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Home » Attualità » Olha, la nuova vita della rifugiata ucraina nel Mugello. Incinta, è stata accolta con la cugina dalla signora Svitlana

Olha, la nuova vita della rifugiata ucraina nel Mugello. Incinta, è stata accolta con la cugina dalla signora Svitlana

Da anni residente a San Piero a Sieve, in Toscana, una donna ha aperto le porte della sua casa alla cugina in fuga dalla guerra, e a una donna che sta per partorire, arrivata col suo bambino di otto anni

Maurizio Costanzo
25 Marzo 2022
Olha, Svitlana e Viktoria. La loro nuova vita dall'Ucraina al Mugello

Olha, Svitlana e Viktoria. La loro nuova vita dall'Ucraina al Mugello

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Una storia di accoglienza, di ripartenza e di fiducia per il futuro. Dalla guerra in Ucraina alla nuova vita in Mugello. È la storia di due donne che sono state accolte a San Piero a Sieve dalla signora Svitlana, che ha aperto le porte della sua piccola casa a San Piero per accogliere sua cugina, che ha portato con sé un’amica incinta direttamente dall’Ucraina.

Olha, Svitlana e Viktoria. La loro nuova vita dall’Ucraina al Mugello

“Io vivo in Italia dal 2001 e mi sono trasferita a San Piero, dove attualmente risiedo e lavoro, dal 2007 – racconta la signora Svitlana -. Ho alcuni parenti in Ucraina, alcuni sono bloccati lì perché, nel piccolo paese dove abitano, non ci sono corridoi umanitari. Temiamo per la loro vita ogni giorno. Grazie al cielo mia cugina Viktoria è riuscita a venire via da quell’inferno. Abitava a Mykolaiv, una delle città prese d’assedio. Sentiva gli spari e i bombardamenti, per una settimana non è riuscita a chiudere occhio. Poi è salita in macchina, diretta verso l’Italia. Ha guidato per cinque giorni per arrivare qui da noi. Ha portato con sé una sua amica Olha, al nono mese di gravidanza, che partorirà fra qualche giorno. Sono arrivate il 9 marzo”.

La signora Svitlana vive col suo compagno Roberto e due figli, ha aperto le porte della sua piccola casa per ospitare le due giovani donne: sua cugina Viktoria, 37 anni, e Olha 32

Da anni residente a San Piero, dove la signora Svitlana vive col suo compagno Roberto e due figli, ha aperto le porte della sua piccola casa per ospitare le due giovani donne: sua cugina Viktoria ha 37 anni e Olha 32 anni. “La mia è una casa piccola, ma stanno sicuramente meglio qui da me che lì dov’erano, col rischio di essere bombardate e di essere uccise. Mia cugina dorme con me – ci racconta Svitlana – mentre sul divano del salotto dorme Olha, insieme a suo figlio di 8 anni che ha portato con sé, e a cui a breve darà un fratellino che accoglieremo in casa”.

Svitlana con sua cugina Viktoria

Se per le due donne l’incubo è finito, non può dirsi così per i loro parenti. “I loro compagni sono rimasti in Ucraina – spiega Svitlana – con cui si sentono quando è possibile, a volte anche due volte al giorno. Ci giungono le immagini di quello che sta succedendo: i bombardamenti, le case distrutte dei vicini. È spaventoso. Mia cugina ha i genitori che sono rimasti in Ucraina, insieme a una sorella che ha un bambino piccolo. Non possono lasciare il loro piccolo paese per venire in Italia perché non ci sono corridoi umanitari. E non possiamo nemmeno telefonargli per sapere come stanno, perché sono da cinque giorni senza luce, i telefoni sono senza carica e non c’è internet. È tutto così terribile”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Una storia di accoglienza, di ripartenza e di fiducia per il futuro. Dalla guerra in Ucraina alla nuova vita in Mugello. È la storia di due donne che sono state accolte a San Piero a Sieve dalla signora Svitlana, che ha aperto le porte della sua piccola casa a San Piero per accogliere sua cugina, che ha portato con sé un’amica incinta direttamente dall'Ucraina.
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La signora Svitlana vive col suo compagno Roberto e due figli, ha aperto le porte della sua piccola casa per ospitare le due giovani donne: sua cugina Viktoria, 37 anni, e Olha 32

Da anni residente a San Piero, dove la signora Svitlana vive col suo compagno Roberto e due figli, ha aperto le porte della sua piccola casa per ospitare le due giovani donne: sua cugina Viktoria ha 37 anni e Olha 32 anni. “La mia è una casa piccola, ma stanno sicuramente meglio qui da me che lì dov’erano, col rischio di essere bombardate e di essere uccise. Mia cugina dorme con me – ci racconta Svitlana – mentre sul divano del salotto dorme Olha, insieme a suo figlio di 8 anni che ha portato con sé, e a cui a breve darà un fratellino che accoglieremo in casa”.

Svitlana con sua cugina Viktoria

Se per le due donne l’incubo è finito, non può dirsi così per i loro parenti. “I loro compagni sono rimasti in Ucraina – spiega Svitlana – con cui si sentono quando è possibile, a volte anche due volte al giorno. Ci giungono le immagini di quello che sta succedendo: i bombardamenti, le case distrutte dei vicini. È spaventoso. Mia cugina ha i genitori che sono rimasti in Ucraina, insieme a una sorella che ha un bambino piccolo. Non possono lasciare il loro piccolo paese per venire in Italia perché non ci sono corridoi umanitari. E non possiamo nemmeno telefonargli per sapere come stanno, perché sono da cinque giorni senza luce, i telefoni sono senza carica e non c’è internet. È tutto così terribile”.

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