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Home » Attualità » Seid, suicida a 20 anni: “Sento ovunque gli sguardi prevenuti, schifati e impauriti delle persone”

Seid, suicida a 20 anni: “Sento ovunque gli sguardi prevenuti, schifati e impauriti delle persone”

Nato in Etiopia e poi adottato, era stato nelle giovanili del Milan. Nella lettera racconta il razzismo che subiva costantemente, che l'ha portato a compiere il gesto estremo

Marianna Grazi
5 Giugno 2021
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Morire a 20 anni. È già brutto pensare una cosa del genere, ma sapere che Seid, a 20 anni, si è tolto la vita diventa straziante. Come straziante ma potentissima è la lettera che aveva lasciato nel 2019 ai suoi amici e alla psicoterapeuta, una serie di riflessioni sulle sofferenze per i piccoli grandi gesti di discriminazione che sentiva ogni giorno su di sé che è stato letto sabato 5 giugno durante il suo funerale. Un racconto in prima persona che risponde alla domanda che oggi tutti si fanno: perché?

Nato in Etiopia, Seid Visin era stato adottato in Italia da piccolo, a Nocera Inferiore. Nuovo Paese, nuova vita. Sembrava andare tutto bene. Da piccolo era amato e coccolato da tutti, come racconta lui stesso nella lettera. “Io non sono un immigrato –  scriveva – Sono stato adottato da piccolo […]. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità“.

Era bravo a giocare a pallone, tanto che aveva passato un paio di stagioni a giocare nelle giovanili del Milan. Aveva indossato anche la maglia del Benevento ma alla fine aveva scelto di studiare. Fine del calcio professionistico e rientro a Nocera, in famiglia. Di recente si era impegnato per l’Atletico Vitalica, una squadra di calcio a cinque. 

Ma, come il risveglio da quello che sembrava un sogno, è successo qualcosa. “Adesso sembra che si sia capovolto tutto – continuava nella lettera – Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone“. Gli sguardi di disprezzo, i gesti razzisti della donna che stringe a sé la borsetta sull’autobus o che non vuole farsi servire da lui in negozio. Perché, oltre a studiare, Seid voleva anche guadagnarsi da vivere autonomamente, come qualsiasi ragazzo della sua età.

“Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani non trovassero lavoro. Dentro di me è cambiato qualcosa. Come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco”. Dentro di lui affondava sempre di  più quella lama fatta di razzismo, pregiudizi, paura. Sì, anche paura, quella che vedeva negli occhi delle persone verso gli stranieri, i migranti, e che lui cercava di esorcizzare facendo – confessava- “battute di pessimo gusto su neri e immigrati”.

Il finale della lettera, le sue parole, suonano come una sorta di testamento ma anche di monito: “Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente ‘Vita’“.

Un monito perché, in futuro, nessun ragazzo o ragazza, di qualsiasi età, di qualsiasi colore di pelle, senta di aver perso ormai ogni speranza e si senta costretto a togliersela, quella vita.

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Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
Morire a 20 anni. È già brutto pensare una cosa del genere, ma sapere che Seid, a 20 anni, si è tolto la vita diventa straziante. Come straziante ma potentissima è la lettera che aveva lasciato nel 2019 ai suoi amici e alla psicoterapeuta, una serie di riflessioni sulle sofferenze per i piccoli grandi gesti di discriminazione che sentiva ogni giorno su di sé che è stato letto sabato 5 giugno durante il suo funerale. Un racconto in prima persona che risponde alla domanda che oggi tutti si fanno: perché? Nato in Etiopia, Seid Visin era stato adottato in Italia da piccolo, a Nocera Inferiore. Nuovo Paese, nuova vita. Sembrava andare tutto bene. Da piccolo era amato e coccolato da tutti, come racconta lui stesso nella lettera. "Io non sono un immigrato -  scriveva - Sono stato adottato da piccolo [...]. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità".
Era bravo a giocare a pallone, tanto che aveva passato un paio di stagioni a giocare nelle giovanili del Milan. Aveva indossato anche la maglia del Benevento ma alla fine aveva scelto di studiare. Fine del calcio professionistico e rientro a Nocera, in famiglia. Di recente si era impegnato per l’Atletico Vitalica, una squadra di calcio a cinque. 
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Il finale della lettera, le sue parole, suonano come una sorta di testamento ma anche di monito: "Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente 'Vita'".
Un monito perché, in futuro, nessun ragazzo o ragazza, di qualsiasi età, di qualsiasi colore di pelle, senta di aver perso ormai ogni speranza e si senta costretto a togliersela, quella vita.
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