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Senza più sezioni e lontani dalla gente, come i partiti possono tornare a parlare alle periferie

di ETTORE MARIA COLOMBO -
29 dicembre 2021
UccellacciUccellini

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Il corvo e gli occhi di Totò: il messaggio di Uccellacci e uccellini

Nel film Uccellacci e uccellini, un capolavoro di Pier Paolo Pasolini, l’ultimo film girato da Totò, ormai quasi del tutto cieco, e come spalla Ninetto Davoli, uno degli attori cult di Pasolini. I due protagonisti, Marcello (Totò) e suo figlio Ninetto (Davoli), vagano per le periferie e le campagne (a quei tempi, il film è del 1966, anche la campagna e il suo orizzonte erano periferia) intorno alla città di Roma, metropoli ‘bastarda’, caotica e ‘sporca’ per eccellenza (lo è pure oggi).
Renato Guttuso, I funerali di Togliatti, 1972

Renato Guttuso, I funerali di Togliatti, 1972

Durante il loro cammino, incontrano un corvo… È un corvo con una leggera inflessione bolognese. Il volatile, saggio e acculturato, si presenta e dice di venire dal paese chiamato Ideologia. Vive nella capitale del Futuro, in Via Karl Marx al numero settanta volte sette. Segue i due strambi e strampalati protagonisti e lungo il cammino li delizia con storielle, aneddoti e parabole sull’uomo e il senso della vita. Ma dato che Pasolini amava essere didascalico, e farsi capire, una didascalia, piantata in mezzo al film, spiega: "Per chi avesse dei dubbi o si fosse distratto, ricordiamo che il corvo è un intellettuale di sinistra - diciamo così - di prima della morte di Palmiro Togliatti". La frase, ovviamente, è ironica, anzi sarcastica. Togliatti fu il leader e il vero, unico, riconosciuto capo del Pci (il più grande partito comunista dell’intera Europa occidentale, cioè fuori dal blocco sovietico) e i suoi funerali (immortalati da un celebre quadro di Renato Guttuso) sono citati dentro il film. "Ultimo venne il corvo" è anche il titolo del racconto, che dà il nome alla raccolta omonima di racconti resistenziali di Italo Calvino (Einaudi, 1949), che si pone come una riflessione sulla problematicità della morale umana e sul problema del discernimento del bene dal male. In sostanza, Pasolini irride all’incapacità - a metà degli anni Sessanta, cioè in pieno boom economico, già manifesta – del maggior partito della sinistra italiana a sapere interpretare e leggere le periferie, cioè quel ‘popolo’ (operai, contadini, lavoratori) e/o ‘popolino’ (artigiani, commercianti, bottegai) che un partito di sinistra dovrebbe saper capire e interpretarne i bisogni in modo chiaro e naturale.

L’incapacità della sinistra e del cristianesimo di leggere la periferia

Ninetto Davoli e Totò in Uccellacci e uccellini

Il corvo di Pasolini, vero escamotage narrativo del film, narra ai due protagonisti la storia di due frati francescani, Ciccillo e Ninetto (sempre interpretati da Totò e Davoli) cui San Francesco in persona ha ordinato di evangelizzare i… falchi e i passeri, che si beccano sempre tra loro, ma i frati non riescono nell’impresa: le due classi di uccelli non mettono fine alla loro feroce rivalità. Il corvo continua a parlare a Totò e Davoli, che affrontano varie altre vicissitudini, in modo intellettualistico, altisonante, aulico, fin quando Totò e Ninetto, stanchi delle chiacchiere saccenti del corvo, lo uccidono e se lo mangiano arrosto. Il film, lodato dalla critica, ma un flop al botteghino, venne definito dallo stesso Pasolini "il mio film che ho amato e continuo ad amare di più, prima di tutto perché come dissi quando uscì è 'il più povero e il più bello' e poi perché è l'unico mio film che non ha deluso le attese". Soprattutto, contiene un formidabile messaggio politico e, anche, ideologico. Mirabolante descrizione del genere umano, il film si può sintetizzare con una nota legge di natura: "il pesce grosso mangia quello piccolo". Infatti, Ninetto e Totò non sono solamente due morti di fame, ma due uomini. Uomini che, nonostante le idee marxiste che circolavano (allora) e la povertà che Pasolini non rinuncia a descrivere, sono umiliati e disprezzati da quelli più in alto di loro e allo stesso tempo disprezzano e umiliano quelli messi più in basso. Uccellacci e uccellini descrive l’impossibilità di seguire sia la parola del Signore sia quella del signor Marx, specie quando a dettarci le regole è un individuo colto, intellettuale e altisonante.  

La Prima Repubblica e i partiti di massa

La digressione cinematografica ci è molto utile per inquadrare il tema del rapporto tra Politica e periferie. Nella Prima Repubblica esistevano, come si sa, i partiti di massa. Dc e Pci, soprattutto, ma anche quelli minori (il Psi, che attingeva le sue origini dal grande Psi del primo Novecento) e gli altri, persino il Msi a destra) avevano un radicamento sociale fortissimo. Sezioni, cellule e comitati cittadini, provinciali, regionali, nazionali presiedevano alla militare organizzazione della vita pubblica – politica, certo, ma anche sociale, culturale, artistica – di una Repubblica che, non a caso, venne definita Repubblica dei partiti. Cuore e architrave dei partiti e degli uomini che avevano condotto la lotta al regime fascista (a sua volta, peraltro, rigidamente organizzato come un partito di massa che, pur se totalitario e anti-liberale, organizzava la vita degli italiani in modo scientifico e totale) la guerra partigiana, la lotta di Liberazione, e che avevano scritto la Costituzione repubblicana. Insomma, si potrebbe quasi dire che Pasolini – intellettuale di sinistra, ma critico e sovversivo – era stato fin troppo ingeneroso. Almeno fino alla metà degli anni Sessanta i partiti di massa, sia di governo (Dc) che di opposizione (Pci) sapevano interpretare e capire la realtà sociale italiana perché avevano antenne, prensili e ramificate, in tutti i gangli sociali, periferie urbane comprese. Eppure, già dagli inizi degli anni Settanta, ‘todo cambia’. La contestazione studentesca e operaia e, dopo, la nascita delle formazioni della sinistra (e della destra, anche) extraparlamentare denota uno iato, una rottura, una cesura netta tra il popolo, o le masse, come venivano chiamate, i loro bisogni, le loro aspirazioni politiche e sociali, e una realtà politica sempre più incartapecorita sempre più si chiude nei Palazzi del Potere. L’edonismo e il disimpegno, ma anche il nuovo boom economico degli anni Ottanta, gli anni del riflusso (dalle Ideologie come dalla Politica) fanno il resto. La Politica si distacca dalla gente (nel frattempo parole come masse e popolo cadono in rapido disuso, anche se la parola popolo rinascerà, di recente, ma a destra, sotto forma di populismo) e diventa un rito per soli iniziati mentre le persone diventano sempre più individui, soggettività quasi anarchiche, di certo libere da ogni vincolo, e condizionamento, ideologico, e la gente non vive più la Politica come un bisogno, ma solo come noiosa necessità.

Il confuso arrivo della Seconda Repubblica e la società liquida

Bettino Craxi al processo Mani Pulite

Bettino Craxi al processo Mani Pulite

Nel frattempo, la Prima Repubblica crolla, tra il 1992 e il 1993, per colpa di un sistema dei partiti che, tra tangenti e appalti, diventa sempre più vorace, esoso e ricattatorio, sotto i colpi delle stragi di mafia e di un’ondata di indignazione civile che fa dei giudici di Mani Pulite degli eroi. Il sistema dei partiti cade definitivamente – come pure crolla il Muro di Berlino e si eclissa per sempre il sistema comunista, e muore il Pci, mentre c’è chi canta, errando, la fine della Storia - e, per convenzione giornalistica, si dice che siamo entrati, dall’ingresso in politica di Silvio Berlusconi, nella famosa Seconda Repubblica. Il sistema dei partiti viene travolto e stravolto: tutti, o quasi (tranne Lega Nord e Verdi, ad oggi i partiti più vecchi) cambiano nome, scompaiono, si trasformano in comitati elettori permanenti, si rafforzano i loro (veri o presunti) leader, ma le loro strutture e le loro organizzazioni – complice la fine del finanziamento pubblico dei partiti – diventano sempre più deboli, evanescenti, liquide. Viviamo, del resto, in quella che un grande sociologo della contemporaneità, Zygmunt Bauman, ha definito con una felice espressione: una "società liquida". L’idea di Bauman è che viviamo in una società che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile, in cui i confini e i riferimenti sociali si perdono e i poteri si allontanano dal controllo delle persone. Potrebbe, a prima vista, trattarsi di un’opportunità (quanto male, è stato detto e scritto, le ideologie hanno fatto e quanti danni, e costi, anche in termini di vite umane, hanno procurato), ma si rivela, presto, un’arma a doppio taglio. Se, infatti, la Politica si allontana dalla società, dal popolo, dai cittadini (sempre meno consapevoli del loro ruolo, dei loro diritti come pure dei loro doveri), le persone, deprivate del loro essere comunità, diventano monadi infelici, sole, abbandonate a sé, al Destino, alle leggi dell’homo hominis lupus. Un abbandono, quello che la Politica fa e compie, verso la società, che aumenta in modo esponenziale e progressivo specie nelle periferie.

Come un gatto in tangenziale: le periferie e la delusione dell’abbandono

Scena tratta dal film "Come un gatto in tangenziale"

Da questo punto di vista è altamente illuminante un film del 2018, Come un gatto in tangenziale, con Antonio Albanese e Paola Cortellesi (regia di Riccardo Milani) come pure il suo seguito, o sequel, Ritorno a Coccia di Morto (2021, stesso regista e stessi attori, più molti altri di contorno). Due film, interamente girati nella più brutta, forse, delle tante, e brutte, periferie romane, quella del quartiere Corviale e, in particolare, della fortezza che racchiude e delimita, come un mondo a parte, gli orrendi palazzoni di Bastogi, una vera 'fortezza' di poveri, diseredati e disperati del mondo, extracomunitari compresi. Film che raccontano – tra humor nero e risate nel pieno stile della commedia all’italiana – come a non parlarsi più siano, oggi, l’alto e il basso, il ricco e il povero, l’intellettuale e l’ignorante, il benestante e il proletario, l’illuminato e l’ottuso. E se sono cambiati gli addendi dell’equazione (non più la dicotomia partiti/società mutuata dalle ideologie e dalla politica, ma il benestante, raffinato e intellettuale, ovviamente di sinistra, e il proletario/a, che ha perso ogni desiderio di riscatto politico-ideologico, ma coltiva una forte rabbia sociale, pur se non sa contro chi rivolgerla) non è cambiato il risultato. La Politica è distante (il Governo, un Ministro, un Politico, definizioni generiche e distanti, ma assai realistiche, ahi noi), lontana, asserragliata nei suoi Palazzi mentre la gente, le persone vivono le loro contraddizioni come pure le loro illusioni e coltivano i loro sogni che sono, però, illusioni e sogni di ‘promozione’ sociale, oltre che sentimentale, e non più politici. Non cercano cioè alcun riscatto politico/morale.

L’illusione dei 5Stelle, i patetici approcci del Pd e la risposta della Destra

Nulla è cambiato, da questo punto di vista, con l’irrompere sulla scena del Movimento 5Stelle, che pure doveva/voleva portare una ventata di freschezza, oltre che di purezza, nella Politica, riportare il Palazzo, oltre che il Parlamento, vicino alla gente, al popolo, ma che presto si è ben adagiata nei riti e nei vizi dei Sacri Palazzi (del Potere) fino a scimmiottarne usi e abusi, fino al suo decadimento rappresentato dalla frase "Volevate aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e il tonno siete diventati voi!". Un po’ patetico, anche, da un altro punto di vista, il tentativo del Pd, ad oggi il maggior partito della sinistra italiana (solo che il Pci valeva il 30% dei voti e il Pd ne vale il 20% appena…), che cerca – tra Agorà telematiche e viaggi nelle periferie (lo stanno compiendo, per dire, i senatori dem, che ne hanno già viste e visitate parecchie, in questi mesi, come non le avessero mai viste prima o come se non vi avessero mai messo piede, stile StanleY Livingstone in Africa alla ricerca dell’Arcadia perduta del Mondo…) – di avvicinare un popolo che ricorda sempre più "il volgo disperso che nome non ha" di manzoniana memoria che popolo consapevole a una Politica che, in questi giorni, è tutta introflessa nel gran gioco del Colle e che, delle periferie e del loro stato di abbandono poco si cura perché assai (troppo) poco ne sa…Più calzante, anche se assai più facile, la risposta ai bisogni della gente, del popolo, dei cittadini, della Destra sovranista e populista: un mix di rabbia sociale, aizzata e fomentata, contro il diverso, il negro, il debole, alla caccia degli ultimi da buttare giù dalla nave (o torre) per permettere ai penultimi di restarvi dentro, ma che si risolve, alla fine, in un surplus di odio sociale, razziale, oltre che politico, contro il diverso cercando di ristabilire le vecchie classi sociali solo cambiando la fonte dell’odio (da quello economico a quello razziale). Un puro concentrato di xenofobia che riscuote successo, in termini di consensi elettorali, forse, in futuro, ma che non fa compiere un passo avanti a nessun attore politico, figurarsi agli ultimi della scala.

Il Covid ha acuito le solitudini, il Pnrr potrà alleviarle, se sarà ‘illuminato’

Neppure il Covid, con il suo acuire le differenze e le sperequazioni sociali ed economiche, con il suo rendere sempre più palesi e clamorose le ingiustizie e le diseguaglianze sociali, ha portato consiglio a una classe politica che non riesce a mettere in campo un piano decente, e dignitoso, per fornire più diritti, maggiori protezioni sociali, meno disparità di reddito e più uguaglianza, cioè a rispettare le indicazioni della Costituzione e a mettere in campo una Politica degna di tale nome. La Chiesa, certo, e le chiese, non solo la cattolica, come pure le organizzazioni no-profit, ci "mettono una pezza" per cercare di alleviare sofferenze, dolori e solitudini, ma non basta e, certo, non può bastare. Qualcosa potrebbe fare un uso illuminato delle risorse che la Ue ha riconosciuto all’Italia con i fondi del Pnrr e che l’Italia, e il governo Draghi, sta cercando di sfruttare al meglio. Ma il rischio di creare, come nel film Ritorno a Coccio di Morto, solo cattedrali nel deserto che non migliorano davvero la vita nelle periferie, ma che si fermino a una pura riverniciatura dell’esistente è alto. "Che fare?", dunque. La domanda è inane e, forse, peregrina, ma certo è che se i partiti sono deboli, la società liquida e gli individui sempre più soli e abbandonati a loro stessi, non se ne esce e si otterranno solo risultati finti, puri palliativi. Eppure, qualcosa bisogna fare, non foss’altro che per non dare ragione alla morale pasoliniana. "La morte è una livella", diceva Totò, ma la vita, secondo Pasolini, è una continua lotta fra il più forte e il più debole, ma ognuno è più forte e più debole di qualcun altro e, alla fine, c’è sempre quello che ci rimette. Come il finale del film, nella nostra vita, saremo uccellacci o uccellini?