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Home » Attualità » L’allarme di Save The Children: “In Afghanistan migliaia di bambini costretti a lavorare”

L’allarme di Save The Children: “In Afghanistan migliaia di bambini costretti a lavorare”

L'organizzazione internazionale, insieme ad altre ong, chiede alle autorità l'immediata revoca del divieto di far lavorare le donne nei programmi umanitari

Marianna Grazi
10 Gennaio 2023
Oltre oltre 28 milioni di bambini e adulti in Afghanistan hanno bisogno urgentemente di assistenza

Oltre oltre 28 milioni di bambini e adulti in Afghanistan hanno bisogno urgentemente di assistenza

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In Italia era Natale, giorno più giorno meno, quando i talebani in Afghanistan hanno proibito alle donne di lavorare per le organizzazioni non governative internazionali o nazionali operanti nel Paese. Una nuova stretta, che seguiva di poco il divieto per le ragazze di frequentare le università pubbliche e private dello Stato. Inoltre oggi, 10 gennaio, il governo talebano ha fissato una scadenza di 10 giorni per chiudere i saloni di bellezza e dichiarato che sarà vietato alle donne di lavorare nei centri commerciali. Lo riferiscono fonti citata da Al Arabiya.
Intanto, a due settimane di distanza dal divieto, Save the Children, una delle ong che si è vista imporre l’assurda misura, lancia un terribile allarme: i bambini potrebbero essere costretti a tornare a lavorare per strada, nelle fabbriche o nelle case della gente perché i servizi che li sostengono sono stati sospesi.

La crisi in l’Afghanistan

L’Afghanistan sta vivendo la peggior crisi economica e sociale mai registrata, di cui fanno le spese soprattutto donne e ragazze (Save the Children)

L’organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i minori e garantire loro un futuro opera nel Paese mediorientale dal 1976, ma come le altre associazioni umanitarie ha dovuto sospendere le attività a causa del divieto al lavoro per le operatrici afghane. Queste, infatti, costituiscono il 50% della forza lavoro della ong e sono fondamentali per raggiungere donne e ragazze che, per motivi culturali, non possono interagire con operatori umanitari uomini e quindi sono essenziali per rendere sicuri ed efficaci i programmi di Save the Children. Programmi ora più che mai necessari, visto che il divieto arriva in un momento in cui l’Afghanistan sta affrontando la peggiore crisi economica e alimentare mai registrata, con oltre 28 milioni di bambini e adulti che hanno bisogno urgentemente di assistenza. Tanto che, sempre più spesso, i genitori che cercano disperatamente di sfamare le proprie famiglie sono costretti a mandare i propri figli a lavorare in ambienti molte volte pericolosi.

Le parole di Hasina e Nasreen

I talebani hanno imposto il divieto alle ong di far lavorare le donne locali. Così miolioni di bambini saranno però costretti a tornare a lavorare (Save the Children)

Da una recente indagine emerge che il 29% delle famiglie con capofamiglia donna nel 2022 aveva almeno un figlio impegnato nel lavoro minorile, rispetto al 19% del 2021. Hasina (nome di fantasia), una delle operatrici di Save the Children impiegata nella salvaguardia dei minori, ha dichiarato di essere profondamente preoccupata dalle conseguenze del divieto che “per le lavoratrici umanitarie significa che non possiamo gestire i nostri programmi di assistenza ai bambini – ma in particolare alle ragazze – impiegati nelle forme più pericolose di impiego minorile, come il lavoro nelle fabbriche di mattoni, nei cantieri, nelle case delle persone, nella raccolta rifiuti e nell’accattonaggio per le strade”. Tra queste giovani in pericolo c’è Nasreen (nome di fantasia), 16 anni, che è stata costretta a lasciare la scuola per lavorare. Hasina e il suo team l’hanno trovata e l’hanno iscritta al programma di formazione professionale di Save the Children: ”Avevamo molti problemi finanziari e io lavoravo nelle case di altre persone pulendo, lavando i piatti, badando ai bambini e cucinando. Ma non era abbastanza, quindi ho dovuto iniziare anche a chiedere l’elemosina. Ero così sconvolta, infelice e stanca della mia vita”, ha raccontato l’adolescente. “Lo staff di Save the Children è andato di casa in casa per identificare i ragazzi e le ragazze vulnerabili. Qualcuno ha raccontato loro di me, che lavoravo in casa di alcune persone. Mi hanno fatto delle domande e, per due mesi, ho seguito corsi di alfabetizzazione e poi abbiamo iniziato la formazione professionale. Sto imparando a ricamare, cucire vestiti e disegnare abiti. È una buona opportunità per me e mi sento così felice”, ha concluso Nasreen, prima che i programmi venissero sospesi. Ora è di nuovo a casa e teme di essere costretta a tornare al lavoro.

L’impegno di Save the Children

Save The Children chiede l’immediata revoca del divieto e garanzie per le operatrici locali (Save the Children)

L’organizzazione, insieme ad altre ong internazionali, sta chiedendo costantemente l’immediata revoca del divieto e garanzie, da parte delle autorità de facto competenti, che il suo personale femminile sarà in grado di lavorare in sicurezza e senza impedimenti. Save the Children ha sospeso temporaneamente le operazioni al momento del ritorno al potere dei talebani nell’agosto del 2021, per poi riprenderle nuovamente il mese successivo. Da allora, l’organizzazione ha fornito un supporto salvavita a quasi 4 milioni di persone, tra cui 2 milioni di bambini. I servizi di protezione dell’infanzia di Save the Children includono supporto alla salute mentale e psicosociale per i bambini ma anche sovvenzioni in denaro alle famiglie per aiutarle a evitare di ricorrere a misure disperate per sopravvivere. Il progetto dell’Organizzazione sul lavoro minorile aiuta i bambini a tornare a scuola o, se ciò non è possibile, fornisce loro formazione professionale e una piccola borsa di studio per aiutarli a creare un reddito sicuro e sostenibile. Ora però tutte queste attività sono sospese a causa del divieto: ma il futuro non attende e migliaia di giovani rischiano di rimanere ancorati alle maglie di un passato di povertà e sfruttamento.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
In Italia era Natale, giorno più giorno meno, quando i talebani in Afghanistan hanno proibito alle donne di lavorare per le organizzazioni non governative internazionali o nazionali operanti nel Paese. Una nuova stretta, che seguiva di poco il divieto per le ragazze di frequentare le università pubbliche e private dello Stato. Inoltre oggi, 10 gennaio, il governo talebano ha fissato una scadenza di 10 giorni per chiudere i saloni di bellezza e dichiarato che sarà vietato alle donne di lavorare nei centri commerciali. Lo riferiscono fonti citata da Al Arabiya. Intanto, a due settimane di distanza dal divieto, Save the Children, una delle ong che si è vista imporre l'assurda misura, lancia un terribile allarme: i bambini potrebbero essere costretti a tornare a lavorare per strada, nelle fabbriche o nelle case della gente perché i servizi che li sostengono sono stati sospesi.

La crisi in l'Afghanistan

L'Afghanistan sta vivendo la peggior crisi economica e sociale mai registrata, di cui fanno le spese soprattutto donne e ragazze (Save the Children)
L'organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i minori e garantire loro un futuro opera nel Paese mediorientale dal 1976, ma come le altre associazioni umanitarie ha dovuto sospendere le attività a causa del divieto al lavoro per le operatrici afghane. Queste, infatti, costituiscono il 50% della forza lavoro della ong e sono fondamentali per raggiungere donne e ragazze che, per motivi culturali, non possono interagire con operatori umanitari uomini e quindi sono essenziali per rendere sicuri ed efficaci i programmi di Save the Children. Programmi ora più che mai necessari, visto che il divieto arriva in un momento in cui l'Afghanistan sta affrontando la peggiore crisi economica e alimentare mai registrata, con oltre 28 milioni di bambini e adulti che hanno bisogno urgentemente di assistenza. Tanto che, sempre più spesso, i genitori che cercano disperatamente di sfamare le proprie famiglie sono costretti a mandare i propri figli a lavorare in ambienti molte volte pericolosi.

Le parole di Hasina e Nasreen

I talebani hanno imposto il divieto alle ong di far lavorare le donne locali. Così miolioni di bambini saranno però costretti a tornare a lavorare (Save the Children)
Da una recente indagine emerge che il 29% delle famiglie con capofamiglia donna nel 2022 aveva almeno un figlio impegnato nel lavoro minorile, rispetto al 19% del 2021. Hasina (nome di fantasia), una delle operatrici di Save the Children impiegata nella salvaguardia dei minori, ha dichiarato di essere profondamente preoccupata dalle conseguenze del divieto che "per le lavoratrici umanitarie significa che non possiamo gestire i nostri programmi di assistenza ai bambini - ma in particolare alle ragazze - impiegati nelle forme più pericolose di impiego minorile, come il lavoro nelle fabbriche di mattoni, nei cantieri, nelle case delle persone, nella raccolta rifiuti e nell'accattonaggio per le strade". Tra queste giovani in pericolo c'è Nasreen (nome di fantasia), 16 anni, che è stata costretta a lasciare la scuola per lavorare. Hasina e il suo team l'hanno trovata e l'hanno iscritta al programma di formazione professionale di Save the Children: ''Avevamo molti problemi finanziari e io lavoravo nelle case di altre persone pulendo, lavando i piatti, badando ai bambini e cucinando. Ma non era abbastanza, quindi ho dovuto iniziare anche a chiedere l'elemosina. Ero così sconvolta, infelice e stanca della mia vita", ha raccontato l'adolescente. "Lo staff di Save the Children è andato di casa in casa per identificare i ragazzi e le ragazze vulnerabili. Qualcuno ha raccontato loro di me, che lavoravo in casa di alcune persone. Mi hanno fatto delle domande e, per due mesi, ho seguito corsi di alfabetizzazione e poi abbiamo iniziato la formazione professionale. Sto imparando a ricamare, cucire vestiti e disegnare abiti. È una buona opportunità per me e mi sento così felice", ha concluso Nasreen, prima che i programmi venissero sospesi. Ora è di nuovo a casa e teme di essere costretta a tornare al lavoro.

L'impegno di Save the Children

Save The Children chiede l'immediata revoca del divieto e garanzie per le operatrici locali (Save the Children)
L'organizzazione, insieme ad altre ong internazionali, sta chiedendo costantemente l'immediata revoca del divieto e garanzie, da parte delle autorità de facto competenti, che il suo personale femminile sarà in grado di lavorare in sicurezza e senza impedimenti. Save the Children ha sospeso temporaneamente le operazioni al momento del ritorno al potere dei talebani nell'agosto del 2021, per poi riprenderle nuovamente il mese successivo. Da allora, l'organizzazione ha fornito un supporto salvavita a quasi 4 milioni di persone, tra cui 2 milioni di bambini. I servizi di protezione dell'infanzia di Save the Children includono supporto alla salute mentale e psicosociale per i bambini ma anche sovvenzioni in denaro alle famiglie per aiutarle a evitare di ricorrere a misure disperate per sopravvivere. Il progetto dell'Organizzazione sul lavoro minorile aiuta i bambini a tornare a scuola o, se ciò non è possibile, fornisce loro formazione professionale e una piccola borsa di studio per aiutarli a creare un reddito sicuro e sostenibile. Ora però tutte queste attività sono sospese a causa del divieto: ma il futuro non attende e migliaia di giovani rischiano di rimanere ancorati alle maglie di un passato di povertà e sfruttamento.
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