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Home » Attualità » Il decennio mortale: il tragico report sui difensori di terre e comunità uccisi per il loro attivismo

Il decennio mortale: il tragico report sui difensori di terre e comunità uccisi per il loro attivismo

L'associazione Global Witness rivela come dal 2012 al 2022 siano state uccise oltre 1700 persone. A guidare questa classifica nel 2021 è stato il Messico

Domenico Guarino
17 Ottobre 2022
Miniera di ferro

Miniera di ferro

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José Santos Isaac Chávez era un leader indigeno e avvocato, è stato ucciso nell’aprile del 2021 poiché si era opposto alle operazioni di sfruttamento della miniera di ferro di Peña Colorado. Il suo corpo, con evidenti segni di tortura, è stato trovato all’interno della sua auto che era stata spinta in un dirupo. Dieci persone sono state invece ammazzate e più di 100 ferite in India nel 2018 durante le manifestazioni nello Stato meridionale indiano del Tamil Nadu contro la fonderia di rame della Sterlite Copper. Dopo quattro anni e diverse inchieste sugli omicidi, né lo Stato né la compagnia sono stati ritenuti colpevoli.

Dal 2012 al 2022, il decennio mortale: morte oltre 1700 persone

Gli scontri con la polizia da parte della popolazione locale a causa dell’inquinamento provocato dall’azienda Sterlite Copper nel 2018

Numeri e storie da quello che l’associazione Global Witness “Il decennio mortale”. Dal 2012, ovvero da quando la Ong documenta questo tipo di crimini, sono state oltre 1.700 le persone uccise perché impegnate in prima persona a proteggere la loro terra e le loro comunità dalla distruzione ambientale. Senza contare le innumerevoli violazioni dei diritti umani, incluse la criminalizzazione, la sorveglianza, la prevenzione del diritto di riunirsi, le minacce e le violenze di cui è stato fatto oggetto che si batte  per la giustizia ed il rispetto delle leggi. “Pochissimi autori di omicidi vengono assicurati alla giustizia a causa dell’incapacità dei Governi di indagare adeguatamente sui crimini” sostiene Global Witness. Che denuncia come “molte autorità ignorano o ostacolano attivamente le indagini su questi omicidi, che secondo l’organizzazione sono spesso dovuti alla collusione tra interessi aziendali e governativi”. Più della metà degli attacchi ha avuto luogo in Brasile, Colombia e Filippine. Ad essere colpire dalla scia di sangue sono state in particolare le comunità indigene che, nonostante costituiscano solo il 5 per cento della popolazione mondiale, contano il 40 per cento delle vittime. Con un doppio danno, perché, come attesta Global Witness, trattandosi di gruppi esigui, le loro uccisioni di loro esponenti rappresentano non solo una perdita di vite umane ma anche di culture, lingue e conoscenze tradizionali.

Per quanto riguarda il 2021, in particolare, è stato il Messico il Paese con il maggior numero di omicidi registrati. Mentre oltre tre quarti degli attacchi di cui si è a conoscenza, lo scorso anno sono avvenuti in America Latina. Dei 12 omicidi di massa tre si sono verificati in India e quattro in Messico. Si tratta di numeri con ogni probabilità sottostimati, dal momento che gli attacchi spesso non vengono denunciati. In alcuni Paesi, la situazione dei difensori è infatti difficile da valutare a causa delle restrizioni imposte ai media e per la mancanza di un monitoraggio indipendente. Le controversie sulla terra e i danni ambientali possono essere difficili da monitorare anche in quelle parti del mondo colpite da conflitti. Per quanto riguarda le cause, emerge che più di un quarto degli attacchi letali è collegato allo sfruttamento delle risorse, come il disboscamento, l’estrazione mineraria e l’agrobusiness su larga scala, con le dighe idroelettriche e altre infrastrutture al secondo posto. Cinquanta delle persone uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori che, secondo Global Witness, “avevano denunciato accordi fondiari che ignoravano i diritti di proprietà locali, e il fatto che l’agricoltura familiare, da cui dipende la maggior parte delle zone rurali povere del mondo, fosse messa a rischio dall’ingresso di piantagioni su larga scala, dall’agricoltura guidata dalle esportazioni e dalla preferenza data alla produzione di merci piuttosto che al cibo”.

L’accordo Escazù, uno dei piccoli progressi fatti

L’attivista per l’ambiente e gli indigeni Berta Cáceres

Nel report anche alcuni segnali positivi, come “lo sviluppo di regolamenti che impongono la due diligence sui diritti umani per le aziende, o l’accordo Escazú tra America Latina e Caraibi, che introduce protezioni per i diritti umani dei difensori ambientali nella regione”. Progressi che sono ascrivibili quasi esclusivamente agli Stati ed alle istituzioni pubbliche mentre il contributo delle aziende nel mettere un freno ai crimi “è risultato però superficiale, basandosi principalmente su impegni volontari in materia di diritti umani che sono stati attuati in modo incoerente”. “La collusione tra corporation e Governi è responsabile per la mancanza di indagini adeguate su molti omicidi, con il conseguente via libera agli autori dei crimini, si afferma. Anche la violenza, la criminalizzazione e le molestie contro i difensori sono risultate comuni in molti Paesi” afferma Global Witness.
In qualche caso però, grazie al sostegno internazionale ed alla pressione delle opinioni pubbiche, i colpevoli vengono acciuffati e puniti. Nel luglio 2021, cinque anni dopo l’omicidio dell’attivista per l’ambiente e gli indigeni Berta Cáceres, un tribunale dell’Honduras ha ritenuto infatti Robert David Castillo colpevole di cospirazione nel suo omicidio quando era a capo della società idroelettrica Desarrollos Energéticos. Castillo è stato condannato a 22 anni per il suo ruolo di mandante nell’omicidio eseguito da sicari. Mentre in Indonesia, l’agricoltore e difensore della terra Franz Hemsi ha ricevuto quest’anno il riconoscimento dei suoi diritti su 20 ettari di terra sottrattigli con la forza nel 2005 da PT Mamuang, una sussidiaria di Astra Agro Lestari, la seconda compagnia di olio di palma del Paese. La vittoria è arrivata dopo tre incarcerazioni e regolari minacce alla sua famiglia.

Global Witness chiede che le aziende e i Governi “siano chiamati a rispondere quando risultano responsabili di violenze contro i difensori della terra e dell’ambiente. È chiaro dalle nostre statistiche che è necessaria un’azione urgente a tutti i livelli – regionale, nazionale e internazionale – per porre fine alla violenza e all’ingiustizia che queste persone devono affrontare“.

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  • Si chiama Olesya Krivtsova, ha 19 anni ed è russa. Segni particolari: un tatuaggio contro Putin, rischia fino a 10 anni di carcere.

L’adolescente originaria della regione dell’Arkhangelsk (che si trova a nord-ovest della Russia) da alcuni mesi si trova agli arresti domiciliari, nell’appartamento della madre a Severodvinsk. Un dispositivo di localizzazione, che le hanno applicato alla caviglia, ne traccia ogni spostamento: non è autorizzata ad accedere a Internet né a comunicare con l’esterno.

La ragazza è stata definita terrorista ed estremista e messa sullo stesso piano di talebani e appartenenti a Isis e al Qaeda. La sua colpa? Aver condiviso su Instagram una storia sull’esplosione del ponte di Crimea in ottobre scorso, criticando la Russia per aver invaso l’Ucraina. La studentessa Krivtsova, secondo quanto riporta la Cnn, “sta anche affrontando accuse penali per aver screditato l’esercito russo in un presunto repost critico della guerra in una chat studentesca sul social network russo Vk”. 

Le posizioni dell’allieva della scuola di scienze sociali dell’Università federale dell’Artico (Narfu) in merito all’invasione della Russia in Ucraina sono ben chiare, tanto che la giovane si è tatuata sulla caviglia la faccia del presidente russo Vladimir Putin su un corpo di un ragno. Accanto, la parole “il Grande Fratello ti sta guardando”.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #russia
José Santos Isaac Chávez era un leader indigeno e avvocato, è stato ucciso nell’aprile del 2021 poiché si era opposto alle operazioni di sfruttamento della miniera di ferro di Peña Colorado. Il suo corpo, con evidenti segni di tortura, è stato trovato all’interno della sua auto che era stata spinta in un dirupo. Dieci persone sono state invece ammazzate e più di 100 ferite in India nel 2018 durante le manifestazioni nello Stato meridionale indiano del Tamil Nadu contro la fonderia di rame della Sterlite Copper. Dopo quattro anni e diverse inchieste sugli omicidi, né lo Stato né la compagnia sono stati ritenuti colpevoli.

Dal 2012 al 2022, il decennio mortale: morte oltre 1700 persone

Gli scontri con la polizia da parte della popolazione locale a causa dell’inquinamento provocato dall'azienda Sterlite Copper nel 2018
Numeri e storie da quello che l'associazione Global Witness "Il decennio mortale". Dal 2012, ovvero da quando la Ong documenta questo tipo di crimini, sono state oltre 1.700 le persone uccise perché impegnate in prima persona a proteggere la loro terra e le loro comunità dalla distruzione ambientale. Senza contare le innumerevoli violazioni dei diritti umani, incluse la criminalizzazione, la sorveglianza, la prevenzione del diritto di riunirsi, le minacce e le violenze di cui è stato fatto oggetto che si batte  per la giustizia ed il rispetto delle leggi. "Pochissimi autori di omicidi vengono assicurati alla giustizia a causa dell’incapacità dei Governi di indagare adeguatamente sui crimini" sostiene Global Witness. Che denuncia come "molte autorità ignorano o ostacolano attivamente le indagini su questi omicidi, che secondo l’organizzazione sono spesso dovuti alla collusione tra interessi aziendali e governativi". Più della metà degli attacchi ha avuto luogo in Brasile, Colombia e Filippine. Ad essere colpire dalla scia di sangue sono state in particolare le comunità indigene che, nonostante costituiscano solo il 5 per cento della popolazione mondiale, contano il 40 per cento delle vittime. Con un doppio danno, perché, come attesta Global Witness, trattandosi di gruppi esigui, le loro uccisioni di loro esponenti rappresentano non solo una perdita di vite umane ma anche di culture, lingue e conoscenze tradizionali. Per quanto riguarda il 2021, in particolare, è stato il Messico il Paese con il maggior numero di omicidi registrati. Mentre oltre tre quarti degli attacchi di cui si è a conoscenza, lo scorso anno sono avvenuti in America Latina. Dei 12 omicidi di massa tre si sono verificati in India e quattro in Messico. Si tratta di numeri con ogni probabilità sottostimati, dal momento che gli attacchi spesso non vengono denunciati. In alcuni Paesi, la situazione dei difensori è infatti difficile da valutare a causa delle restrizioni imposte ai media e per la mancanza di un monitoraggio indipendente. Le controversie sulla terra e i danni ambientali possono essere difficili da monitorare anche in quelle parti del mondo colpite da conflitti. Per quanto riguarda le cause, emerge che più di un quarto degli attacchi letali è collegato allo sfruttamento delle risorse, come il disboscamento, l’estrazione mineraria e l’agrobusiness su larga scala, con le dighe idroelettriche e altre infrastrutture al secondo posto. Cinquanta delle persone uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori che, secondo Global Witness, “avevano denunciato accordi fondiari che ignoravano i diritti di proprietà locali, e il fatto che l’agricoltura familiare, da cui dipende la maggior parte delle zone rurali povere del mondo, fosse messa a rischio dall’ingresso di piantagioni su larga scala, dall’agricoltura guidata dalle esportazioni e dalla preferenza data alla produzione di merci piuttosto che al cibo”.

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