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Home » Attualità » Lo spreco alimentare in Europa danneggia l’ambiente e i diritti. Poi c’è l’inquinamento

Lo spreco alimentare in Europa danneggia l’ambiente e i diritti. Poi c’è l’inquinamento

Nel 2021 l’Unione europea ha mandato al macero oltre 150 milioni di tonnellate di cibo, una quantità superiore alle importazioni

Domenico Guarino
23 Novembre 2022
Spreco alimentare

Spreco alimentare

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Nel 2021 l’Unione Europea ha acquistato quasi 138 milioni di tonnellate di prodotti alimentari per una spesa totale di 150 miliardi di euro. Nello stesso periodo, però, ne sono state sprecate ben 153,3. In pratica, lo scorso anno l’UE ha mandato al macero più cibo di quanto ne abbia importato. I dati emergono dal rapporto “No time to waste: why the Eu needs to adopt ambitious legally binding food waste reduction target”, pubblicato nel settembre 2022 da FeedbackEu, organizzazione ambientalista che si batte per rigenerare la natura trasformando il nostro sistema alimentare.

Inquinamento: l’altra grande piaga da affrontare

inquinamento atmosferico
Inquinamento atmosferico

L’Unione europea non sta dunque rispettando i propri impegni in materia di sicurezza alimentare, nonostante la Commissione abbia sottoscritto gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goal, Sdgs) che prevedono di dimezzare lo spreco alimentare per il 2030. I dati del Wwf Uk e del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) mostrano come la produzione primaria, ovvero gli scarti del raccolto (prodotti lasciati sul campo o persi a causa di malattie, lesioni o tecniche di raccolta inadeguate) e post-raccolta (trasporto e trasformazione in azienda, stoccaggio, trasporto) sprechi ogni anno 89,9 milioni di tonnellate. In fase di lavorazione vengono scartate 15,4 milioni di tonnellate, mentre lo spreco durante la vendita al dettaglio e all’ingrosso è di 5,3 milioni. Non se la cava meglio il settore domestico, che “scarta” ogni anno 32,5 milioni di tonnellate di cibo. Al quale dobbiamo aggiungere i 10,5 milioni della ristorazione.

Oltre allo spreco c’è poi il problema dell’inquinamento. Sempre secondo i FeedbackEu il “food waste” è responsabile di una frazione importante delle emissioni climalteranti, dall’8% al 10% della produzione mondiale di gas serra e il 6% di quella europea. Ciò genera conseguenze non solo ambientali ma anche sociali. Basti pensare che secondo la ricerca  “The effects of reducing food losses and food waste on global food insecurity, natural resources, and greenhouse gas emissions”, pubblicata ormai nel 2015 sulla rivista Environmental Economics and Policy Studies, ridurre del 50% lo spreco di cibo post-raccolta nei Paesi ad alto reddito potrebbe abbassare il numero di soggetti denutriti nelle nazioni a basso reddito di circa 63 milioni di persone. Inoltre la riduzione del cibo scartato a livello agricolo potrebbe portare grandi vantaggi a numerosi agricoltori aumentando la quantità di cibo che possono mangiare o vendere. E porterebbe a un risparmio per i cittadini europei che si stima spendano ogni anno 89 miliardi di euro a causa della perdita di generi alimentari.

Le tre iniziative per risolvere il problema spreco

Lotta allo spreco alimentare
Lotta allo spreco alimentare

Per far fronte al problema, dice FeedbackEu, è necessario che la strategia della Commissione europea sia ambiziosa, cioè punti almeno a una riduzione del 50% degli sprechi, e comprenda tutta la catena produttiva (con un approccio appunto From farm to fork). La Commissione si trova davanti a tre opzioni: un’iniziativa “base” che prevede la riduzione dal 15% al 25% (entro il 2030), un vincolo “intermedio” dal 25% al 35% e uno “avanzato” dal 40% al 50%. Secondo FeedbackEu solo l’iniziativa “avanzata” permetterebbe di raggiungere gli obiettivi dell’agenda di sviluppo sostenibile ma anche di contribuire in modo sostanziale alla riduzione di emissioni climalteranti. A iniziare dalla sicurezza alimentare sia in Europa sia al di fuori.

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  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
  • Paese che vai inquinamento che trovi. O, se volete, un mal comune che non diventa affatto un mezzo gaudio. Secondo uno studio pubblicato su “The Lancet Planetary Health”, primo autore il professore Yuming Guo, sono infatti a appena 8 milioni le persone che possono dire di respirare aria pulita: lo 0,001% della popolazione mondiale, che vive su una percentuale irrisoria del globo terraqueo, lo 0,18%.

Per i rimanenti 7 miliardi e passa la situazione è grama, se non critica, con la concentrazione annuale di polveri sottili che è costantemente al di sopra della soglia di sicurezza indicata dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità (PM2.5 inferiori a 5 µg/m3), un limite oltre il quale il rischio per la salute diventa considerevole. E come se non bastasse la concentrazione media giornaliera globale è di 32,8 µg/m3, più del doppio della soglia Oms.

Lo studio pubblicato su “Lancet” è il primo al mondo ad aver ricostruito i valori giornalieri di polveri sottili, ovvero smog, su tutto il Pianeta, attraverso un metodo complesso e multifattoriale che ha permesso di ottenere dei valori anche nelle regioni non monitorate, grazie a un mix fatto di osservazioni tradizionali di monitoraggio della qualità dell’aria, rilevatori meteorologici e di inquinamento atmosferico via satellite, metodi statistici e di apprendimento automatico (machine learning).

Dati allarmanti, dunque. Per quanto qualche segnale di miglioramento comincia a intravvedersi, con il totale dei giorni con concentrazioni eccessive che sta diminuendo nel complesso. I dati degli ultimi 20 anni rivelano delle tendenze positive in Europa e Nord America, dove l’inquinamento da PM2.5 è sceso, ma non in Asia meridionale, Australia e Nuova Zelanda, America Latina e Caraibi, dove il trend è invece di crescita. Le concentrazioni più elevate di PM2.5 sono state rilevate nelle regioni dell’Asia orientale (50 µg/m3) e meridionale (37,2 µg/m3), seguite dall’Africa settentrionale (30,1 µg/m3). Poco da gioire, dunque e molto da lavorare.

#lucenews #inquinamento
  • L’arrivo della bella stagione ha il sapore del gelato 🍦

Golosi ma di qualità. È il rapporto degli italiani con il gelato artigianale secondo un’indagine di Glovo. Piattaforma di consegne, e Gusto17, brand gourmet, in vista del Gelato Day del prossimo 24 marzo.

Nel 2022 solo sull’app di Glovo gli italiani hanno ordinato più di 2 milioni di gelati, il 16% in più rispetto al 2021, con una media di 5.500 gelati al giorno, principalmente dalle gelaterie di quartiere, facendo aumentare le vendite del 138% per i piccoli esercenti. In particolare, il picco di ordini si registra alle 21.

Tra i gusti più amati dagli italiani ci sono: crema, pistacchio, nocciola e Nutella. Questa la Top 10 delle città più golose di gelato: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Firenze, Catania, Bologna, Bari e Verona.

🍨E voi, amanti del gelato, qual è il vostro gusto preferito? 

📸 Credits: @netflixit 

#lucenews #lucelanazione #gelatoday
  • 🗣«Persi undici chili in poco tempo. Per cercare di rialzarmi iniziai un percorso con uno psicologo, ma ho capito presto qual era il motivo per cui ero caduta dentro quel tunnel. E ho iniziato presto a lavorare su di me, da sola.

Nel 2014 avevo ripreso ad allenarmi da pochissimo tempo, quando ho incontrato una donna, Luana Angeletti. Ho scoperto dopo che era la mamma di un amico, ma la cosa importante è quello che lei mi disse quella volta.

Che avevo una struttura fisica adatta a competere nella categoria bikini, nel body-building. Mi è scattato dentro qualcosa, ho iniziato a lavorare perché volevo migliorare e finalmente farmi vedere dagli altri, dopo che per otto anni non ero andata neanche al mare perché mi vergognavo del mio fisico e della mia scoliosi. Grazie a Luana sono passata dal nascondermi allo stare su un palco guardata da tante persone. È stata decisiva.

Imparate a volervi bene, e se non ci riuscite con le vostre forze, non abbiate paura di farvi aiutare e seguire da altri. È importantissimo».

Dai disturbi alimentari al body building, l
Nel 2021 l’Unione Europea ha acquistato quasi 138 milioni di tonnellate di prodotti alimentari per una spesa totale di 150 miliardi di euro. Nello stesso periodo, però, ne sono state sprecate ben 153,3. In pratica, lo scorso anno l’UE ha mandato al macero più cibo di quanto ne abbia importato. I dati emergono dal rapporto "No time to waste: why the Eu needs to adopt ambitious legally binding food waste reduction target”, pubblicato nel settembre 2022 da FeedbackEu, organizzazione ambientalista che si batte per rigenerare la natura trasformando il nostro sistema alimentare.

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L’Unione europea non sta dunque rispettando i propri impegni in materia di sicurezza alimentare, nonostante la Commissione abbia sottoscritto gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goal, Sdgs) che prevedono di dimezzare lo spreco alimentare per il 2030. I dati del Wwf Uk e del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) mostrano come la produzione primaria, ovvero gli scarti del raccolto (prodotti lasciati sul campo o persi a causa di malattie, lesioni o tecniche di raccolta inadeguate) e post-raccolta (trasporto e trasformazione in azienda, stoccaggio, trasporto) sprechi ogni anno 89,9 milioni di tonnellate. In fase di lavorazione vengono scartate 15,4 milioni di tonnellate, mentre lo spreco durante la vendita al dettaglio e all’ingrosso è di 5,3 milioni. Non se la cava meglio il settore domestico, che "scarta" ogni anno 32,5 milioni di tonnellate di cibo. Al quale dobbiamo aggiungere i 10,5 milioni della ristorazione. Oltre allo spreco c’è poi il problema dell’inquinamento. Sempre secondo i FeedbackEu il “food waste” è responsabile di una frazione importante delle emissioni climalteranti, dall’8% al 10% della produzione mondiale di gas serra e il 6% di quella europea. Ciò genera conseguenze non solo ambientali ma anche sociali. Basti pensare che secondo la ricerca  "The effects of reducing food losses and food waste on global food insecurity, natural resources, and greenhouse gas emissions", pubblicata ormai nel 2015 sulla rivista Environmental Economics and Policy Studies, ridurre del 50% lo spreco di cibo post-raccolta nei Paesi ad alto reddito potrebbe abbassare il numero di soggetti denutriti nelle nazioni a basso reddito di circa 63 milioni di persone. Inoltre la riduzione del cibo scartato a livello agricolo potrebbe portare grandi vantaggi a numerosi agricoltori aumentando la quantità di cibo che possono mangiare o vendere. E porterebbe a un risparmio per i cittadini europei che si stima spendano ogni anno 89 miliardi di euro a causa della perdita di generi alimentari.

Le tre iniziative per risolvere il problema spreco

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Per far fronte al problema, dice FeedbackEu, è necessario che la strategia della Commissione europea sia ambiziosa, cioè punti almeno a una riduzione del 50% degli sprechi, e comprenda tutta la catena produttiva (con un approccio appunto From farm to fork). La Commissione si trova davanti a tre opzioni: un’iniziativa “base” che prevede la riduzione dal 15% al 25% (entro il 2030), un vincolo “intermedio” dal 25% al 35% e uno “avanzato” dal 40% al 50%. Secondo FeedbackEu solo l’iniziativa “avanzata” permetterebbe di raggiungere gli obiettivi dell’agenda di sviluppo sostenibile ma anche di contribuire in modo sostanziale alla riduzione di emissioni climalteranti. A iniziare dalla sicurezza alimentare sia in Europa sia al di fuori.
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