
Solitudine digitale, un problema che colpisce soprattutto la Gen Z e i Millennial
Il bisogno di stare in contatto con gli altri è qualcosa di innato nell'essere umano. E al giorno d'oggi questo contatto dovrebbe essere ancor più facilitato grazie all'uso di internet e delle nuove tecnologie. Eppure, nella società contemporanea, la solitudine digitale è un evento sempre più diffuso. Laddove un tempo le connessioni digitali sembravano una soluzione alla solitudine, ora queste stesse connessioni rivelano un vuoto emotivo che non viene colmato dalle interazioni virtuali.
Come la connessione digitale crea una distanza emotiva tra gli individui
Ed è proprio qui che ci troviamo di fronte ad un paradosso: nonostante la tecnologia ci offra strumenti incredibili per rimanere in contatto, molte persone si sentono più isolate che mai. Questo si manifesta principalmente nel lavoro da remoto e nelle interazioni sui social media. La connessione digitale, che dovrebbe avvicinarci, in realtà spesso crea una distanza emotiva tra gli individui, che si traduce in una solitudine diffusa. Questo perché se da un lato, il lavoro a distanza offre numerosi vantaggi in termini di flessibilità e riduzione dei tempi di spostamento, dall'altro porta con sé un crescente isolamento sociale.
La mancanza di interazioni spontanee e informali che avvengono normalmente in ufficio, come una chiacchierata alla macchinetta del caffè o un incontro casuale tra colleghi, fa sì che questo tipo di lavoratori si sentano spesso esclusi da un senso di comunità e appartenenza.
“L'interazione sociale regolare è essenziale"
“Molti lavoratori considerano la solitudine come una delle principali sfide del lavoro remoto. Eppure, il 75% di loro, nonostante il distacco fisico, si sente comunque connesso ai colleghi. Tuttavia, per mantenere il benessere psicologico e produttivo, l'interazione sociale regolare è essenziale. Non basta essere connessi digitalmente per superare la solitudine: la vera connessione nasce da relazioni autentiche e dalla creazione di valore condiviso. Confrontarsi con chi svolge lo stesso lavoro, condividere esperienze e riflessioni, può fare la differenza. Non si tratta di una soluzione miracolosa, ma di un modo per nutrire quella parte di noi che ha bisogno di confronto e compagnia. La vera libertà nel lavoro remoto non risiede solo nell'indipendenza, ma nella capacità di costruire una comunità solida che ci sostenga e ci motivi“, spiega Dario Vignali, co-founder di Marketers, la più grande e importante community di imprenditori digitali d'Italia.
Le generazioni più giovani sono le più penalizzate
Naturalmente le più penalizzati da questo contesto sono le generazioni più giovani, come la Gen Z e i Millennial, che stanno vivendo un cambiamento significativo nel loro modo di lavorare e relazionarsi. La flessibilità del lavoro da remoto è un'opportunità unica, ma per la Gen Z, che ha iniziato la carriera durante la pandemia, e i Millennial che spesso faticano a definire la propria identità professionale, l'adattarsi a una realtà dove il contatto fisico è limitato può portare a una nuova forma di esperienza lavorativa. Questa sorta di isolamento lavorativo può sfociare in sentimenti di tristezza, solitudine e frustrazione.
La solitudine come problema quotidiano
Come osserva Dario Vignali, “la difficoltà nel costruire legami significativi può far sentire molti giovani professionisti disconnessi, non solo dai colleghi, ma anche dal loro stesso ruolo e dalle aspirazioni che li motivano. La solitudine, quindi, non è solo un effetto collaterale del lavoro da remoto, ma una realtà con cui le nuove generazioni si confrontano ogni giorno, spingendo a ripensare l'approccio al lavoro e alla connessione sociale”.
Le soluzioni
Ma esistono delle soluzioni per ridurre questo impatto? Sicuramente creare rituali sociali digitali, dove i team si incontrano non solo per lavorare, ma per condividere esperienze ed emozioni, può rafforzare il senso di comunità. Utilizzare spazi di coworking con opportunità di networking mirato favorisce interazioni più genuine e significative. Un'altra proposta efficace potrebbe essere l'introduzione di programmi di mentorship o il buddy system, in cui i lavoratori da remoto sono affiancati da colleghi con cui costruire connessioni autentiche, andando oltre il puro aspetto professionale. In questo modo, si favorisce il rafforzamento di legami reali e di supporto, anche a distanza.
Non bisogna rinunciare al digitale, basta usarlo in modo umano
Insomma, che la tecnologia sia uno strumento potente è chiaro a tutti. Ma quest'ultima non potrà mai sostituire il contatto umano, lo sguardo, la voce, la presenza. Combattere la solitudine digitale non significa rinunciare al digitale, ma usarlo in modo consapevole e umano, ricordandoci che dietro ogni schermo c'è una persona vera, con emozioni, bisogni e desideri – proprio come noi. E fino a che crediamo che essere connessi digitalmente sia il corrispettivo di avere relazioni di persona, anzi a migliorarle, in quanto riusciamo ad avere “contatti“ con persone lontane o che non sentivamo più da una vita, sarà difficile uscire da questa dipendenza da mondo digitale. Perché come recita il famoso proverbio “non è lo strumento in sé ad essere cattivo, ma lo è l'utilizzo che se ne fa“.