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Home » Attualità » Sevizia e uccide la cagnolina per vendicarsi della sua ex e poi posta il video: denunciato

Sevizia e uccide la cagnolina per vendicarsi della sua ex e poi posta il video: denunciato

Prosegue il processo a Gaetano Foco, 32 anni, accusato di maltrattamenti sugli animali e della morte. La padrona della piccola Pilù: "Non riesco a vedere quelle immagini"

Martina Vacca
21 Dicembre 2021
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Tutto era apparecchiato per le riprese: gli strumenti di tortura già posizionati, un pennarello e un imbuto, usati per essere infilati nel retto e poi nella bocca, e l’inquadratura del cellulare fissa sul cagnolino e sul suo aguzzino. Il video, quello choc delle sevizie, era stato postato su Facebook mesi dopo la morte della piccola Pilù, pincher nano, dal suo stesso aguzzino. L’obiettivo? Farla pagare alla sua ex fidanzata, costringendola a guardare con i suoi stessi occhi la fine orribile della sua cagnolina, sottoposta ad atroci torture. Quel video la sua padroncina non ha mai avuto il coraggio di visionarlo per intero, come ha raccontato in lacrime ieri mattina nell’aula del tribunale monocratico nel palazzo di San Mercuriale a Pistoia. I fatti risalgono al maggio del 2015 e sono avvenuti a Pescia, ma la denuncia arrivò un anno dopo, ad ottobre 2016, quando quel video di fatto svelò a tutta la famiglia e tanti altri la vera fine di Pilù. Una fine che ha scatenato l’indignazione di tante associazioni animaliste, arrivate negli anni a Pistoia da tutta Italia.

Ieri il processo a carico dell’unico imputato accusato di maltrattamenti sugli animali e della morte (articolo 544 codice penale) Gaetano Foco, 32 anni, originario di Messina, ma da tempo a Pescia, è entrato ora nel vivo. Prima dell’udienza, in piazza del Duomo si è svolto il presidio di Animalisti Italiani, arrivati da Roma e da Lucca, con il presidente Walter Caporali e l’avvocato Filippo Querci, per sostenere la battaglia in difesa di Pilù. Poi l’udienza: davanti al giudice Barbara Floris, è stata la padroncina di Pilù a parlare per prima. “Non sono mai riuscita a vedere per intero quelle immagini”. È stata lei a ricostruire le ultime ore di Pilù. Il cagnolino che viveva nella casa dei genitori della ragazza, era stato affidato a lei nella casa di Pescia che condivideva con il fidanzato solo per pochi giorni, il tempo del trasloco della sua famiglia. Le violenze erano avvenute durante l’assenza della padroncina: tra i due fidanzati le cose non andavano più bene da tempo, tanto che la mamma di lei non lo aveva più voluto in casa, da quando il ragazzo aveva alzato le mani sulla figlia. Così, il ragazzo aveva portato la cagnolina nel garage della loro casa e l’aveva seviziata (questo si vede nel video che non pubblichiamo sui nostri siti per non offendere la sensibilità delle persone). Un pennarello e un imbuto, gli strumenti di tortura “apparecchiati davanti alla videocamera del cellulare che inquadra anche l’autore di quelle torture”, come ha raccontato in aula anche uno dei carabinieri che hanno svolto le indagini. Al rientro a casa, la padroncina di Pilù trova il cane a terra sulla terrazza, si accorge che sta male e lo porta dal suo veterinario, il dottor Torri di Pescia. Poche ore dopo morirà: “acidosi metabolica”, la diagnosi, come ha spiegato una delle veterinarie dello studio, ascoltata ieri in aula. Dopo aver ingerito il suo stesso sangue, provocato dalle lesioni inferte, con tutta probabilità la cagnolina sarebbe stata costretta a ingoiare alcol e pezzi di limone. Il processo riprende il 9 giugno per l’esame di un teste e la discussione.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Tutto era apparecchiato per le riprese: gli strumenti di tortura già posizionati, un pennarello e un imbuto, usati per essere infilati nel retto e poi nella bocca, e l’inquadratura del cellulare fissa sul cagnolino e sul suo aguzzino. Il video, quello choc delle sevizie, era stato postato su Facebook mesi dopo la morte della piccola Pilù, pincher nano, dal suo stesso aguzzino. L’obiettivo? Farla pagare alla sua ex fidanzata, costringendola a guardare con i suoi stessi occhi la fine orribile della sua cagnolina, sottoposta ad atroci torture. Quel video la sua padroncina non ha mai avuto il coraggio di visionarlo per intero, come ha raccontato in lacrime ieri mattina nell’aula del tribunale monocratico nel palazzo di San Mercuriale a Pistoia. I fatti risalgono al maggio del 2015 e sono avvenuti a Pescia, ma la denuncia arrivò un anno dopo, ad ottobre 2016, quando quel video di fatto svelò a tutta la famiglia e tanti altri la vera fine di Pilù. Una fine che ha scatenato l’indignazione di tante associazioni animaliste, arrivate negli anni a Pistoia da tutta Italia. Ieri il processo a carico dell’unico imputato accusato di maltrattamenti sugli animali e della morte (articolo 544 codice penale) Gaetano Foco, 32 anni, originario di Messina, ma da tempo a Pescia, è entrato ora nel vivo. Prima dell’udienza, in piazza del Duomo si è svolto il presidio di Animalisti Italiani, arrivati da Roma e da Lucca, con il presidente Walter Caporali e l’avvocato Filippo Querci, per sostenere la battaglia in difesa di Pilù. Poi l’udienza: davanti al giudice Barbara Floris, è stata la padroncina di Pilù a parlare per prima. "Non sono mai riuscita a vedere per intero quelle immagini". È stata lei a ricostruire le ultime ore di Pilù. Il cagnolino che viveva nella casa dei genitori della ragazza, era stato affidato a lei nella casa di Pescia che condivideva con il fidanzato solo per pochi giorni, il tempo del trasloco della sua famiglia. Le violenze erano avvenute durante l’assenza della padroncina: tra i due fidanzati le cose non andavano più bene da tempo, tanto che la mamma di lei non lo aveva più voluto in casa, da quando il ragazzo aveva alzato le mani sulla figlia. Così, il ragazzo aveva portato la cagnolina nel garage della loro casa e l’aveva seviziata (questo si vede nel video che non pubblichiamo sui nostri siti per non offendere la sensibilità delle persone). Un pennarello e un imbuto, gli strumenti di tortura "apparecchiati davanti alla videocamera del cellulare che inquadra anche l’autore di quelle torture", come ha raccontato in aula anche uno dei carabinieri che hanno svolto le indagini. Al rientro a casa, la padroncina di Pilù trova il cane a terra sulla terrazza, si accorge che sta male e lo porta dal suo veterinario, il dottor Torri di Pescia. Poche ore dopo morirà: "acidosi metabolica", la diagnosi, come ha spiegato una delle veterinarie dello studio, ascoltata ieri in aula. Dopo aver ingerito il suo stesso sangue, provocato dalle lesioni inferte, con tutta probabilità la cagnolina sarebbe stata costretta a ingoiare alcol e pezzi di limone. Il processo riprende il 9 giugno per l’esame di un teste e la discussione.
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