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Home » Attualità » Aborto in Spagna, diventa reato ostacolare o intimidire le donne che vogliono interrompere la gravidanza

Aborto in Spagna, diventa reato ostacolare o intimidire le donne che vogliono interrompere la gravidanza

Il Senato spagnolo approva una modifica del Codice penale per vietare le molestie e le intimidazioni degli attivisti anti-aborto. Chi ostacola una donna rischia fino a un anno di reclusione

Remy Morandi
8 Aprile 2022
Aborto in Spagna

Aborto in Spagna

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Una svolta. In Spagna ostacolare o intimidire le donne che vogliono abortire diventa reato. Lo ha stabilito il Senato spagnolo che mercoledì 6 aprile ha approvato una modifica del Codice penale per vietare le molestie e le intimidazioni – commesse in particolare dagli attivisti anti-aborto – nei confronti di tutte coloro che si recano in una clinica per interrompere volontariamente la gravidanza. La nuova legge, promossa dal Partito Socialista del premier Pedro Sánchez, aveva già ottenuto l’approvazione del Congresso e adesso entrerà in vigore non appena sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

In Spagna è diventato reato ostacolare o intimidire le donne che vogliono abortire

Cosa rischia chi ostacola una donna che vuole abortire in Spagna

Quando la legge sarà pubblicata in Gazzetta, coloro che, “al fine di ostacolare l’esercizio del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza”, si rivolgeranno a una donna “con atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi che ledano la sua libertà” saranno puniti con la reclusione da un minimo di tre mesi fino a un anno oppure saranno obbligati a svolgere lavori di pubblica utilità. Con questa modifica del Codice penale, si legge nella proposta, rischiano le stesse sanzioni anche tutti coloro che tentano di ostacolare o intimidire gli operatori sanitari che assistono queste donne.

Quando è stato legalizzato l’aborto in Spagna

In Spagna l’aborto è stato depenalizzato nel 1985 per soli tre casi: stupro, grave rischio per la madre e malformazione del feto. Solamente nel 2010 l’interruzione di gravidanza senza giustificazione medica è stata legalizzata fino alla quattordicesima settimana di gestazione. Nonostante ciò, in Spagna, le donne continuano a incontrare ostacoli in merito all’aborto perché molti medici – si legge sul portale Semana – si rifiutano di eseguire la procedura. Inoltre, davanti ad alcune cliniche note per praticare interruzioni di gravidanza, gli attivisti anti-aborto spesso si riuniscono per cercare di convincere le donne a non entrare nelle strutture.

Pedro Sánchez, 50 anni, è presidente del governo di Spagna dal 2 giugno 2018

Perché in Spagna si è resa necessaria una legge contro le molestie alle donne che vogliono abortire

Con vari cartelloni e piccoli feti di plastica mercoledì scorso un gruppo di attivisti anti-aborto ha manifestato davanti al Senato spagnolo per protestare contro quella che denunciano come una “criminalizzazione” delle loro attività. Il gruppo, citato dalla piattaforma Right to Live, ha fatto sapere che nonostante le misure prese dal Senato continuerà ad offrire “aiuto” a tutte le donne che “ne hanno bisogno”, ossia tutte coloro che vogliono interrompere la gravidanza. Secondo un rapporto del 2018 dell’Associazione spagnola che riunisce tutte le cliniche accreditate per l’interruzione di gravidanza, l’89% delle donne che hanno abortito in Spagna si sono sentite molestate e nel 66% dei casi, addirittura minacciate.

Le proteste in Spagna contro l’aborto

Nelle ultime settimane la Spagna è stata al centro di numerose proteste contro l’aborto. A Madrid nel mese di marzo migliaia di persone sono scese in strada per manifestare contro il diritto a interrompere la gravidanza. Con vari striscioni con scritto “L’aborto non è un diritto” e al grido di “Più rispetto per la vita” i manifestanti hanno marciato per le strade della capitale spagnola fino ad arrivare a Plaza de Cibeles. Secondo l’associazione che ha organizzato la protesta “Sì alla vita”, erano presenti in piazza 20mila persone. Una donna che ha partecipato con la figlia alla manifestazione ha dichiarato: “Ci sono alternative. Dopo un aborto c’è sempre un trauma”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Una svolta. In Spagna ostacolare o intimidire le donne che vogliono abortire diventa reato. Lo ha stabilito il Senato spagnolo che mercoledì 6 aprile ha approvato una modifica del Codice penale per vietare le molestie e le intimidazioni - commesse in particolare dagli attivisti anti-aborto - nei confronti di tutte coloro che si recano in una clinica per interrompere volontariamente la gravidanza. La nuova legge, promossa dal Partito Socialista del premier Pedro Sánchez, aveva già ottenuto l'approvazione del Congresso e adesso entrerà in vigore non appena sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
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Quando è stato legalizzato l'aborto in Spagna

In Spagna l'aborto è stato depenalizzato nel 1985 per soli tre casi: stupro, grave rischio per la madre e malformazione del feto. Solamente nel 2010 l'interruzione di gravidanza senza giustificazione medica è stata legalizzata fino alla quattordicesima settimana di gestazione. Nonostante ciò, in Spagna, le donne continuano a incontrare ostacoli in merito all'aborto perché molti medici - si legge sul portale Semana - si rifiutano di eseguire la procedura. Inoltre, davanti ad alcune cliniche note per praticare interruzioni di gravidanza, gli attivisti anti-aborto spesso si riuniscono per cercare di convincere le donne a non entrare nelle strutture.
Pedro Sánchez, 50 anni, è presidente del governo di Spagna dal 2 giugno 2018

Perché in Spagna si è resa necessaria una legge contro le molestie alle donne che vogliono abortire

Con vari cartelloni e piccoli feti di plastica mercoledì scorso un gruppo di attivisti anti-aborto ha manifestato davanti al Senato spagnolo per protestare contro quella che denunciano come una "criminalizzazione" delle loro attività. Il gruppo, citato dalla piattaforma Right to Live, ha fatto sapere che nonostante le misure prese dal Senato continuerà ad offrire "aiuto" a tutte le donne che "ne hanno bisogno", ossia tutte coloro che vogliono interrompere la gravidanza. Secondo un rapporto del 2018 dell'Associazione spagnola che riunisce tutte le cliniche accreditate per l'interruzione di gravidanza, l'89% delle donne che hanno abortito in Spagna si sono sentite molestate e nel 66% dei casi, addirittura minacciate.

Le proteste in Spagna contro l'aborto

Nelle ultime settimane la Spagna è stata al centro di numerose proteste contro l'aborto. A Madrid nel mese di marzo migliaia di persone sono scese in strada per manifestare contro il diritto a interrompere la gravidanza. Con vari striscioni con scritto "L'aborto non è un diritto" e al grido di "Più rispetto per la vita" i manifestanti hanno marciato per le strade della capitale spagnola fino ad arrivare a Plaza de Cibeles. Secondo l'associazione che ha organizzato la protesta "Sì alla vita", erano presenti in piazza 20mila persone. Una donna che ha partecipato con la figlia alla manifestazione ha dichiarato: "Ci sono alternative. Dopo un aborto c'è sempre un trauma".
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