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Schiavitù moderna, 50 milioni di persone nel mondo sono vittime di lavoro e matrimoni forzati

Sono dieci milioni in più dal 2016, oltre la metà sono donne. A rischio soprattutto migranti e minoranze. "L’antidoto è rafforzare la protezione sociale"

di DOMENICO GUARINO -
16 settembre 2022
Nuovi schiavi: i lavoratori migranti hanno una probabilità più che tripla di essere sottoposti a lavoro forzato

Nuovi schiavi: i lavoratori migranti hanno una probabilità più che tripla di essere sottoposti a lavoro forzato

Almeno 50 milioni. Tanti sono nel mondo i moderni schiavi, persone costrette a un lavoro o a un matrimonio forzato, che non possono rifiutare a causa di minacce, violenza, coercizione, inganno o abuso di potere. Il numero è aumentato significativamente negli ultimi cinque anni e nel 2021 era di 10 milioni in più rispetto a quanto registrato dalle stime globali del 2016. Ovviamente le maggiori vittime sono donne e bambini. Ad affermarlo è il rapporto "Global Estimates of Modern Slavery: Forced Labour and Forced Marriage" (cioè “Stime globali della schiavitù moderna: Lavoro forzato e matrimonio forzato”) che riporta dati del 2021. In particolare, delle persone coinvolte 28 milioni erano costrette al lavoro forzato e 22 milioni erano costrette in matrimonio forzato.
Lo sfruttamento sessuale ai fini commerciali rappresenta il 23 per cento di tutto il lavoro forzato

Lo sfruttamento sessuale ai fini commerciali rappresenta il 23 per cento di tutto il lavoro forzato

Una pratica da paesi ‘sottosviluppati’? Mica tanto: la schiavitù moderna è presente in quasi tutti i paesi del mondo e non conosce frontiere etniche, culturali o religiose, tanto che più della metà (52 per cento) del lavoro forzato e un quarto di tutti i matrimoni forzati si concentrano nei paesi a reddito medio-alto o alto. I lavoratori migranti hanno una probabilità più che tripla di essere sottoposti a lavoro forzato rispetto ai lavoratori adulti non migranti. “È sconvolgente che la schiavitù moderna continui ad esistere. Nulla può giustificare la persistenza di questo abuso fondamentale dei diritti umani”, ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), Guy Ryder. “Sappiamo cosa bisogna fare e sappiamo che si può fare. Politiche e normative nazionali efficaci sono fondamentali ma i governi non possono farlo da soli. Le norme internazionali forniscono una base solida ed è necessario un approccio che coinvolga tutti. I sindacati, le organizzazioni dei datori di lavoro, la società civile e la gente comune hanno tutti un ruolo fondamentale da svolgere” ha aggiunto Ryder. Dal rapporto si evince che la maggior parte dei casi di lavoro forzato (86 per cento) si registra nel settore privato. Come definito nella Convenzione dell’Oil sul lavoro forzato del 1930 (n. 29) , ci si riferisce a “ogni lavoro o servizio estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per il quale detta persona non si sia offerta spontaneamente”. In totale il lavoro forzato in settori diversi dallo sfruttamento sessuale commerciale rappresenta il 63 per cento di tutto il lavoro forzato, mentre lo sfruttamento sessuale ai fini commerciali rappresenta il 23 per cento. Quasi quattro su cinque delle persone vittime di sfruttamento sessuale ai fini commerciali sono donne o ragazze. Il lavoro forzato imposto dallo Stato rappresenta il 14 per cento. Quasi uno su otto di tutti i lavoratori forzati sono bambini (3,3 milioni) e più della metà di essi sono vittime di sfruttamento sessuale a fini commerciali. Per quanto riguarda invece il matrimonio forzato, si stima che, le persone coinvolte siano circa 22 milioni, con un aumento di 6,6 milioni rispetto alle stime globali del 2016. Ma va detto l’incidenza reale dei matrimoni forzati, in particolare quelli che coinvolgono minori di 16 anni o meno, è probabilmente molto più alta di quanto registrato dalle stime attuali. La stragrande maggioranza dei matrimoni forzati (oltre l’85 per cento) è stata determinata da pressioni familiari. La prevalenza delle persone costrette a sposarsi è più alta negli Stati arabi, con 4,8 persone su 1.000 nella regione. Antonio Vitorino, direttore generale dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), ha dichiarato: “La riduzione della vulnerabilità dei migranti al lavoro forzato e alla tratta di esseri umani dipende innanzitutto da politiche nazionali e quadri normativi che rispettino, proteggano e realizzino i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti i migranti, e potenziali migranti, in tutte le fasi del processo migratorio, indipendentemente dallo status migratorio. Le società devono lavorare insieme per invertire queste tendenze, anche attraverso l’attuazione del Patto globale sulla migrazione”.