polverosa per riconoscere nell’altro un’umanità che ti somiglia. Abbiamo capito che la fatica unisce più delle parole. Condividere una notte scomoda, stringersi per il freddo, svegliarsi con la faccia coperta di ferro, dividere una bottiglia d’acqua come se fosse l’ultima: sono questi i momenti in cui nasce la complicità vera. Quella che non si costruisce parlando, ma vivendo.
E infine, abbiamo scoperto che quando togli tutto, restano le relazioni. Via le comodità, via i filtri, via tutto quello che spesso ci distrae dal resto. Restano le persone. Una accanto all’altra. Che non si conoscevano, ma che hanno scelto di esserci, insieme, su un treno che attraversa il deserto e, per qualche ora, anche la vita.
Quando abbiamo smesso di crederci?
In quel viaggio, le stelle sembravano più grandi, il freddo più pungente, il tempo più lento. Ma soprattutto, le persone sembravano più vere. Mentre lasciavamo il treno e le sue rotaie di ferro alle nostre spalle, mi è rimasta una domanda: in che momento abbiamo smesso di credere nel prossimo? E cosa ci serve, oggi, per ricominciare?
*Chi è Giuseppe Bertuccio D’Angelo

Giuseppe Bertuccio D’Angelo viaggia da 10 anni alla ricerca del “segreto” della felicità. Originario di Messina, una laurea in Economia e Commercio, sta esplorando luoghi e comunità diverse in tutto il mondo, rivolgendo ai suoi interlocutori la stessa domanda: “che cos’è per te la felicità?”.
Nei suoi reportage mette in luce, da una prospettiva nuova, porzioni di realtà non documentate dal mainstream: dall’Ucraina al Brasile, dalla baraccopoli di Manila alla Corea del Nord, dai cacciatori con le aquile kazaki alle donne obese della Mauritania.
Quando è in Italia, Giuseppe Bertuccio D’Angelo è protagonista di eventi come il Tedx (Bergamo 2022) e cura progetti di formazione e consulenza in azienda. Ha collaborato con Sos Mediterranee e nel 2021 è stato a bordo della nave Ocean Viking per un mese. Oggi Giuseppe Bertuccio D’Angelo collabora con Action Aid, segue e sostiene progetti di solidarietà e di recupero ambientale. I suoi reportage raggiungono punte di 7 milioni di visualizzazioni, su LinkedIn è seguito da più di 21 mila persone e il suo canale YouTube, Progetto Happiness, conta 1.700.00 mila iscritti.