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Home » Attualità » Rifiuta di indossare il burqa e viene picchiata dai familiari. La 14enne li denuncia ai Carabinieri

Rifiuta di indossare il burqa e viene picchiata dai familiari. La 14enne li denuncia ai Carabinieri

Ad Ostia un'adolescente originaria del Bangladesh ha deciso di denunciare anni di violenze e vessazioni subite tra le mura domestiche: "Volevano che lasciassi la scuola per sposarmi"

Marianna Grazi
16 Novembre 2021
young girl with arabic veil to cover her head by the sea in summer at sunset

young girl with arabic veil to cover her head by the sea in summer at sunset

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Picchiata e oppressa dai suoi stessi familiari, da chi le ha negato la possibilità di costruirsi una vita propria, a suo modo libera di essere se stessa. La sua ‘colpa’? Essere diventata “troppo occidentale”, rifiutando di indossare il velo e di seguire i precetti della religione islamica. Per questo un’adolescente di 14 anni originaria del Bangladesh e residente ad Ostia, sul litorale romano, veniva regolarmente malmenata dalla madre e, soprattutto, dal fratello 17enne. Una vita scandita dalle botte, con la costante minaccia di essere rimandata nel Paese d’origine. Lo scorso sabato l’ennesimo litigio, l’ennesima aggressione: la giovane viene spinta contro un mobile e il colpo le causa un lieve trauma cranico. A quel punto ha deciso di dire basta e si è presentata in caserma per denunciare i maltrattamenti subiti tra le mura domestiche. Quella che si sono trovati davanti i carabinieri era una giovane coperta di graffi e lividi, scossa, impaurita. Ma anche determinata a porre fine a quelle costanti vessazioni di chi, invece di amarla e appoggiarla con affetto nelle sue scelte, aveva sempre fatto di tutto per ingabbiarla.

“Mio padre e mia madre vogliono che lasci la scuola per sposarmi. Hanno organizzato tutto loro, vogliono riportarmi in Bangladesh, dove sono nata. Io non ci voglio andare“. Un racconto, quello della ragazza, che ricorda altri episodi simili (leggi qui) nel nostro Paese, una su tutti la tragedia vissuta da Saman Abbas, la ragazza pakistana di 18 anni uccisa la scorsa estate a Reggio Emiliaper mano dello zio, ma con la complicità anche dei genitori, perché si era rifiutata di sposare il cugino. La 14enne, invece, anche grazie all’aiuto della sua insegnate di italiano che nel tempo libero le dà una mano con la lingua, ha avuto il coraggio di denunciare e si è salvata. È stata la stessa professoressa ad accompagnarla in caserma, poi la giovane è stata portata all’ospedale Grassi di Ostia, per le cure fisiche. Per quelle psicologiche ci vorranno tempo e sostegno, che riceverà nella struttura protetta dove è stata accolta. Nell’appartamento familiare, non vuole più metterci piede. Un taglio netto alla sua esistenza, come a chiudere con il passato fatto di violenza e soprusi e aprire un nuovo capitolo della sua giovanissima vita.

La vicenda

Nella famiglia dell’adolescente, in Italia da 10 anni, si parla solo bengalese e si seguono pedissequamente le regole dell’Islam. Il papà che lavora come guardiano di notte (prima dipendente di un minimarket), la mamma naturalmente casalinga, un fratello più grande che le impone, insieme a quest’ultima, il rispetto rigoroso dei dettami culturali del loro Paese. La 14enne,  arrivata a Roma quando aveva pochi mesi, frequenta la terza media. E sogna di vivere come le sue compagne, senza il peso di un matrimonio ancora minorenne, senza l’obbligo di indossare il velo, senza dove sottostare a tradizioni millenarie che le vanno strette. Sono le 10.30 del mattino di un sabato qualunque quando nell’appartamento dietro la stazione a Ostia si accende l’ennesima discussione: “Volevano che mettessi il burqa, ma io mi sono rifiutata – racconta la ragazza ai militari, ancora scossa – mio fratello mi ha presa a schiaffi, mi ha strattonata e mi ha scaraventata contro il muro. Poi mi ha spinta ancora e ho battuto la testa contro un mobile”.

I carabinieri annotano tutto e scatta la denuncia per maltrattamenti e lesioni personali nei confronti della mamma e del 17enne. Poi l’accompagnano all’ospedale, dove l’adolescente viene indirizzata nel percorso rosa, quello per donne vittime di violenza. Ai medici spiega che da tempo è vittima di “violenze psicologiche da parte del padre e della madre che la vorrebbero costringere a rinunciare agli studi e a sposarsi con un matrimonio combinato” in Bangladesh. La diagnosi è quella di lieve trauma cranico ma soprattutto vengono riscontrati numerosi sintomi da stress legato alla violenza. Dopo la visita e gli accertamenti viene dimessa ed accolta nella casa protetta. A casa proprio non ci vuole tornare mai più.

Le reazioni

“Accanto ai sentimenti di solidarietà per la giovane bengalese, il pensiero corre ai tanti casi di maltrattamenti, anche più gravi, che la cronaca ci restituisce di continuo – dichiara la senatrice di Fratelli d’Italia, Isabella Rauti, responsabile del Dipartimento Pari Opportunità, Famiglia e Valori non negoziabili di FdI –. Un sommerso drammatico di violenze domestiche e familiari perpetrate in nome dell’osservanza dei dettami fondamentalisti. È inaccettabile, come ribadito da Giorgia Meloni, che nel nostro Paese alcune comunità straniere si rifiutino di rispettare la nostra cultura e di accettare le regole del vivere civile”.

Sulla stessa linea il senatore della Lega William De Vecchis: “Episodi così drammatici sono intollerabili per una democrazia come la nostra che nella sua legge fondante, la Costituzione, prevede il rispetto delle diversità, delle differenti opinioni e della scelta religiosa. Ora spazio alla magistratura che farà luce sui contorni di una vicenda ancora poco chiara e, se verranno accertate, che i colpevoli paghino per le loro responsabilità; va detto però con chiarezza che il fanatismo religioso islamista è incompatibile con la nostra comunità nazionale, già segnata da angoscianti vicende passate tristemente alla cronaca”.

Più cauto Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii), che a LaPresse ha voluto mettere in guardia dal rischio di “islamizzare le notizie”, pur condannando la vicenda. Quello “della violenza domestica, di genere e dei genitori sui figli – sottolinea Lafram – è uno dei mali della nostra società” ed è “un problema trasversale, al di là della propria fede di appartenenza”. Lafram ricorda anche che nella religione islamica “un atto di fede può essere valido davanti a Dio solamente se c’è la volontà di chi lo compie e lo compie in libertà“. E certo indossare un certo abbigliamento o addirittura sposare una persona sconosciuta o un familiare solo perché imposto dai parenti non si possono certo scelte definire libere.

“L’educazione che i genitori, di qualsiasi religione siano,  devono dare ai propri figli deve essere basata su amore, comprensione e rispetto. Non sulla violenza e sulla soggezione psicologica” commenta l’Imam di Milano Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, Comunità religiosa islamica italiana. Ma ammette, a volte capita che i genitori “strumentalizzino i precetti islamici” e “in nome di un formalismo esasperato, radicalizzino la propria ‘incomprensione’ dell’Occidente. Mancano coerenza e saggezza – conclude l’Imam –. D’altra parte, picchiare e punire è più sbrigativo di comunicare e capire”.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
Picchiata e oppressa dai suoi stessi familiari, da chi le ha negato la possibilità di costruirsi una vita propria, a suo modo libera di essere se stessa. La sua 'colpa'? Essere diventata "troppo occidentale", rifiutando di indossare il velo e di seguire i precetti della religione islamica. Per questo un'adolescente di 14 anni originaria del Bangladesh e residente ad Ostia, sul litorale romano, veniva regolarmente malmenata dalla madre e, soprattutto, dal fratello 17enne. Una vita scandita dalle botte, con la costante minaccia di essere rimandata nel Paese d'origine. Lo scorso sabato l'ennesimo litigio, l'ennesima aggressione: la giovane viene spinta contro un mobile e il colpo le causa un lieve trauma cranico. A quel punto ha deciso di dire basta e si è presentata in caserma per denunciare i maltrattamenti subiti tra le mura domestiche. Quella che si sono trovati davanti i carabinieri era una giovane coperta di graffi e lividi, scossa, impaurita. Ma anche determinata a porre fine a quelle costanti vessazioni di chi, invece di amarla e appoggiarla con affetto nelle sue scelte, aveva sempre fatto di tutto per ingabbiarla. "Mio padre e mia madre vogliono che lasci la scuola per sposarmi. Hanno organizzato tutto loro, vogliono riportarmi in Bangladesh, dove sono nata. Io non ci voglio andare". Un racconto, quello della ragazza, che ricorda altri episodi simili (leggi qui) nel nostro Paese, una su tutti la tragedia vissuta da Saman Abbas, la ragazza pakistana di 18 anni uccisa la scorsa estate a Reggio Emiliaper mano dello zio, ma con la complicità anche dei genitori, perché si era rifiutata di sposare il cugino. La 14enne, invece, anche grazie all'aiuto della sua insegnate di italiano che nel tempo libero le dà una mano con la lingua, ha avuto il coraggio di denunciare e si è salvata. È stata la stessa professoressa ad accompagnarla in caserma, poi la giovane è stata portata all'ospedale Grassi di Ostia, per le cure fisiche. Per quelle psicologiche ci vorranno tempo e sostegno, che riceverà nella struttura protetta dove è stata accolta. Nell'appartamento familiare, non vuole più metterci piede. Un taglio netto alla sua esistenza, come a chiudere con il passato fatto di violenza e soprusi e aprire un nuovo capitolo della sua giovanissima vita.

La vicenda

Nella famiglia dell'adolescente, in Italia da 10 anni, si parla solo bengalese e si seguono pedissequamente le regole dell'Islam. Il papà che lavora come guardiano di notte (prima dipendente di un minimarket), la mamma naturalmente casalinga, un fratello più grande che le impone, insieme a quest'ultima, il rispetto rigoroso dei dettami culturali del loro Paese. La 14enne,  arrivata a Roma quando aveva pochi mesi, frequenta la terza media. E sogna di vivere come le sue compagne, senza il peso di un matrimonio ancora minorenne, senza l'obbligo di indossare il velo, senza dove sottostare a tradizioni millenarie che le vanno strette. Sono le 10.30 del mattino di un sabato qualunque quando nell'appartamento dietro la stazione a Ostia si accende l'ennesima discussione: "Volevano che mettessi il burqa, ma io mi sono rifiutata - racconta la ragazza ai militari, ancora scossa - mio fratello mi ha presa a schiaffi, mi ha strattonata e mi ha scaraventata contro il muro. Poi mi ha spinta ancora e ho battuto la testa contro un mobile". I carabinieri annotano tutto e scatta la denuncia per maltrattamenti e lesioni personali nei confronti della mamma e del 17enne. Poi l'accompagnano all'ospedale, dove l'adolescente viene indirizzata nel percorso rosa, quello per donne vittime di violenza. Ai medici spiega che da tempo è vittima di "violenze psicologiche da parte del padre e della madre che la vorrebbero costringere a rinunciare agli studi e a sposarsi con un matrimonio combinato" in Bangladesh. La diagnosi è quella di lieve trauma cranico ma soprattutto vengono riscontrati numerosi sintomi da stress legato alla violenza. Dopo la visita e gli accertamenti viene dimessa ed accolta nella casa protetta. A casa proprio non ci vuole tornare mai più.

Le reazioni

"Accanto ai sentimenti di solidarietà per la giovane bengalese, il pensiero corre ai tanti casi di maltrattamenti, anche più gravi, che la cronaca ci restituisce di continuo – dichiara la senatrice di Fratelli d'Italia, Isabella Rauti, responsabile del Dipartimento Pari Opportunità, Famiglia e Valori non negoziabili di FdI –. Un sommerso drammatico di violenze domestiche e familiari perpetrate in nome dell'osservanza dei dettami fondamentalisti. È inaccettabile, come ribadito da Giorgia Meloni, che nel nostro Paese alcune comunità straniere si rifiutino di rispettare la nostra cultura e di accettare le regole del vivere civile". Sulla stessa linea il senatore della Lega William De Vecchis: "Episodi così drammatici sono intollerabili per una democrazia come la nostra che nella sua legge fondante, la Costituzione, prevede il rispetto delle diversità, delle differenti opinioni e della scelta religiosa. Ora spazio alla magistratura che farà luce sui contorni di una vicenda ancora poco chiara e, se verranno accertate, che i colpevoli paghino per le loro responsabilità; va detto però con chiarezza che il fanatismo religioso islamista è incompatibile con la nostra comunità nazionale, già segnata da angoscianti vicende passate tristemente alla cronaca". Più cauto Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii), che a LaPresse ha voluto mettere in guardia dal rischio di "islamizzare le notizie", pur condannando la vicenda. Quello "della violenza domestica, di genere e dei genitori sui figli – sottolinea Lafram – è uno dei mali della nostra società" ed è "un problema trasversale, al di là della propria fede di appartenenza". Lafram ricorda anche che nella religione islamica "un atto di fede può essere valido davanti a Dio solamente se c’è la volontà di chi lo compie e lo compie in libertà". E certo indossare un certo abbigliamento o addirittura sposare una persona sconosciuta o un familiare solo perché imposto dai parenti non si possono certo scelte definire libere. "L’educazione che i genitori, di qualsiasi religione siano,  devono dare ai propri figli deve essere basata su amore, comprensione e rispetto. Non sulla violenza e sulla soggezione psicologica" commenta l’Imam di Milano Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, Comunità religiosa islamica italiana. Ma ammette, a volte capita che i genitori "strumentalizzino i precetti islamici" e "in nome di un formalismo esasperato, radicalizzino la propria 'incomprensione' dell’Occidente. Mancano coerenza e saggezza – conclude l'Imam –. D'altra parte, picchiare e punire è più sbrigativo di comunicare e capire".
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