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Meglio il sistema scolastico finlandese o quello italiano? Luci e ombre su i due metodi d'insegnamento

Il professore Paolo Landri: "La nostra scuola mostra una grande capacità di adattamento, a dispetto dell’impianto istituzionale"

di ELSA TOPPI -
16 gennaio 2023
Meglio il sistema scolastico finlandese o quello italiano?

Meglio il sistema scolastico finlandese o quello italiano?

Avete presente la vicenda della mamma finlandese finita su tutti i giornali per via del suo inesorabile ‘j’accuse’ contro la scuola italiana? Bene, al netto di ogni polemica, abbiamo pensato che questa vicenda potesse essere una buona occasione per fare una comparazione fra i due sistemi educativi e non solo. Così, siamo andati a fare qualche domanda a un esperto, il professor Paolo Landri, docente all'Università di Napoli "Federico II", primo ricercatore del Cnr Irpps e co-editor della Rivista European Educational Research Journal.
Paolo Landri, docente all'Università di Napoli "Federico II"

Paolo Landri, docente all'Università di Napoli "Federico II"

Professor Landri cosa ha di diverso il sistema scolastico finlandese rispetto al nostro? “Il sistema scolastico finlandese presenta un notevole orientamento verso l’equità sociale. Questo non gli ha impedito di essere, secondo le prime indagini OCSE-PISA, tra i ‘top performer’. Il risultato ha creato nel corso del tempo un vero e proprio turismo accademico finalizzato a carpirne i segreti. Si tratta di un successo che si è creato in tempi recenti. La Finlandia è un ‘late comer’ nello sviluppo del welfare nordico. Il nostro sistema scolastico invece è centralista, burocratico, elitario e tra i ‘low performer’ nell’indagine OCSE-PISA. Si può naturalmente e con molte ragioni mettere in discussione queste indagini internazionali. C’è, però, un’ampia letteratura scientifica che converge nel dire che la scuola nel nostro Paese è ancora una istituzione orientata alla riproduzione delle élite e della classe media. Le riforme che si sono succedute nel corso degli anni non hanno cambiato la sua legacy istituzionale. Ciò non vuol dire naturalmente che non ci sia state delle trasformazioni. Si pensi alla riforma della scuola media, a quelle delle elementari, ai tentativi di modificare, a volte in modo frammentario, la scuola secondaria superiore. Inoltre, l’Italia ha una notevole tradizione pedagogica che si è espressa in moltissime esperienze di attivismo pedagogico. Le scuole di Reggio Emilia, la pedagogia della Montessori, Don Milani, Mario Lodi, Loris Malaguzzi, Ettore Gelpi, Danilo Dolci etc. si può dire che abbiano contribuito a plasmare il lessico della pedagogia contemporanea. Quelle esperienze innovative, tuttavia, non riescono a diventare patrimonio di tutta la scuola italiana. Rimangono confinate, talora ‘ingabbiate’ oppure ‘neutralizzate’ pur avendo ispirato altrove riforme educative in altri paesi europei ed extraeuropei”. Cosa possiamo imparare noi italiani dal sistema finlandese? E cosa può imparare il sistema finlandese da noi? “La scuola finlandese mostra che si può avere una scuola equa e di qualità. Per farlo bisogna puntare su decentramento e autonomia professionale nel quadro di un investimento complessivo, economico, culturale e sociale nell’educazione. Il caso finlandese indica che autonomia non vuol dire privatizzazione e che si può governare un sistema scolastico senza puntare a un forte regime di accountability orientato dai risultati d’apprendimento e dai test standardizzati. Le sue caratteristiche sono: una scuola comprensiva per tutti, ovvero che limita le differenziazioni interne e che allunga i tempi delle transizioni scolastiche (di recente l’obbligo è esteso a 18 anni); una forte professionalità dei docenti che si è sviluppata in un percorso universitario e on stage; un investimento di lunga durata nella scuola e nell’educazione e infine una ampia cultura della fiducia tra le istituzioni che concorrono al governo delle istituzioni scolastiche. La Finlandia ha imparato a estendere le indicazioni dell’attivismo pedagogico. Si può senz’altro dire che l’attenzione al gioco, agli spazi, ai materiali educativi, alla autovalutazione e non ai voti siano presenti nelle esperienze e nell’insegnamento della Montessori e di molti dei maestri italiani della pedagogia a loro volta ispirati anche dalla tradizione del pragmatismo di Dewey. Per la verità, adesso la scuola finlandese non è più tra i top performer sul piano internazionale. Pur avendo risultati ottimi su qualità ed equità, sta vivendo una fase di declino”.
La famiglia finlandese che ha criticato il sistema scolastico italiano

La famiglia finlandese che ha criticato il sistema scolastico italiano

Come mai? “Le ragioni sono diverse. Le politiche di austerity, dal 2008 in poi, l’adozione di misure di new public management, già sperimentate da noi, la presenza di allievi stranieri e il passaggio al digitale sembrano incidere negativamente in modo particolare sulle competenze di lettura. Se proprio volessimo imparare da questi confronti internazionali, dovremmo esprimere qualche perplessità sugli orientamenti dominanti nelle politiche educative che sono inquadrate in una agenda neoliberista ormai sempre più esausta. Sia il caso italiano che quello finlandese indicano che questa prospettiva va producendo effetti di disuguaglianze crescenti”. Quanto c’entra la questione della differenza culturale nella vicenda della famiglia finlandese? “La lettera di Elin Mattson ha scatenato una tendenza di risposte in cui si sono mescolati tantissimi piani discorsivi. Francamente, è dubbia la possibilità di generalizzazione a partire dalla sua esperienza. Né lei, la sua famiglia, né la scuola, o meglio le classi siracusane in questione, sono rappresentative. Mi sembra, quindi, che il dibattito si stia sviluppando lungo i binari di un essenzialismo culturalista, come se la nostra identità fosse plasmata in maniera deterministica dal paese nel quale siamo nati e viviamo. La famiglia della Mattson è, piuttosto, cosmopolita. Ha libertà di lavoro e di movimento e tende a ipostatizzare la visione della scuola finlandese. In modo analogo, le reazioni degli italiani sono abbastanza stereotipate e non mi sembra una discussione molto fruttuosa sul piano conoscitivo. Onestamente, mi sembra poco produttivo discuterne. Rimane il fatto che questa signora ha descritto una situazione non ideale dal punto di vista educativo. Spazi limitati, una organizzazione dei tempi che non tiene conto delle dinamiche di apprendimento, un contesto di relazioni tra docenti e studenti asimmetriche e unidirezionali nei quali non ci sono turni e toni conversazionali improntati al dialogo. Le sue lamentele sono, dunque, fondate e le sue preoccupazioni sono quelle di un qualsiasi genitore o tutore quando osserva un funzionamento ‘difficile’ di una istituzione. Anche nel nostro paese abbiamo genitori che avrebbe espresso considerazioni analoghe. Ricordiamo che lo stato dell’edilizia scolastica è un problema. Di certo non aiuta nel momento in cui si tratta di mettere in atto pedagogie attive come quelle sollecitate dalla mamma finlandese”.
Il sistema scolastico finlandese si sviluppa nel contesto di un paese che si muove nella tradizione del welfare nordico

Il sistema scolastico finlandese si sviluppa nel contesto di un paese che si muove nella tradizione del welfare nordico

Eppure dal sistema scolastico italiano escono grandi luminari e scienziati… “È una conseguenza del carattere elitario del sistema. Pochi eccellenti, attentamente selezionati che sono spesso costretti ad andare altrove per ottenere riconoscimenti e prestigio. In un certo senso, se ampliassimo il discorso si potrebbe mettere il sistema scolastico in relazione alla collocazione semiperiferica del nostro paese nel sistema economico globale. Emergono soggettività in surplus che vengono assorbite altrove”. Un altro punto su cui riflettere è come mai la scelta di una famiglia, sconosciuta ai più, ha destato tanto scalpore. Non sarà che noi italiani abbiamo la coda di paglia? “Difficile dire. La lettera è stata un atto di accusa. La mamma finlandese ha espresso pubblicamente la sua insoddisfazione e la sua decisione di andare via. Forse una delusione nei riguardi di un paese che ammira e che decide di lasciare per trovare altrove architetture educative più congruenti. La reazione stereotipata di molti sui social, in alcuni casi anche ironica (ci sono molti ‘meme’ che girano sul web, ndr) indica, però, una tonalità affettiva nei confronti della nostra scuola. Vuol dire in fondo che abbiamo un legame con la nostra scuola e siamo dispiaciuti per il suo stato. Ed è fonte di frustrazione il fatto che non riusciamo a cambiarla per esserne orgogliosi. In fondo, le politiche di accountability basate sui test fanno leva su questa reazione emotiva per attivare meccanismi di trasformazione. ‘Name-and-shame’ come si dice in inglese. In questo caso, però, non è stata un’indagine scientifica a determinare la reazione, ma la lettera di una mamma di un altro paese. Quasi a ricordarci che ci sono storie-cliché molto efficaci nel produrre reazioni emotive. Più dei dati. Sono propenso, poi, a pensare che i social network abbiano prodotto meccanismi di amplificazione”.
L’Italia ha una notevole tradizione pedagogica

L’Italia ha una notevole tradizione pedagogica

Eppure non siamo gli ultimi arrivati: la storia dell’attivismo pedagogico in Italia è molto ricca… “Si, come ho detto prima, è una storia molto ricca che ha informato la ricostruzione del nostro paese nel Dopoguerra. La nostra scuola deve molto a questi maestri e queste maestre. Purtroppo, questa tradizione deve fare i conti con una architettura istituzionale che stenta a trasformarsi e accogliere le innovazioni. Inoltre, questa tradizione fa fatica a riprodursi, rimane episodica. La scuola italiana, naturalmente, è molto variegata. Ci sono forti differenze regionali tra Nord e Sud e talvolta tra istituti nella stessa città. Ne deriva che qualità ed equità sono molto differenziate e ci sono isole di eccellenza. La nostra scuola mostra anche una grande capacità di adattamento, a dispetto dell’impianto istituzionale. Pensiamo alle pratiche di inclusione nei riguardi degli alunni con cittadinanza non italiana, oppure alle normative per l’inclusione degli allievi con disabilità”. In base all’ annuale report Global Gender Gap Index, è al secondo posto tra i Paesi più avanzati, mentre noi al 63esimo dopo Uganda e Zambia. In questo momento sono rappresentati da Sanna Marin, la premier più giovane al mondo e cresciuta in una famiglia arcobaleno… “Il sistema scolastico finlandese si sviluppa nel contesto di un paese che si muove nella tradizione del welfare nordico, sempre attento alla universalità dei diritti e all’eguaglianza, il cosiddetto modello del welfare socialdemocratico. In questa prospettiva non meraviglia l’attenzione per la riduzione del gender gap e i diritti della comunità LGBT+. Questa attenzione è andata di pari di passo con il ricambio generazionale, come è evidente nell’incarico a Sanna Marin. Il confronto con il nostro paese non potrebbe essere più stridente per effetto dell’impianto patriarcale e conservatore che agisce da freno sia sul piano del gender gap che delle fasce giovanili”. C’è da dire però che la Finlandia vince anche la classifica di paese più felice al mondo secondo il World Happiness Report dell'Onu… “Ci sono anche delle classifiche in cui la Finlandia non è ai primi posti. In una survey del World Health Survey Plus, solo una piccola percentuale di studenti è felice di essere a scuola. Di recente, inoltre, è aumentato il rischio di esclusione sociale di fasce della popolazione giovani a basso reddito, creando una crescente polarizzazione con quelle fasce giovanili che hanno valori positivi in molte aree di attività, dal lavoro al tempo libero. I ranking dipendono dagli indicatori e le performance possono variare nel tempo”.