TikTok ha abolito l’hashtag #SkinnyTok perché promuoveva l’anoressia. Ok, ma il problema è un altro

Il governo francese aveva segnalato all’Unione Europea che il trend romanticizzava i disturbi alimentari. La piattaforma lo ha vietato, ma non basta: serve educazione digitale critica

di MIRKO DI MEO
5 giugno 2025
TikTok ha tolto la possibilità di cercare contenuti con l’hashtag #SkinnyTok, che promuovono la magrezza estrema e l’anoressia

TikTok ha tolto la possibilità di cercare contenuti con l’hashtag #SkinnyTok, che promuovono la magrezza estrema e l’anoressia

TikTok ha abolito l’hashtag #SkinnyTok. Sempre più ragazze, infatti, mostravano con fierezza il proprio corpo scheletrico sul social, consigliando modi per dimagrire e perdere peso velocemente. Lo scopo? Postare immagini di gambe scheletriche, vite sottili e braccia quasi inesistenti. Una romanticizzazione dell’anoressia. Il desiderio era mostrare un corpo sempre più magro, creando erroneamente l’associazione “magro = bello”, e quindi sano. L’idea di “snello” che questi video veicolavano era del tutto fuorviante.

L’hashtag era diventato sempre più popolare su TikTok e stava destando la preoccupazione della Commissione Europea e del regolatore dei contenuti francese Arcom. Su loro richiesta, la piattaforma cinese ne ha vietato l’uso. Lo scopo di TikTok è infatti quello di creare uno spazio sicuro per i minori. Ora, cercando il trend #SkinnyTok, compare un avviso che prova ad aiutare chi soffre di problemi psicologici e/o disturbi alimentari. Un messaggio che invita al confronto e al dialogo riguardo alla percezione del proprio corpo.

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L’anoressia è un disturbo fisico che necessita però anche di un aiuto psicoterapeutico: un lavoro su di sé, sul rapporto con il cibo e sull’immaginario collettivo del corpo stesso. I social media veicolano costantemente immagini di corpi che, nel mondo reale, faticano a esistere. Le giovani e i giovani che scorrono video o guardano foto sono bombardati da corpi artificiali, farlocchi, da un immaginario estetico che ha pochissimo riscontro nella realtà.

I social media hanno rafforzato un ideale estetico e corporeo profondamente legato al peso. Magro è bello e, secondo questo assioma distorto, grasso è brutto. L’ossessione per la perfezione del corpo è alimentata da una mancanza di rappresentazione di fisicità normali o robuste. Cinema, musica e social network mostrano solo fisici scolpiti, sorrisi perfetti, glutei sodi e braccia allenate, scatenando in chi guarda un senso di inadeguatezza.

TikTok ha abolito l’hashtag #SkinnyTok perché promuoveva l’anoressia. Ok, ma il problema è un altro

Lo specchio dei e delle giovanissime riflette un’immagine che loro stesse ritengono sbagliata. La chiave di tutto sta nella pressione a conformarsi alla norma, a ciò che si pensa sia desiderabile. La regola della magrezza, infatti, rientra in quel sistema per cui – soprattutto per le donne – un corpo magro è un corpo che merita e può essere desiderato. La magrezza ha molto a che fare con il desiderio, ma poco con la salute.

Il motto del musical Hairspray, “Grasso è bello”, non ha mai attecchito nella nostra società. La protagonista Tracy Turnblad, una giovane solare con tanta voglia di cantare e un corpo straripante di vitalità, non ha mai spodestato lo stereotipo della Barbie. Perché la Barbie ha decenni di rappresentazioni, storie raccontate ed esperienze vissute in cui le giovani possono immedesimarsi.

Il tentativo di TikTok, tuttavia, non basta. Fatta la legge, trovato l’inganno: basterà creare un nuovo hashtag per continuare a mostrare corpi eccessivamente magri. Il problema non si risolve – ahimè – con l’abolizione di un trend, e forse nemmeno con il divieto dei social.

Ciò di cui c’è veramente bisogno è un’educazione al mondo digitale. Insegnare che i social sono spesso una menzogna, perché ogni utente è regista di sé stesso e mostra solo ciò che vuole far vedere. Serve un’educazione che insegni a leggere con spirito critico i contenuti e i modelli che ci vengono proposti ogni giorno. Formare uno sguardo consapevole, capace di riconoscere – e non imitare – comportamenti disfunzionali.