OnlyDown e le (finte) modelle hot con la sindrome di Down. Così l’intelligenza artificiale feticizza la disabilità

Negli ultimi mesi stanno proliferando account fake di ragazze con trisomia 21, creati con l’intelligenza artificiale, che rimandano a profili di contenuti per adulti. Un fenomeno che alimenta la sessualizzazione distorta della disabilità

di VALENTINA BERTUCCIO D’ANGELO
26 aprile 2025
Due immagini del profilo chiamato Maria Dopari

Due immagini del profilo chiamato Maria Dopari

Un nuovo trend, particolarmente disturbante, si sta diffondendo sui social, da Instagram a X a TikTok, grazie all’intelligenza artificiale. Profili di ragazze che affermano di avere la sindrome di Down che si ritraggono in foto e video ammiccanti o apertamente hard, con l’obiettivo di portare utenti a profili Onlyfans. Non serve essere degli esperti di deep fake per capire che si tratta, appunto, di profili fake, che usano video e foto di persone reali (e perlopiù ignare), che non hanno la sindrome di Down, cui modificano i volti dando delle caratteristiche, come gli occhi allungati, che rimandano alla sindrome. Le didascalie più ricorrenti sono legate a un concetto in teoria positivo, e cioè che la sindrome non è un ostacolo al trovare attraente una persona. È stata anche coniata la parola Onlydown, al posto di Onlyfans. Peccato che sia tutto finto, una feticizzazione della disabilità. 

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Sessualità e disabilità

Il fenomeno è stato osservato in questi primi mesi dell’anno da molti utenti e analizzato anche da siti specializzati, come 404 Media, un’impresa digitale fondata da giornalisti che “esplora i modi in cui la tecnologia plasma il nostro mondo e si fa plasmare dal mondo”. In questo caso, l’Ai, o meglio l’uso dell’Ai fatto dall’uomo, plasma un mondo social in cui si fa fatica a esserci. E non perché non si possa accostare la sessualità alla disabilità. Detto più chiaramente, non ci sarebbe nulla di male se una ragazza con la sindrome di Down volesse, liberamente, aprire un profilo social e ammiccare. Anzi, profili di questo tipo esistono, queste ragazze giocano con i vestiti e ricreano i trend del momento. Ma lo fanno davvero, così come sono. La non discriminazione passa probabilmente anche da qui.

La feticizzazione della trisomia 21

Il fenomeno delle influencer con (supposta) trisomia 21 è ben diverso. Il sito 404 ha verificato che si tratterebbe di una rete di account, “collegati tra loro perché riutilizzano biografie e video di Instagram e, in alcuni casi, linkano alle stesse pagine OnlyFans, dove monetizzano questi video”. Non succede solo con le finte influencer con la sindrome: è in rapida crescita il numero di persone “che rubano contenuti da creatori umani reali e utilizzano l'intelligenza artificiale per sostituire i loro volti con volti generati dall'intelligenza artificiale, pubblicando tali contenuti modificati dall'intelligenza artificiale su Instagram e indirizzando gli spettatori verso piattaforme di contenuti per adulti dove possono essere monetizzati. Negli ultimi mesi, nuovi account hanno iniziato a rivolgersi a nicchie e feticismi sempre più specifici, inclusi account di donne generate dall'intelligenza artificiale con arti amputati”. Dunque si usa l’intelligenza artificiale per “alimentare una feticizzazione e monetizzazione non consensuale di persone (finte) con disabilità”. Il problema dunque, è questo qui: la feticizzazione della sindrome di Down, e della disabilità in generale, usata per vendere contenuti per adulti a pagamento.

Corpi irreali

Gli account sono moltissimi, tra i più famosi c’è l’account di Maria Dopari, presunta modella con sindrome di Down, il cui profilo su Instagram è stato rimosso quando aveva già 150mila follower. Ma come il suo, ci sono decine di altri profili, tutti molto simili, dove l’aspetto delle ragazze non è credibile, nella disabilità, la quale è stata resa con i filtri in modo da essere comunque attraente per gli standard canonici: corpi morbidi e prosperosi, vite sottili, capelli lunghi, movenze sinuose. Irreali. E qui sta il secondo aspetto critico, per non dire immorale. Le persone con disabilità non hanno diritto a essere se stesse neppure nel deep fake, neppure nella loro sessualizzazione: vengono rappresentate come vorrebbe un utente di contenuti hard e non per come sono.